Contatto Alieno: l’uomo chiama ET risponde?
(Questo articolo è stato pubblicato anche sulla rivista UFO INTERNATIONAL MAGAZINE nel numero di Aprile 2021)
Nel 1960 l’astronomo della Cornell University Franke Drake, inviò per la prima volta un segnale radio verso le stelle Tau Ceti ed Epsilon Eridani, dando inizio al Progetto Ozma. L’idea era di avvisare eventuali civiltà aliene della nostra esistenza.
Il segnale fu inviato dal telescopio da 25 metri di Green Bank alla frequenza di 1420 MHz (lunghezza d’onda 21 cm), che corrisponde alla riga spettrale dell’idrogeno neutro. I motivi di questa scelta furono essenzialmente due: da un lato l’atmosfera terrestre è particolarmente trasparente a quella lunghezza d’onda, in secondo luogo, essendo l’idrogeno l’elemento chimico più presente nell’universo, si pensò che fosse probabile che altre civiltà potessero utilizzare la sua frequenza di vibrazione per ricevere messaggi dal cosmo.
L’anno successivo fu tenuta una conferenza, sempre a Green Bank, dedicata al SETI. Il progetto, tutt’ora in corso, ha come obiettivo la ricerca di messaggi alieni. Durante quella conferenza lo stesso Drake formulò la sua famosa equazione che prende il suo nome, nella quale è stimato (qualitativamente) il numero di civiltà avanzate che potrebbero coesistere con noi nell’universo.
Parallelamente alla ricerca di segnali alieni però, l’umanità ha, nel corso della storia e in particolar modo negli ultimi 100 anni, inviato volontariamente o involontariamente, segnali nello spazio della propria presenza.
Da quando fu inventata la radio e poi con la televisione e oggi con i telefoni, i segnali elettromagnetici generati dall’umanità, si sono dispersi nello spazio in ogni direzione, superando ormai i confini stessi del nostro sistema solare. Viaggiando alla velocità della luce, i primi segnali radio emessi da Marconi e Tesla, hanno ormai raggiunto stelle distanti più di 100 anni luce da noi. Se ci fossero civiltà intelligenti che utilizzano una tecnologia simile, potrebbero averli captati ormai da tempo, comprendendo forse che noi siamo qui.
Se questi segnali della nostra presenza sono stati inviati involontariamente, oltre al primo tentativo di Drake, l’umanità ha tentato più volte e volontariamente di “lanciare” nel cosmo evidenze della nostra presenza.
Nel 1974 dal telescopio di Arecibo in Costarica, fu inviato un messaggio verso l’ammasso globulare di Ercole M13. In questo messaggio, ideato da Frak Drake e Carl Segan, composto in codice binario e secondo una tabella 23 x 73 elementi erano presenti indicazioni fondamentali sulla nostra civiltà:
- I numeri da 1 a 10
- I numeri atomici degli elementi quali idrogeno, carbonio, azoto, ossigeno e fosforo
- La formula degli zuccheri e basi dei nucleotidi del DNA
- Il numero dei nucleotidi del DNA
- Una rappresentazione grafica della doppia elica del DNA
- Una rappresentazione grafica di un uomo e le dimensioni di un uomo medio
- La popolazione della Terra
- Una rappresentazione grafica del nostro sistema solare
- Una rappresentazione grafica del telescopio di Arecibo.
La scelta della regione celeste verso la quale indirizzare il messaggi implicava che nessuna risposta sarebbe potuta giungere prima di diversi secoli. La costellazione di Ercole infatti, dista 25.000 anni luce da noi. Eppure nel 2001, nello Hampshire in Gran Bretagna, in un campo di grano vicino all’osservatorio di Chilbolton, apparve un pittogramma molto simile a quello raffigurante il messaggio inviato nel 1974 da Arecibo.
Il messaggio di Chilbolton fece molto “rumore” perché l’agroglifo era molto simile, all’apparenza, al messaggio di Arecibo. Sembrava essere dunque una risposta extraterrestre. C’erano infatti delle rilevanti differenze tra i due messaggi.
Il messaggio di Chilbolton, sebbene codificato allo stesso modo di quello di Arecibo, forniva informazioni diverse riguardo l’aspetto della figura raffigurata, gli elementi del DNA, la forma dell’elica del DNA, la popolazione del pianeta, la rappresentazione del sistema solare e quella dell’apparato di trasmissione. Gli alieni avevano dunque risposto?
Tutt’oggi si discute ancora sull’autenticità del messaggio. In molti sostengono che il messaggio di Chilbolton sia un falso, disegnato nottetempo da alcuni burloni nel campo di grano. A sostegno di questa tesi, evidenziano che nell’esatta zona di cielo verso cui il messaggio è stato inviato non ci sono stelle e pianeti. Pertanto è impossibile che in meno di 27 anni (26,4 anno per la precisione) una civiltà possa averlo ricevuto e inviato una risposta. Si è parlato, come unico candidato accettabile, di un pianeta del sistema di Hercules 86, stella non dissimile dal nostro Sole, posta a 26,4 anni luce da noi sulla traiettoria non del tutto ideale (con una leggera deviazione di 17 gradi) seguita dal fascio radio, a suo tempo inviato verso l’Ammasso Stellare M13 di Ercole. Il tempo di circa 27 anni è più o meno, in effetti, il tempo richiesto al messaggio di Arecibo da noi inoltrato verso la Costellazione di Ercole nel 1974, per raggiungere quel sistema stellare alla velocità della luce. C’è un problema però. Se quella di Chilbolton fosse realmente una risposta proveniente da una civiltà presente in quell’area, visto è stata ricevuta già nel 2001 più o meno in tempo reale, senza che trascorressero altri 26 anni per il “viaggio di ritorno”, gli "Ercoliani" dovrebbero essere in grado di oltrepassare la velocità della luce, cosa che per quanto ne sappiamo appare impossibile, se non chiamando in causa i wormhole, i tunnel di Einstein-Rosen, teorizzati dal fisico Albert Einstein nel 1936.
Altri sostengono invece che il messaggio possa essere autentico, poiché ritengano sia talmente complesso da realizzare in una sola notte, da farne escludere la realizzazione umana.
A sostengo presentano alcuni calcoli.
A differenza di altri “cerchi nel grano” apparsi in precedenza nelle campagne dello Hampshire e in altri luoghi del mondo, all’interno del agroglifo di Chilbolton ci sono quasi un migliaio di angoli retti che, nel caso in cui fossero di origine umana, sarebbero stati disegnati di notte e con l’assenza quasi totale di luci, ad eccezione di quella lunare. Una cosa difficile da credere e ancor più difficile da realizzare.
Già nel 2002, il Dr. Richard Hoagland e il Dr. Michael Bara, dell’Enterprise Mission, calcolarono che la probabilità per eventuali mistificatori di non commettere errori, e quindi di disporre gli oltre 800 angoli retti senza commettere nessun tipo di imprecisione (piegature sbagliate delle spighe di grano, imperfezioni nelle piegature, etc.) corrisponde a 2x10-8, quindi una probabilità su circa duecento milioni!
Ulteriori studi dei medesimi ricercatori, hanno permesso di calcolare il tempo approssimativo che 5-6 persone avrebbero impiegato per la realizzazione dell’agroglifo di Chilbolton, tenendo in considerazione una vasta gamma di variabili. Hoagland e Bara hanno stimato in almeno 31 ore il tempo necessario per la realizzazione di un tale disegno. Ben più delle 8 ore di una notte.
Ma i dati non finiscono qui. Lo stesso team di persone che avesse voluto creare tale disegno, avrebbe dovuto impiegare un’ottima fonte di luce artificiale, nonché l’utilizzo di walkie-talkie. Il tutto senza che nessuno, né il proprietario del campo, né gli addetti al vicino osservatorio astronomico, si accorgessero di nulla. Utilizzando la sola luce lunare come fonte di luce, le probabilità di realizzare con tale precisione quella figura scendono quasi zero. La formula finale ottenuta per stimare la effettiva probabilità di un eventuale creazione terrestre corrisponde così a7x10-11, cioè due probabilità su dieci miliardi!
In entrambi i casi, sia nell’ipotesi extraterrestre, sia nell’ipotesi terrestre, non ci sono evidenze oggettive e incontrovertibili che possano fugare qualunque dubbio, e il caso rimane aperto. Ritenere quello di Chilbolton una falso o una autentica risposta aliena, rimane ancora oggi una semplice opinione personale. Spacciarla per certezza, e non per opinione, in un senso o nell’altro è un atto intellettualmente poco serio e onesto, significa volersi ergere a detentori del sapere e tentare coscientemente di manipolare le persone che ascoltano o a cui ci si rivolge.