Come in Matrix: l’uomo come una pila per alimentare le macchine

(Questo articolo è stato pubblicato anche sulla rivista IL GIORNALE DEI MISTERI nel numero 559 di Gennaio/Febbraio 2022, con il titolo "La pelle elettronica: l'uomo diventa una batteria biologica")

Un bel giorno, all’inizio del ventesimo secolo, l’umanità intera si ritrovo riunita nel segno dei festeggiamenti. Grande fu la meraviglia per la nostra magnificenza mentre davamo alla luce l’IA, l’intelligenza artificiale, la cui sinistra coscienza produsse una nuova generazione di macchine. Ancora non sappiamo chi colpì per primo, se noi o loro. Sappiamo però che fummo noi ad oscurare il cielo. A quell’epoca loro dipendevano dall’energia solare e si pensò che forse non sarebbero riuscite a sopravvivere senza una fonte energetica abbondante come il Sole. Nel corso della storia il genere umano è spesso dipeso dalle macchine per sopravvivere. Al destino come sappiamo, non manca il senso dell’ironia. Un corpo umano genera più bioelettricità di una batteria da 120 Volt, ed emette più di 6 milioni di calorie. Sfruttando contemporaneamente queste due fonti, le macchine si assicurarono a tempo indefinito tutta l’energia di cui avevano bisogno!

Questo è uno dei dialoghi più significativi presenti nei primi minuti del film “Matrix”, in cui il personaggio di Morpheus (interpretato da Laurence Fishburne) illustra al protagonista Thomas Anderson, alias Neo (interpretato da Keanu Reeves), gli antefatti storici che hanno determinato la realtà che fa da sfondo all’intera storia della trilogia cinematografica di Matrix.

Al momento dell’uscita del film, gran parte delle circostanze narrate sembravano pura fantascienza. Nel 1999 (anno dell’uscita del film), non esistevano né smartphone né tablet. Internet, o meglio il World Wide Web aveva poco meno di dieci anni. I computer, per quanto in costante ed esponenziale crescita come potenza di calcolo, erano ancora delle semplici macchine che eseguivano comandi o programmi predefiniti dai loro programmatori. Non  erano capaci di apprendere dai loro errori, dalla loro esperienza come invece fanno le attuali IA, fondate su algoritmi auto correttivi, reti neurali artificiali, tecnologia quantistica e sensori ambientali di ogni tipo. Insomma, nel 1999, l’intelligenza artificiale (l’IA) era ancora ben lungi dall’essere una realtà tangibile.

E se la possibilità che le macchine dotate di IA potessero prendere il sopravvento sull’umanità sembrava un qualcosa di assolutamente fantasioso, ancor più folle e impossibile sembrava essere la finalità della rivolta delle macchine stesse, cioè la riduzione in schiavitù dell’umanità allo scopo di sfruttarne l’energia bioelettrica prodotta dai corpi.

Nel film infatti, non si parlava di uomini costretti a svolgere funzioni di produzione elettrica attiva, come potrebbe essere ad esempio, costringerli a pedalare su una cyclette collegata ad un alternatore o, per fare un altro esempio, costringerli a correre su una ruota a mo’ di criceti, per produrre elettricità. No, nulla di tutto ciò. Ciò che appariva del tutto assurdo era lo sfruttamento dell’energia prodotta “passivamente” dagli organismi umani, tenuti quindi in un perenne stato di sonno (e sogno, aspetto di cui ho già parlato in nell’articolo apparso su questa rivista nel bimestre Settembre-Ottobre 2021).

A distanza di soli vent’anni, la tecnologia ha fatto enormi passi in avanti. Non solo oggi disponiamo di intelligenze artificiali in grado di simulare perfettamente i comportamenti umani, al punto di riuscire a superare il test di Turing (cioè il criterio per determinare se una macchina sia in grado di esibire un comportamento intelligente), ma stiamo costruendo robot dalle sembianze umane con pelle artificiale dotata di tatto, di sensori olfattivi, termici, ottici.

Al contempo negli ultimissimi anni, si stanno moltiplicando studi e nuove tecnologie che consentono a dispositivi “indossabili” e micro robot di alimentarsi attraverso lo sfruttamento passivo del corpo umano (o più in generale di un essere vivente), in modo sempre più simile a ciò che era stato visto nella finzione cinematografica di Matrix.

Di esempi esemplificativi in tal senso, si è avuta notizia proprio nell’ultimo anno solare, sia attraverso pubblicazioni su riviste specializzate riservate agli addetti ai lavori o agli appassionati di tecnologia e biotecnologie, sia grazie alla pubblicazione sui maggiori quotidiani e sulle principali agenzie giornalistiche italiane.

Il 15 febbraio 2021 ad esempio, l’agenzia giornalistica Ansa, ha rilanciato uno studio pubblicato pochi giorni prima dalla rivista Science Advances, realizzato dai ricercatori dell’Università del Colorado a Boulder. I ricercatori hanno sviluppato un nuovo dispositivo indossabile a basso costo che trasforma il corpo umano in una batteria biologica. Nel descrivere il risultato del loro lavoro, i ricercatori stessi hanno fatto riferimento proprio alla tecnologia vista nel film Matrix.

Il dispositivo, è abbastanza elastico da poterlo indossare come un anello, un braccialetto o qualsiasi altro accessorio che tocchi la pelle. Attinge anche al calore naturale di una persona, utilizzando generatori termoelettrici per convertire la temperatura interna del corpo in elettricità, producendo un voltaggio sufficiente ad alimentare device elettronici come orologi o fitness tracker.

Il dispositivo è stato realizzato partendo da una base elastica e deformabile fatta di poliammina, su cui sono stati fissati dei sottili chip termoelettrici collegati con fili di metallo liquido.

Il dispositivo può generare un volt per centimetro quadrato di pelle, meno delle attuali batterie ma comunque abbastanza per alimentare piccoli dispositivi elettronici. Per generare più elettricità si possono aggiungere più moduli, componibili come mattoncini Lego.

I ricercatori stimano che una persona impegnata in una camminata a passo veloce potrebbe indossare un dispositivo grande quanto un braccialetto sportivo per generare 5 volt (più di quanto producano molte delle attuali batterie di orologi).

Il nostro design rende l'intero sistema elastico senza indurre troppa tensione al materiale termoelettrico, che può rivelarsi molto fragile”, spiega l'ingegnere meccanico Jianliang Xiao. Tuttavia il dispositivo è auto riparante! Se il dispositivo si rompe, è possibile riunire le estremità rotte, che nel giro di pochi minuti si saldano da sole. Una volta giunto a fine vita, il dispositivo può essere immerso in una speciale soluzione che separa le componenti elettroniche e dissolve la base di poliammina, rendendoli riutilizzabili. Il dispositivo potrebbe essere messo sul mercato tra 5-10 anni.

Un perfezionamento di questa tecnologia potrebbe essere in grado di sfruttare, ad esempio se applicato su un abito come una tuta aderente a contatto con la pelle, dispositivi di maggiori dimensioni.

Il progetto non è il primo tentativo di Xiao di fondere l'essere umano con il robot. Lui e i suoi colleghi hanno precedentemente sperimentato la progettazione di "pelle elettronica”.

È quanto hanno descritto in uno studio pubblicato sulla rivista Science Robotics appena un anno prima, nell’Aprile del 2020. I ricercatori della Caltech University avevano realizzato una pelle elettronica, alimentata dal sudore, in grado di monitorare i segni vitali. L'obiettivo era quello di usare questo sofisticato strumento per analizzare le informazioni ricavabili dal tessuto epiteliale.

"La nostra pelle può dire molte cose sulle nostre condizioni, dal calore al rossore, dalla pressione alle sensazioni di piacere o dolore", aveva affermato Wei Gao del dipartimento di Ingegneria medica presso la Caltech University. "La nostra e-skin, realizzata in gomma morbida e flessibile, viene applicata direttamente sulla pelle, e può essere incorporata con sensori che acquisiscono informazioni su frequenza cardiaca, temperatura corporea, livelli di zucchero nel sangue e indicatori della salute metabolica dell'organismo e persino i segnali nervosi che controllano i nostri muscoli", aveva aggiunto.

"Il dispositivo ha bisogno di batterie, perché funziona esclusivamente con celle a biocarburante alimentate da uno dei prodotti di scarto dell'organismo, il sudore. Una delle maggiori sfide con questi dispositivi indossabili riguarda proprio il consumo energetico", aveva affermato il ricercatore, aggiungendo che il sudore umano contiene alti livelli di lattato chimico, un composto generato come sottoprodotto dei normali processi metabolici, in particolare dai muscoli durante l'esercizio fisico.

"Le celle integrate nell'e-skin assorbono il lattato che si combina con l'ossigeno presente in atmosfera, generando abbastanza elettricità per alimentare i sensori e un dispositivo Bluetooth con cui l'e-skin trasmette le informazioni sull'organismo in modalità wireless. Elaborare una fonte di energia che potesse funzionare con il sudore infatti non era l'unica sfida nella creazione della e-skin", commenta Gao, precisando che “il dispositivo avrebbe dovuto garantire una efficienza prolungata con un'intensità di potenza elevata e un degrado minimo”.

Siamo riusciti a generare potenza stabile e continua grazie al sudore umano.

Nel frattempo però, anche altri gruppi di ricerca si sono concentrati nella creazione di tecnologie in grado di sfruttare, anche in altri modi, l’energia prodotta dal corpo umano in modo passivo. Così come nel caso precedente, gli scienziati hanno cominciato a sperimentare vari sistemi per alimentare micro e nano robot o addirittura sciami di nano robot.

Nel mese di Marzo 2021, la rivista Science Robotics ha pubblicato i risultati dello studio condotto dal gruppo dell’Istituto di bioingegneria della Catalogna, coordinato da Samuel Sánchez, in collaborazione con l’Università autonoma di Barcellona.

I ricercatori spagnoli hanno osservato per la prima volta il movimento collettivo di uno sciame di nano robot nell’organismo di un topo vivo.

Delle dimensioni di milionesimi di millimetro, i nano robot sono stati progettati per essere utilizzati in futuro, in medicina, ad esempio per scopi diagnostici, per identificare cellule tumorali, o per liberare farmaci in specifici distretti dell'organismo.

Per muoversi autonomamente all’interno della vescica dei topi vivi, i nano robot hanno utilizzato come combustibile l’urea presente nell’urina. Lo studio ha dimostrato la possibilità di utilizzare i “prodotti di scarto” dell’organismo come l’urina appunto, per produrre energia. Le osservazioni mostrano che la distribuzione dei nano robot è omogenea, una prova che il movimento collettivo è coordinato ed efficiente.

Questi nano robot – ha spiegato Sánchez - mostrano movimenti collettivi simili a quelli che si possono osservare in natura, come gli uccelli che volano in stormi o gli schemi ordinati seguiti dai banchi di pesci. Comprendere il comportamento collettivo di questi nano robot – ha concluso - è essenziale per fare passi avanti verso il loro impiego nella pratica clinica”.

Anche in questo caso fare un parallelo con le “sentinelle”, le macchine autonome che si muovevano e pattugliavano il sottosuolo del “mondo reale” di Matrix, è abbastanza facile quanto assolutamente naturale.

Ancora un mese, (siamo a Aprile 2021) e questa volta è la rivista Nature Communication ha pubblicare la notizia della creazione di un nuovo dispositivo in grado di alimentarsi sfruttando il corpo umano. Si tratta di un pacemaker che non ha bisogno di batterie esterne, perché si ricarica con il battito del cuore. Il dispositivo è nato dalla collaborazione fra il gruppo dell’Istituto di Tecnologia della Georgia (Geogiatech) coordinato da Zhong Lin Wang e quello dell’Istituto di Nanoenergia e Nanosistemi di Pechino dell’Accademia Cinese delle Scienze, coordinato da Zhou Li.

I tradizionali pacemaker fino ad ora utilizzati hanno il grosso limite essere alimentati da batterie ingombranti, rigide e di scarsa durata. Secondo gli autori della ricerca, questi inconvenienti sarebbero, invece, superati dal pacemaker che si auto-alimenta, un tipo di dispositivo sperimentato finora su modelli cellulari o piccoli animali, e che è stato testato in ultimo sui maiali.

Biocompatibile, flessibile e meccanicamente resistente, questo pacemaker, secondo i ricercatori, non è solo in grado di stimolare l’attività cardiaca, ma è anche capace  di correggere eventuali aritmie, prevenendo alcune anomalie come la fibrillazione ventricolare, che possono in alcuni casi portare alla morte. Il prossimo passo a cui il gruppo di ricerca si sta già dedicando, sarà quello modificarne le dimensioni, migliorarne l’efficienza e la sicurezza a lungo termine, per poterlo sperimentare anche sugli esseri umani. Si tratta quindi, di una macchina simbiotica, dal momento che svolge funzioni a vantaggio dell’organismo (in futuro l’uomo) che la ospita ma, al contempo trae energia per la sua “vita”, per il suo funzionamento da esso.

Infine nel Luglio 2021, la rivista Joule ha pubblicato i risultati di uno studio condotto dal gruppo dell’Università della California a San Diego, coordinato da Joseph Wang, che ha realizzato un piccolo dispositivo, che si applica come un cerotto, in grado di accumulare energia dal sudore dei polpastrelli di una mano.

Si tratta di una importante innovazione. I precedenti dispositivi energetici basati sul sudore come l’e-skin sopra descritta, richiedevano un esercizio fisico intenso, come una corsa o andare in bicicletta, mentre il nuovo dispositivo ha una resa assai più efficiente. Nell’e-skin, il rapporto tra energia consumata durante l’esercizio fisico e quella ricavata dal sudore, aveva una resa energetica di appena l’1%.

Invece, questo dispositivo non fa affidamento su fonti esterne irregolari, come il movimento: tutto ciò che occorre per raccogliere energia sufficiente ad alimentare alcuni piccoli dispositivi elettronici indossabili, è il contatto delle dita.

Flessibile e di dimensioni ridotte, circa un centimetro quadrato, il dispositivo può essere applicato facilmente sulla punta delle dita, per raccogliere simultaneamente energia da più fonti, anche durante il sonno, proprio come accadeva nel distopico mondo di Matrix.

Volevamo creare un dispositivo adatto all’attività quotidiana che non richiedesse quasi nessun investimento energetico. E questo congegno - ha concluso Wang - fa dimenticare di indossarlo, e si può andare a dormire, o ad esempio lavorare alla propria scrivania, continuando comunque a generare energia”.

Se un giorno collegassimo tra loro più persone che indossano simultaneamente tutte queste tecnologie, magari rese ancor più efficienti, potremmo sfruttarne l’energia complessiva per alimentare macchine enormi e che si muovono autonomamente in sciami, proprio come avveniva nel film Matrix? La risposta è, almeno dal punto di vista teorico e concettuale, un categorico ed inquietante sì. Come evitarlo? Basta non dirlo ai robot. Non vogliamo che abbiano strane idee.

Stefano Nasetti

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