11 settembre 22 anni dopo

11 settembre 2001, una data divenuta tristemente storica a seguito degli eventi accaduti negli Stati Uniti. Come ormai consuetudine, su televisioni e web in occasione di questa ricorrenza impazzano docufilm della versione ufficiale della vicenda da un lato, e ricostruzioni più alternative più verosimili dell’altro. Nella versione ufficiale si continua a guardare agli accadimenti dell’11 settembre come il giorno in cui gli Stati Uniti d’America hanno subito un attacco sul proprio suolo, da parte di forze terroristiche islamiche. Nelle ricostruzioni non ufficiali appare sempre più evidente che sebbene si sia trattato senza alcun dubbio di un attacco terroristico, emerge sempre più chiaro, analizzando tutti i dati, i filmati, le prove e le testimonianze emerse durante il corso di tutto il tempo trascorso da allora a oggi, che siano state le varie agenzie d’intelligence, in accordo con apparati militari e con l’appoggio politico, a scatenare l’attacco verso la propria popolazione. Ma perché farlo? 

Sia la versione ufficiale, sia le ricostruzioni alternative anche se non sono d’accordo su chi ha organizzato, consentito e realizzato gli attacchi che hanno portato alla morte di decine di migliaia di cittadini statunitensi e di altri Paesi, l’abbattimento di ben 3 grattacieli e la distruzione di alcuni edifici del Pentagono, sono però concordi su un punto: la guerra in Afganistan. Se nella versione ufficiale la guerra è stata una conseguenza degli attacchi, nelle versioni alternative la guerra è stato l’obiettivo. Si ritiene cioè che gli attacchi sferrati ai danni dei cittadini americani, sia stato organizzato e realizzato (nelle ricostruzioni alternative) al fine persuadere la popolazione statunitense in primis, e gli altri Paesi occidentali in secundis, a invadere l’Afganistan alla ricerca di fantomatici terroristi islamici.

Che si propenda per la prima fantasiosa spiegazione degli accadimenti (la versione ufficiale), o per la più coerente con le prove, i documenti e le testimonianze, seconda ricostruzione, la guerra può, in un senso o nell’altro spiegare tutto. Continuare a ricordare i fatti dell’11 settembre 2001, limitandosi a individuare chi ha fatto cosa, dando per scontato che l’obiettivo fosse promuovere una guerra, significa continuare a chiudere gli occhi.

Storicamente gli USA non hanno mai dovuto ricorrere ad un tale atto contro la propria popolazione per promuovere guerre, colpi di stato ecc., in giro per il mondo. Decine (se non forse anche centinaia) di altre volte sono bastati limitati episodi di False Flag, o di costruzione di prove fasulle (ricordate le famose armi chimiche di Saddam) per convincere la comunità internazionale della “bontà” di fare una guerra contro uno Stato o un altro o, al più, di lasciarla fare agli Stati Uniti o all’ONU se proprio non ci si voleva “sporcare le mani”. D’altro canto che gli Stati Uniti sono una economia che vive in funzione della guerra, è un dato di fatto. Lo testimoniano le decine di guerre in cui è il Paese a stelle e strisce è stato coinvolto dalla sua fondazione ad oggi. Senza contare i colpi di Stato, riusciti o falliti, per il rovesciamento di governi legittimamente eletti ma non graditi, per sostituirli con Governi fantoccio sotto il controllo americano o con l’insediamento di dittatori estremisti, da foraggiare e sostenenere fintanto che gli ha fatto comodo, per poi deporli con altre guerre (ciò che è successo in Iran, Iraq, Libia, solo per citarne alcuni, è sotto gli occhi di tutti). Alla luce di ciò, la volontà di creare i presupposti per una guerra in Afganistan non può essere ritenuta una causa sufficiente per spiegare gli eventi dell’11 settembre.

Passata l’ondata emotiva di un tale e scioccante evento, e mentre sempre più persone nel mondo cominciano a comprendere chi veramente ha, con ogni probabilità, compiuto l’atto terroristico, in pochi hanno invece realmente compreso il reale obiettivo o la più importante conseguenza di quell’evento. Parlo di quel qualcosa successo all’indomani dell’11 settembre 2001, e che solo a seguito di quest’accadimento si è potuto realizzare. Sto parlando dell’evento generato sì dai fatti di quel giorno, ma che è stato l’unico reale e importante evento che ha cambiato il mondo intero (quello occidentale nell’immediato e il resto, di riflesso in modo più lento e silente) e che ha consentito la creazione della società della “sorveglianza e del controllo di massa”.  Sto parlando del Patriot Act, provvedimento legislativo adottato dal Governo statunitense, e poi riproposto, di fatto, nei vari stati occidentali e non, che ha dato il via libera alle agenzie d’intelligence Usa, in modo assolutamente invasivo e pervasivo, senza alcun limite, di poter letteralmente spiare qualunque persona del pianeta, attraverso sistemi sempre più sofisticati in grado di registrare e archiviare, ogni forma di comunicazione (telefonate, email, messaggi social, ecc.), indipendentemente dal ruolo delle persone, dalla loro rilevanza sociale e politica.

Non che non lo avessero già fatto o che non lo facessero già. Del resto qualcuno, sebbene certamente in pochi, si ricorderanno dello scandalo Echelon della fine degli anni ’90 del secolo scorso, in cui emerse che le agenzie d’intelligence USA in particolare (ma anche tutte le altre facenti parte dell’alleanza nota come “i cinque occhi” o AUSSCANNZUKUS, acronimo derivante dall’abbreviazione delle sigle dei cinque Paesi membri, vale a dire AUStralia, CANada, Nuova Zelanda, United Kindom, e United State), spiavano anche i capi di stato e di governo degli “alleati” europei, come i primi ministri di Francia, Germania e Italia su tutti.

Il Patriot Act americano ha gettato le basi per il sistema di sorveglianza di massa ed ha fatto da apripista per tutti gli altri Governi mondiali, comportando una drastica riduzione delle libertà fondamentali e della privacy dei cittadini.

Nonostante lo scandalo del Datagate avvenuto circa dieci anni dopo, nel 2013, (vicenda messa rapidamente a tacere da tutti i mass media occidentali), grazie alle prove e alle testimonianze portate da Edward Snowden (nome ancora sconosciuto ai più) che ancora una volta, metteva in guardia sulla crescente pervasività del controllo di massa e della sorveglianza applicata dai Governi, e la sempre maggiore restrizione della privacy e dei diritti fondamentali che ne derivavano, la popolazione mondiale ha continuato a ignorare il rischio. IL mondo ha preferito continuare la sua comoda vita. Ignorando ogni segnale dall’allarme, come bambini in il giorno dopo Natale, hanno continuato entusiasti e imperterriti a “giocare” con tutti i gadget tecnologici che via via gli sono stati messi a disposizione, giocattoli smart, sempre più tecnologici e sempre più connessi alla rete. Così miliardi d’inconsapevoli, anche per volontà e non solo perché vittime della propaganda, persone hanno aiutato a costruire le basi per il controllo di massa, accettando di “vendere” o “cedere” ogni informazione che li riguardasse, in ogni momento possibile, in ogni modo possibile e per ogni motivo possibile. E così, circa vent'anni dopo l’introduzione del Patriot Act che su quei dati si regge e ancora oggi si nutre, si sta oggi passando al passo successivo: l’utilizzo pratico dei dati stessi, al fine costringere la popolazione d’interi Paesi, a omologare il suo comportamento al fine di poter continuare a godere di libertà che, essendo diritti per definizione, “non dovrebbero essere soggette ad autorizzazione o restrizione alcuna.

Questo è il vero cambiamento conseguenza o, molto più probabilmente, causa degli attentati terroristici dell’11 settembre, attuati dalla più grande, importante e duratura organizzazione terroristica mondiale, quella costituita dai Governi e dalle agenzie d’intelligence USA. Infatti, è bene iniziare, anche tra chi ha compreso come stanno realmente le cose e chi sono i veri destabilizzatori del mondo a livello mondiale, a utilizzare bene le parole e a distinguere la popolazione degli Stati Uniti dai propri Governi, agenzie e apparati (al soldo dei potentati economici e finanziari), perché i fatti dell’11 settembre 2001 hanno chiaramente dimostrato che anch’essa è vittima, al pari del resto del mondo.

Stefano Nasetti

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