25 aprile, la festa dell’ipocrisia, dell’ignoranza e dell’occupazione. Parte1

(Questo articolo è stato suddiviso in due parti per facilitarne la lettura).

Parte prima - 25 aprile festa d’ipocrisia.

Da oltre settantacinque anni gli italiani, ogni 25 aprile fanno festa. Attività chiuse, scuole chiuse, uffici pubblici chiusi. Gli italiani non lavorano, si spostano (spesso) nelle località di villeggiatura, si riuniscono nelle case o nelle piazze per festeggiare e ricordare, ma cosa? La maggioranza di loro risponde perentoriamente “il 25° aprile è la festa della liberazione dal nazifascismo!”, qualcun altro timidamente aggiunge “… e dall’occupazione tedesca. È il giorno in cui finisce la dittatura e inizia la democrazia nel nostro Paese”. Ogni anno sentendo queste affermazioni ripetute in ogni dove, nelle case, negli uffici, nelle strade, nelle piazze, in televisione, sui giornali, da comuni cittadini, così come da personaggi televisivi, giornalisti, intellettuali, personalità politiche e rappresentanti delle Istituzioni e mi domando se tutte queste persone conoscono realmente la storia italiana del dopoguerra, e si rendono conto che la realtà è ben diversa da come appare e viene sovente raccontata nei libri.

Mi chiedo se sanno che il 25 aprile è solo una data simbolica, e non è erroneamente come molti pensano, né il giorno della “liberazione” di Roma con l’ingresso delle truppe statunitensi nella capitale (4 giugno 1944), né il giorno della deposizione del Governo Mussolini (24-25 luglio 1943), né il giorno dell’uccisione del Duce (28 aprile 1945), né tantomeno quello della resa dei tedeschi (29 aprile 1945), o quello della proclamazione della Repubblica (2 giugno 1946, non a caso “festa della Repubblica”) o, ancora, quello dell’entrata in vigore della Costituzione (1 gennaio 1948). Di riferimenti a questi eventi associati alla ricorrenza del 25 aprile, se ne sono sentite veramente di tutti i colori.

Se è vero che la festa del 25 aprile è ufficialmente denominata “Anniversario della liberazione d’Italia”, sarebbe opportuno innanzitutto, che si conoscessero realmente i motivi che hanno portato alla scelta di questa data, e non di un’altra, come data simbolica per la storia italiana. Cos’è successo quindi, un 25 aprile di oltre 75 anni fa di così importante da far considerare questa la data simbolo della nascita della democrazia italiana?

All’indomani dell’armistizio di Cassibile firmato dal Generale Badoglio, il 3 settembre 1943 (tornerò nella seconda parte di questo articolo sulle conseguenze nefaste di questo trattato, e sul personaggio Badoglio), l’Italia era militarmente, politicamente, socialmente e economicamente allo sbando. Seguirono mesi di guerra senza quartiere in tutto il territorio nazionale. Scontri tra militari italiani e gli ex alleati tedeschi, bombardamenti americani, britannici e tedeschi, fucilazioni, deportazioni, insurrezioni civili, scontri tra italiani di idee diverse e resistenze militari. Nessuno di questi eventi legati alla guerra però, ha direttamente a che fare con la ricorrenza del 25 aprile.

Questa data ha una forte connotazione politica (e quindi ideologica). È infatti, quella del giorno in cui (il 25 aprile 1945) a Milano, il Comitato Nazionale di Liberazione Alta Italia (CLNAI) presieduto, tra gli altri, anche dal futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini, proclamò l’insurrezione generale in tutti i territori ancora “occupati dal nazifascismo”. Nei giorni seguenti, in tutta Italia, le forze partigiane insorsero, ma solo il 3 maggio 1945 si ebbe la resa definitiva delle forze nazifasciste all’esercito degli Alleati. Secondo molti storici sarebbe quest’ultima la data della sconfitta definitiva del fascismo in Italia.

Se fin qui abbiamo ripercorso i principali accadimenti storici che hanno portato alla scelta della data del 25 aprile come data simbolo della liberazione d’Italia, è bene ora affrontare la questione da un punto di vista molto più concreto rispetto a quello della storiografia ufficiale. D’altro canto, come si dice, “la storia è scritta dai vincitori”, che spesso in virtù della loro acquisita posizione di potere, possono, nel corso del tempo, omettere o interpretare a loro piacimento alcuni fatti o le conseguenze degli stessi, trasformando in eventi positivi addirittura meritevoli di una festa nazionale, situazioni che non solo hanno causato migliaia di morti, che mistificano dei fatti mai accaduti, ma che ancora oggi incidono pesantemente, perché fortemente radicati nella mente dei cittadini, sulla democrazia e sull’indipendenza del nostro Paese.

Per spiegare tutto questo voglio partire dall’analisi delle parole associate alla festività del 25 aprile e che, come detto, sono contenute nel nome di questa ricorrenza. In particolare, la parola “liberazione”, contenuta in associazione a “d’Italia” nella denominazione di questa giornata, e “dal nazifascismo” quando solitamente viene pronunciata su giornali, televisioni, o dai politici e dai cittadini, contiene in entrambe le situazioni delle assolute falsità.

Comincio con l’espressione più comune, cioè quella di “25 aprile festa della liberazione dal nazifascismo”. Ogni cittadino italiano dovrebbe chiedersi, almeno una volta nella vita, se questa titolazione rispecchia realmente la realtà dei fatti. Prima di rispondere o rispondersi però, dovrebbe ripassare un po’ di storia, analizzare le circostanze in cui i fatti storici sopra indicati sono maturati, e le conseguenze che poi hanno realmente avuto, nel prosieguo della storia italiana fino ai giorni nostri.

Il regime fascista è durato formalmente 21 anni, dal 31 ottobre 1922 (giorno della nomina di Benito Mussolini a Presidente del Consiglio) al 25 luglio 1943 (data della sua destituzione). In questo ventennio il regime fascista ha goduto di un larghissimo consenso popolare, ed è solo grazie a questo largo consenso che è riuscito ad assumere il potere e durare così a lungo. Gli italiani sono stati in modo evidente e perfino dichiarato, favorevoli al fascismo salvo poi, improvvisamente riscoprirsi nel 1945 antifascisti.

“[…] In realtà, la stragrande maggioranza degli italiani nella prima metà del secolo scorso, è stata sedotta dal regime, lo ha sostenuto, supportato, ha attivamente collaborato con esso, magari denunciando e facendo arrestare e finanche deportare, chi si dichiarava contrario o chi non aveva “i requisiti” (vedi leggi razziali) per essere considerato un cittadino italiano. Ne ha quindi condiviso idee discriminatorie e metodi violenti, salvo poi, come detto, all’improvviso fingere, nel 1945, che tutto ciò che era accaduto fosse stata soltanto colpa di un solo uomo (Mussolini) e di pochi altri (i gerarchi). Il fascismo è stata la foglia di fico per mettere a tacere la propria coscienza. È stato un modo per non fare i conti con il passato. Nessun cittadino si è assunto con se stesso, ancor prima che di fronte agli altri, la responsabilità delle conseguenze delle proprie azioni.

Questo diffuso atteggiamento, ha fatto sì che l’Italia abbia pagato un prezzo altissimo nei confronti della memoria, nei confronti della storia.

Questo ha causato una sorta di amnesia collettiva, perché non si è mai parlato, o se ne è parlato solo in modo parziale, sommario e circoscritto, di quello che è stato il fascismo in Italia.

Lo si è condannato e basta, ma ciò che andava condannato non era il movimento fascista in sé, ma i metodi violenti e discriminatori.

La comoda amnesia collettiva, il fallimento nel riconoscere violenze e ferite che non guariranno mai e il non aver fatto i conti con sistemi totalitari, non ha consentito di avere oggi una vera, etica e profonda coscienza democratica.

Al contempo, ciò ha permesso la permanenza fino ad oggi, di una forte, latente e, sovente inconscia, nostalgia idealizzata per i metodi totalitaristici. Se Mussolini, Hitler, Stalin e Lenin, il fascismo, il nazismo e il comunismo sovietico sono morti, i metodi di tutti i regimi totalitari del novecento hanno lasciato un segno indelebile, presente ancora nelle generazioni di oggi (e non mi riferisco ai giovani, ma indistintamente a tutti), proprio perché le imposte “giornate della memoria” e l’insegnamento della storia nei percorsi scolastici, sono sempre state utilizzate soltanto a scopo politico e mai per una reale promozione dei valori democratici e, dunque per una crescita culturale della popolazione. […]” (brano tratto dal libro “Fact checking, la realtà dei fatti, la forza delle idee”).

 

Dall’inizio di questo millennio, tale onnipresente mancanza di cultura democratica e questa latente voglia di un ritorno dell’autoritarismo, sempre presenti e mai sopite, sono emerse in modo sempre più marcato, partendo paradossalmente proprio dalle Istituzioni che avrebbero invece dovuto garantire il mantenimento dei valori democratici formalmente presenti nella nostra carta Costituzionale, per poi diffondersi a macchia d’olio nell’opinione pubblica, grazie soprattutto al colpevole supporto di giornali e tv.

Censure, chiusure indiscriminate e immotivate di attività, impedimenti agli spostamenti sul territorio nazionale, segregazioni e sequestri di persona, intimidazioni, minacce, controlli da Stato di polizia, multe, arresti, divieti di manifestazione del proprio pensiero, radiazione dagli albi professionali, trattamenti sanitari obbligatori con farmaci sperimentali, omicidi di Stato, divieti di accesso se non muniti della “tessera del partito”, discriminazioni, campagne d’odio e propaganda, il tutto coordinato da un gruppo ristretto (ma neanche troppo) di persone considerate “autorità”, con una metodologia e con finalità proprie di quelli che il codice penale definisce “gruppi eversivi”, e con l’assenso, più o meno esplicito, o la colpevole complicità della gran parte della popolazione italiana, proprio in virtù di quella nostalgia di totalitarismo e della cronica assenza di una reale cultura democratica, di cui sopra. Tutto questo, che sembra la descrizione dei crimini nazifascisti di un secolo fa, è invece accaduto negli ultimi anni e accade ancora oggi!

Alla luce di ciò dunque, appare evidente che il 25 aprile non può essere considerata né definita, la “festa della liberazione dell’Italia dal nazifascismo”, perché i fatti degli ultimi anni dimostrano che il nazifascismo non è mai realmente sparito dal nostro Paese ma anzi, ha avuto il tempo di diffondersi e radicarsi, soprattutto nelle menti e nei comportamenti di quella parte di popolazione italiana che, in modo ipocrita, da sempre si definisce (ancora oggi, nonostante le evidenze) antifascista. Affermare che il 25 aprile sia la “festa della liberazione da nazifascismo” è una chiara ed evidente ipocrisia! Il 25 è la festa italiana dell’ipocrisia!

Sarà allora semplicemente la festa della liberazione, cioè dall’occupazione straniera?  

(Scoprilo leggendo la seconda dell’articolo cliccando qui).

Per approfondire il tema sullo stato della democrazia nel nostro Paese, consiglio la lettura del libro del 2021 “Fact checking - la realtà dei fatti, la forza delle idee”.

Stefano Nasetti

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