Gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere anche per la scienza?

Gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere è il titolo di un famoso libro scritto dallo scrittore saggista statunitense John Gray, pubblicato nel 1992. Il libro analizza le problematiche delle relazioni sentimentali uomo-donna, da un punto di vista psicologico, evidenziando le sostanziali differenze tra i due sessi. La citazione su Marte e Venere dunque, è soltanto una similitudine utilizzata per il concetto che vede uomo e donna come esseri di due mondi diversi che stentano a capirsi reciprocamente.

Se perciò il tutto è stato finora giustamente ricondotto a semplici differenze di tipo psicologico comportamentale, certamente influenzato anche da aspetti culturali, una recente ricerca in campo genetico sembra poter far supporre che questa “diversità” sia un qualcosa presente nei nostri geni.

E' necessario comprendere che “[…] Il nostro DNA è stato quasi del tutto decifrato; ciò nonostante comprendiamo solo il 5% delle informazioni che contiene. I genetisti hanno stabilito che è sufficiente comunque soltanto il 5% del DNA umano per creare da esso, un altro essere umano e che il resto, quel 95% di DNA rimanente, si potrebbe definire, secondo i genetisti stessi, “spazzatura genetica” o “DNA di scarto”. I genetisti sostengono che la spiegazione alla presenza di questa “spazzatura genetica” all’interno del nostro DNA, materiale genetico senza un’apparente e utile funzione, è che questa rappresenti magari dei resti di una qualche cosa che usavamo in passato, come la nostra appendice. […]”(brano tratto dal libro Il Lato Oscuro della Luna.)

Ho già trattato tuttavia l’argomento evidenziando che tale considerazione riguardo all’apparente inutilità del 95% della nostra essenza, rappresenti soltanto un limite della nostra conoscenza e non una reale inutilità del DNA stesso. Tale mia affermazione è dunque frutto di un’evidenza scientifica oggettiva, come già dimostrato nel mio libro, e non solo di una logica e razionale visione e considerazione della vita.

Tuttavia, tralasciando ora questa dissertazione scientifica e volendo attenerci alle affermazioni ufficiali della comunità scientifica, “[…] Nonostante oggi ci siano sulla Terra quasi otto miliardi di persone, e che l’uomo nel corso della sua storia abbia saputo adattarsi a climi e situazione di vita diversa e si presenti oggi con molteplici diversità (colore della pelle, forme degli occhi, altezza, ecc.), il DNA umano da individuo a individuo, differisce solo per meno di un decimo dell’1%. Per renderci conto di quanto sia particolare questa “anomalia” nel nostro DNA, gli antropologi ci fanno capire che questa scarsa variabilità nel nostro DNA, è addirittura inferiore a quella presente in una comunità di appena poche decine di scimpanzé […]”[…]”(brano tratto dal libro Il Lato Oscuro della Luna.)

Siamo perciò tutti molto più uguali di quanto possiamo pensare, al punto che sotto il profilo genetico, il concetto di “razza” per quanto riguarda l’umanità, è un qualcosa di assolutamente irrilevante.

Secondo il pensiero scientifico dominante, dei circa 460.000 geni che compongono il nostro DNA, soltanto 23.000 circa (pari al citato 5% del DNA) sono ad oggi considerati codificanti proteine e dunque utile ad una qualche funzione. Come detto ogni individuo differisce da un altro (colore della pelle, altezza, forma degli occhi, ecc) soltanto per la combinazione di appena 460 geni (pari ad 1/10 dell1% del totale dei geni presenti nel DNA). (NB: 460 geni possono apparire pochi, ma dal punto di vista matematico la permutazione senza ripetizione di 460 da origine ad un numero abbastanza grande da giustificare le differenze fisiche presenti anche nell'attuale popolazione umana, pari a oltre 7,5 miliardi d’individui.)

Se fino ad ora ciò è stato considerato assolutamente vero, uno studio pubblicato lo scorso mese di Maggio (2017) sulla rivista BMC Medicine dall'istituto Weizmann di Israele, sembra poter cambiare totalmente tale considerazione, al punto da rimettere in discussione la dogmatica teoria dell’evoluzione darwiniana (la cui inapplicabilità all’uomo sembra emergere sempre più in ragione delle scoperte antropologiche fatte nell’ultimo decennio, ricerche già ampiamente esposte e dibattute sempre nel mio libro oltre che in precedenti articoli), arrivando addirittura ad ipotizzare una “diversità” genetica oggettiva tra uomo e donna tale da far tornare alla mente proprio il titolo del libro di John Gray di cui ho parlato nell’incipit e nel titolo di quest’articolo.

I coordinatori della citata ricerca pubblicata sulla rivista BMC Medicine, Shmuel Pietrokovski e Moran Gershoni, hanno usato i dati raccolti dal progetto GTEx, un grande studio che ha analizzato i “geni accesi”, ossia espressi, nei vari organi e tessuti del corpo umano di quasi 550 adulti di entrambi i sessi, portando alla realizzazione della prima mappa delle differenze genetiche tra uomini e donne. Lo studio ha utilizzato i tali dati, per valutare nello specifico l'espressione di 20.000 geni, arrivando così a identificarne 6.500 che sebbene presenti sia nell'uomo e sia nella donna e dunque facenti parte di quel 5% che accomuna tutti noi, sono “accesi” in modo diverso tra maschi e femmine in almeno un tessuto dell'organismo.

Questi 6.500 geni che sono "accesi" in maniera diversa tra uomini e donne, controllano vari aspetti che vanno dai muscoli alla peluria, dall'accumulo di grasso alla produzione di latte, e potrebbero spiegare molte differenze che distinguono i due sessi nella suscettibilità a certe malattie così come nella risposta ai farmaci.

Secondo i risultati della ricerca, l'evoluzione con questi geni è stata poco selettiva, favorendo, di fatto, la diffusione di mutazioni che possono determinare problemi come l'infertilità.

Oltre ai geni legati a caratteristiche specifiche del sesso, come la peluria o la produzione di latte, ne sono emersi molti altri insospettabili. Ad esempio è il caso di alcuni geni “accesi” solo nel ventricolo sinistro del cuore della donna, tra i quali uno in particolare, legato all'uso del calcio, che tende a spegnersi con l'avanzare dell'età, probabilmente aumentando il rischio di malattie cardiovascolari e osteoporosi dopo la menopausa. E' stato trovato anche un gene espresso prevalentemente nel cervello delle donne, che potrebbe proteggere i neuroni dal Parkinson.

Lo studio in questione a trovato poca diffusione nei mass media tradizionali e quando è stata riportata, è stata diffusa più come una cuiriosità piuttosto che come un qualcosa di sconcertante, probabilmente perchè non se ne è compresa con esattezza l'importanza.

L’aspetto più rivoluzionario di questo studio è nel fatto che i ricercatori hanno scoperto che la selezione naturale è stata più indulgente con le mutazioni sesso-specifiche contenute in questi geni, soprattutto quelle legate al genere maschile, favorendone, di fatto, la diffusione.  La cosa è talmente anomala dal punto di vista evoluzionistico che i ricercatori, per riuscire a spiegare tale anomalia, hanno dovuto mettere  obbligatoriamente in discussione l’intera idea dell’evoluzione dell’uomo fin qui formulata.

Secondo i ricercatori infatti, la spiegazione può essere soltanto una e cioè che è estremamente probabile che uomini e donne non abbiano seguito lo stesso cammino evolutivo, bensì due percorsi separati e interconnessi fra loro: l'evoluzione umana sarebbe dunque da rileggere come una co-evoluzione.

Può sembrare un'inezia per coloro che non sono addentro a queste tematiche, ma la portata di tale conclusione (ripetiamo, non frutto d’ipotesi o suggestioni ma avanzata su basi scientifiche oggettive da genetisti appartenenti alla comunità scientifica tradizionale) è oltremodo rivoluzionaria e coinvolge necessariamente, aspetti della vita che non riguardano soltanto il discorso biologico, ma anche quello di tipo storico/religioso.

Prima di approfondire le conseguenze di questo tipo di ipotesi avanzata dai ricercatori dell'istituto Weizmann di Israele, è necessario comprendere cosa s’intende per co-evoluzione. A scanso di equivoci o strumentalizzazioni di sorta, riporto qui di seguito la definizione di co-evoluzione presa dalla prestigiosa enciclopedia Treccani: In biologia la co-evoluzione è l’insieme delle modificazioni correlate che si verificano nel tempo in specie legate tra loro da un rapporto di dipendenza, come per es. alcune specie vegetali e gli animali che se ne nutrono, o i parassiti e i loro ospiti. Talora il significato dell’espressione viene ristretto a quei cambiamenti che conferiscono un vantaggio ad entrambe le specie coinvolte.

In campo scientifico ogni parola ha un proprio peso specifico e l'utilizzo del termine "co-evoluzione" indica un concetto ben preciso che presuppone dunque, la presenza di due specie distinte che, sebbene in questo caso quasi identiche, rimangono biologicamente differenti.

Con l'utilizzo del termine co-evoluzione per uomini e donne, i ricercatori hanno quindi voluto parlare apertamente di specie differenti benché certamente compatibili e non di sessi (genere maschile e femminile) diversi di una stessa specie.  Ciò fa presupporre che tali differenti specie (l'uomo e la donna) possano avere avuto origine differente, se non come luogo (come provocatoriamente aveva proposto nel suo libro John Gray Gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere) più verosimilmente come tempi.

Se dal punto di vista biologico e quindi scientifico, ciò evidenzia ancora una volta come la teoria Darwiniana trova nuovamente un oggettivo dato che ne evidenzia l’inapplicabilità alla specie umana, quale appiglio può trovare questa ricerca in tema religioso?

Per chi ha avuto modo di leggere attentamente gli scritti antichi o chi s’interessa di esegesi biblica, la mente non può che andare in automatico a quanto scritto nel libro della Genesi dell'Antico Testamento. Riporto qui di seguito i passi in questione presi dalla versione CEI (Conferenza Episcopale Italiana):

Genesi 1:26 E Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».
Genesi 1:27 Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.

Soprassiedo in questo frangente sull'identità del "Dio" creatore, giacché tale identificazione non ha alcuna rilevanza nell'ambito della presente discussione riguardo all’origine della specie uomo e donna. In molti hanno già ampiamente trattato in modo mirabile quest’aspetto e, per quanto mi riguarda, rimando ciò che ho già scritto nel mio libro. Tornando al tema oggetto di quest'articolo, possiamo affermare che da questi primi passi biblici, appare evidente come "l'entità creatrice", dia origine ad una specie sola, preoccupandosi poi di crearne la doppia natura, maschile e femminile. Se ci si ferma qui potrebbe sembrare che la questione sembrerebbe risolta e l'ipotesi avanzata dai ricercatori dell'istituto Weizmann di Israele, non trovi alcun riscontro dal punto di vista teologico/religioso o anche da quello storico, poiché la Bibbia continua ad essere considerata da molti e per molti versi, un testo storico attendibile. Tuttavia proseguendo la lettura, il testo ritorna sull'argomento con queste parole:

Genesi 2:21 Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto.

Genesi 2:22 Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo.

Genesi 2:23 Allora l'uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta».

Perché il testo ritorna sull'argomento e sembra descrivere una "creazione" successiva?

Per rispondere a questa domanda è necessario ancora una volta, sottolineare come la Bibbia (in qualunque versione la si voglia leggere) è una raccolta di libri scritti da più autori nel corso di secoli differenti. Solo in tempi a noi molto più vicini, rispetto a quelli presunti a cui i fatti narrati si riferiscono, i libri sono stati raccolti e selezionati a formare la Bibbia. Tale raccolta ha poi subito altre integrazioni e manipolazioni nel corso del tempo che hanno fatto si che il libro non sia assolutamente da considerarsi univoco (Anche in questo caso per ulteriori approfondimenti a riguardo, rimando a quanto da me scritto in precedenza o ai libri di altri autori che hanno avuto modo in questi anni, di illustrare sapientemente l'origine e il contenuto di questo testo considerato sacro ancora oggi dalle tre principali religioni monoteiste).

Alla luce di ciò, si può affermare con certezza che tra il capitolo primo ed il secondo del libro della Genesi (certamente nella versione cattolica), sono stati tolti dei brani che invece possiamo trovare in altre versioni della Bibbia, ad esempio in quella dei cristiani Copti, o anche in testi differenti che riportano gli stessi fatti, come nella Cabala Ebraica.

In particolare quest'ultima ci spiega che Lilith (la prima donna a cui si riferirebbero i passi 1:26 e 1:27 della Genesi) fu creata dalla terra come Adamo, quindi alla pari e nello stesso momento. Tuttavia Adamo voleva comandare e giacere sopra Lilith come dimostrazione della sua superiorità ma Lilith si ribellò. Secondo tale narrazione, Lilith fu trasformata in un demone (sto ovviamente sintetizzando al massimo la storia) e da qui l'esigenza "dell'entità creatrice" di intervenire nuovamente per generare una nuova controparte femminile, la donna (Eva), non più creata contemporaneamente alla pari dell'uomo dal fango ma, onde evitare il ripetersi dell'inconveniente (spirito di ribellione e non sottomissione) verificatosi nella prima donna Lilith, utilizzando come base non più la terra ma una costola da Adamo per poi plasmarla, dando vita a Eva (a cui si riferirebbero quindi i passi dal 2:21 al 2:23 del libro della Genesi).

C'è da precisare che tale versione dei fatti è soltanto una delle tante possibili e che la figura di Lilith è presente anche in molte religioni mesopotamiche preesistenti l'antico testamento. Sappiamo tuttavia che gran parte dell'antico testamento non è un testo "originale", ma ricalca proprio scritti più antichi di origine mesopotamica.

Ora, tralasciando tutte le implicazioni che riguardano questi passi biblici, che sembrano essi stessi mettere in discussione l'onnipotenza e l'infallibilità del Dio biblico poiché ha dovuto compiere un doppio intervento (non essendo riuscito al primo tentativo) o quello che riguarda anche il discorso del plurale utilizzato in quel "facciamo l'uomo a nostra immagine...", dal punto di vista strettamente scientifico siamo certamente di fronte ad una creazione dell'uomo e della donna avvenuta in due momenti differenti dal punto di vista temporale. Non c’è dato sapere (e sotto molti aspetti a poca importanza) quanto tempo intercorre tra l'una e l'altra creazione ma, in ogni caso, si può affermare che non ci troviamo di fronte a quella differenziazione di genere (maschile e femminile) originatasi "spontaneamente" (o meno a secondo della visione scentifica o teologica) come "naturale evoluzione" da una sola specie. A tal riguardo, nulla toglie a quest’affermazione la constatazione che la donna sia stata creata partendo da una "costola" dell'uomo. In questa seconda "creazione" c'è evidenza che sia stata certamente utilizzata una parte dell'uomo, che è stata modificata (aggiungendo o alterando un qualcosa) in modo da originare la donna. La questione è quindi molto attinente al riscontro scientifico illustrato sulla rivista BMC Medicine nel maggio scorso.

Tutto ciò dovrebbe essere agli occhi di tutti, molto soprendente, perchè la teoria del creazionismo proposta dalle religioni odierne, è incompatibile con la teoria evoluzionistica proposta e sostenuta dalla scienza ufficiale. Riscontrare che dati scientifici abbiano una qualche forma di "contatto" con la teoria creazionista è incredibilmente affascinante.

Siamo davanti a due specie originatesi in momenti differenti che, giacché compatibili, hanno poi condiviso un percorso di co-evoluzione.

La scienza sembra quindi dirci che uomini e donne sono biologicamente da considerarsi specie diverse, e forse John Gray non è andato così lontano dalla verità affermando che gli uomini vengono da Marte (anche qui ci sono possibili indizi scientifici, più che altro in merito all'origine della vita in generale) e le donne da Venere. Questa diversità non è più soltanto un luogo comune, ma un dato scientifico. Ma dobbiamo veramente fidarci di tutto ciò che sembra affermare la scienza?

Stefano Nasetti

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