Ecco chi guadagna se il vaccino di Oxford e AstraZeneca contro il Covid19 funziona
Sono trascorse meno di 48 ore dalla notizia che il Governo, russo guidato dall’inviso (a buona parte dell’occidente filoamericano e dall’OMS) leader Vladimir Putin, ha messo a punto un vaccino contro il virus Sars Cov2 (e dunque contro la malattia che provoca, cioè il Covid 19), battendo sul tempo i maggiori colossi farmaceutici del mondo e molti Governi (tra i quali quello italiano) che hanno investito miliardi, scommettendo a “scatola chiusa” su “vaccini privati”.
Eppure, senza dati clinici da analizzare o altro genere d’informazioni scientifiche accurate (così hanno affermato tutti virologi di governo, chiamati a pronunciarsi sui mass media mainstram a proposito del vaccino di Mosca), queste poche ore sono state sufficienti alla comunità scientifica internazionale (o per meglio dire occidentale) a bocciare il vaccino russo anti Covid-19, chiamato Sputnik V, ritenendolo nel migliore dei casi inefficacie, se non addirittura dannoso.
Mi preme sottolineare, infatti, come a differenza di quanto affermato da molti organi mainstream (prendo l’Agenzia Ansa, poiché è la prima agenzia giornalistica d’Italia e la quinta nel mondo), che hanno titolato testualmente “La scienza mondiale boccia il vaccino russo”, la Scienza (quella vera, quella con la “S” maiuscola) non ha ancora bocciato nulla, proprio perché non sarebbero ancora consultabili (poiché ancora non pubblicati) tutti i dati scientifici riguardo al vaccino Sputnik V. Allo stato attuale quindi, non è certo possibile affermare, dati alla mano, che il vaccino sia inefficace o dannoso. È opportuno precisare che è stata, più correttamente, la comunità scientifica a bocciare il vaccino russo.
Ma sulla base di quali dati hanno fatto queste dichiarazioni? Siamo sicuri che queste opinioni, perché di opinioni, e non di Scienza, si tratta, siano state rese in totale buonafede e in modo disinteressato?
Domande che nella testa di ogni persona che è ancora in grado di formulare un libero pensiero, dovrebbero aver fatto certamente la loro comparsa. A maggior ragione se si ha un’idea di come funzioni il mondo scientifico. Ne ho parlato, ormai diversi anni fa, nel settembre del 2018 nell’articolo “La scienza ha un problema di fake news”, per poi tornare sull’argomento nel gennaio 2019 con l’articolo “La scienza avanza un funerale alla volta? Le superstar della scienza ostacolano il progresso scientifico?”, illustrando ulteriormente alcune dinamiche proprie del mondo della ricerca anche nel successivo articolo del febbraio 2019, dal titolo “La scienza è malata, a quasi nessuno interessa, in pochi se ne accorgono ma a molti fa comodo”, e poi ancora nell’articolo dell’ottobre 2019 dal titolo “I Furbetti della scienza italiana” nel quale sottolineavo come, dati alla mano, i problemi esposti in precedenza non riguardavano solo gli altri Paesi ma anche, e forse in modo più eclatante e tangibile, l’Italia. È importante conoscere queste realtà se si vuole avere una visione più reale e corretta del mondo in cui viviamo.
Un altro esempio proprio riguardo al mercato dei vaccini e ciò che gira attorno, lo avevo scritto, sempre nell’ottobre dello stesso anno (2019), nell’articolo dal titolo “Business dei vaccini: il vaccino per la dengue si dimostra più dannoso che utile”, proprio mentre l’allora sconosciuto (all’opinione pubblica) nuovo coronavirus Sars Cov19, faceva la sua comparsa silenziosa anche nel nostro Paese. (Il riferimento a questa mia ultima affermazione riguarda la notizia data dall’Istituto Superiore di Sanità nel mese di giugno 2020, secondo cui uno studio condotto attraverso l’analisi di acque reflue raccolte di Milano e Torino, in tempi antecedenti al manifestarsi di Covid-19, in Italia aveva dimostrato già tracce di Covid19).
Il pensiero dunque, che le affermazioni forse un po’ troppo frettolose della comunità scientifica possano celare degli interessi personali o di altro genere, appare più che legittimo. Che magari si tratti d’interessi economici?
“Le previsioni attuali lasciano immaginare che sia possibile avere un vaccino entro l'autunno 2020", hanno scritto in un documento pubblicato su Internet, gli esperti dell'istituto di riferimento del governo tedesco (dichiarazione ripresa anche da Ansa).
È legittimo domandarsi chi sarà a vincere quella che sembra una corsa più economica e politica che scientifica? La Russia, con l'annuncio fatto da Vladimir Putin, è stata, di fatto, il primo Paese a registrare il vaccino contro il nuovo coronavirus, saltando però, da quanto riportato dai media mainstram, alcune tappe. Non avrebbe, infatti, ancora completato la fase 3, quella in cui il vaccino viene testato su un vasto numero di persone per verificarne tossicità ed efficacia. Questa fase sarebbe partita solo ieri (il 12 agosto) su 2000 persone tra Russia, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Brasile e Messico, mentre la produzione di massa del vaccino dovrebbe iniziare già a settembre. Finora sarebbe stato provato solo su 76 volontari, ma i risultati di questa sperimentazione non sarebbero stati pubblicati e non dovrebbe perciò essere possibile a nessuno tra gli “scienziati” (le virgolette a questo punto sono d’obbligo) apparsi su tutte le testate mainstream nelle ultime 24/48 ore, potersi pronunciare in modo oggettivo, e quindi veramente scientifico, a favore o contro il vaccino russo.
È certamente possibile avanzare delle perplessità sull’iter russo, come hanno fatto alcuni come ad esempio, Francois Balloux, dell’University College di Londra, secondo cui la decisione di cominciare la somministrazione del vaccino Sputnik V sulla popolazione "è una decisione avventata e incosciente. Fare vaccinazioni di massa con un vaccino non testato adeguatamente non è etico". Oppure come l'immunologo Danny Altmann, dell'Imperial College di Londra, che teme che il vaccino possa causare una malattia più "grave, cosa che accade quando gli anticorpi generati dal vaccino entrano nelle cellule, dopo l'esposizione al virus". O Ancora come Carlo Federico Perno, virologo e direttore dell'unità di Microbiologia dell'ospedale Bambino Gesù di Roma, che ha riferito ad Ansa "in questo caso non abbiamo niente in mano, nessuna evidenza di efficacia e mancata tossicità". Peccato che non risultino dichiarazioni di questi signori (con la “s” minuscola) in merito a quanto avvenuto e sta avvenendo in Indonesia in relazione al vaccino della Dengue (vedi articolo sopra citato o quanto riportato sullo stesso argomento dalla rivista Science, situazione riguardo la quale la documentazione è copiosa). Mi meraviglierei se questi illustri, professionali e moralmente specchiati uomini di scienza, non fossero informati della situazione.
Per completare le sperimentazioni su un nuovo vaccino "servono in genere 4 o 5 anni. Certo, si possono prendere delle scorciatoie ma per ogni scorciatoia aumentano i rischi che il vaccino non funzioni o abbia degli effetti collaterali", aveva detto ormai 10 giorni fa (il 3 agosto 2020) a "Radio anch'io" il microbiologo dell'Università di Padova, Andrea Crisanti. I suoi colleghi virologi italiani, forse meno cauti e attenti alla salute delle persone, o forse più inclini al denaro, non più tardi di 4 mesi fa, all’inizio della mediatica pandemia in Italia, avevano detto che il tempo minimo per ottenere un vaccino sarebbe stato di 2 anni. Crisanti era stato, infatti, interpellato riguardo alla notizia dell’inizio della sperimentazione sull’uomo di alcuni vaccini che interessano da vicino l’Italia, come quello prodotto dall’Istituto Jenner di Oxford in collaborazione con AstraZeneca, e un altro messo a punto dall’Ospedale Spallanzani di Roma.
Eppure anche i vaccini appoggiati dai Governi occidentali stanno saltando molti passaggi se, come dichiarato più volte dalle autorità, tra meno di un mese saranno comunque pronti per essere somministrati alla popolazione. Su questi non sembra essere arrivata alcuna condanna unanime da parte della comunità scientifica. Perché? Se per ottenere un vaccino sicuro occorrono normalmente 48-60 mesi (come ricordato da Crisanti) anche i vaccini governativi delle multinazionali farmaceutiche finanziate dai governi occidentali saranno insicuri, poiché ottenuti solo dopo 6 mesi (la ricerca è partita ad aprile 2020), contro i 5 del vaccino russo. La differenza con il vaccino russo è minima e l’elevata insicurezza e la potenziale inefficacia o dannosità del vaccino è altrettanto elevata, in entrambi i casi, poiché si sarebbe ottenuto un vaccino in un decimo del tempo solitamente necessario per averlo. Se la collaborazione internazionale e i fiumi di denaro che hanno raccolto le case farmaceutiche per approntare un vaccino anticovid, possono aver favorito alcuni aspetti della ricerca, ricordiamo che la velocità di replicazione del virus, la risposta immunitaria nell’essere umano, così come l’eventuale comparsa di controindicazioni, non sono altrettanto sensibili al denaro, ma si muovono sempre alla medesima velocità. Alcuni tempi della ricerca quindi, quelli legati all'aspetto biologico, non possono certamente essere abbreviati.
Non entro in questa sede sulla svilente discussione se i vaccini siano utili o meno o se facciano male o no. Ritengo che essendo a tutti gli effetti dei medicinali, l’assunzione di un qualunque vaccino debba essere assolutamente a discrezione del singolo individuo, poiché l’inviolabilità del corpo rappresenta uno dei diritti cardine dell’essere umano e dei valori fondamentali della democrazia. Se si è realmente democratici, se si è realmente esseri umani (e non disumani) non dovreste farvi fuorviare da ragionamenti relativisti e ipocriti da film western del tipo “La tua libertà finisce dove inizia la mia!”
In democrazia non è così che funzionano le cose e il fine non giustifica i mezzi! Un diritto fondamentale individuale non può mai essere leso o messo in discussione da un interesse collettivo, poiché significherebbe mettere in discussione l’intero sistema democratico.
La corsa alla realizzazione di un vaccino è dunque un qualcosa di prettamente economico e politico, ancor prima di essere eventualmente una questione sanitaria.
Pochi giorni fa, un’inchiesta del Wall Street Journal ha rivelato i complessi intrecci d’interessi finanziari sorti dietro un'istituzione secolare come l'istituto Jenner della prestigiosa università britannica Oxford. Si tratta di quell’organismo che, assieme al colosso farmaceutico AstraZeneca, che si occuperà di produzione e distribuzione, ha ottenuto dal Governo Italiano a metà giugno 2020, ancor prima di avere in mano un vaccino valido, un ordinativo di ben 75.000.000 di dosi (alla modica cifra di 185 milioni di euro) da fornire già a settembre 2020. Ma con quale certezza d’immunizzazione? Con quale grado di sicurezza sotto il profilo della tutela della salute? Aspetti che probabilmente sono parsi secondari per i due contraenti.
Prima di proseguire, è necessario che tutti quelli che stanno leggendo quest’articolo, si pongano una domanda e rispondano sinceramente a se stessi: voi andreste mai a comprare qualcosa o fareste affari con un pluricondannato soggetto criminale, conoscendo la sua storia, il suo comprovato scadente profilo etico - morale e la sua altrettanto discutibile condotta legale?
Se siete persone oneste ed eticamente corrette, la vostra risposta sarà stata certamente un deciso NO.
Se invece avete una condotta altrettanto discutibile dal punto di vista etico e legale, allora è possibile che abbiate risposto Sì. D’altro canto con i criminali fanno affari solo i criminali.
In entrambi i casi è bene che prima di proseguire a raccontare i risultati dell’inchiesta del Wall Street Journal e di vedere chi ci guadagna se il vaccino anticovid dell’AstraZeneca, sponsorizzato dal Governo Italiano, dovesse “vincere la corsa” al vaccino anticovid, prendiate conoscenza e coscienza su chi è il colosso farmaceutico britannico, di cui ho già avuto modo di parlare in un articolo del gennaio 2017 intitolato “Potrebbe presto iniziare la schedatura sistematica del DNA di milioni di persone”.
L'AstraZeneca ha un passato non troppo limpido. È stata più volte condannata a pagare multe in USA per avere commercializzato illegalmente degli psicofarmaci. In Europa è stata condannata per aver utilizzato il sistema dei brevetti e procedure di commercializzazione per bloccare l'ingresso nel mercato di altre case farmaceutiche. È finita sotto inchiesta in Cina per un giro di tangenti. In Svezia per un conflitto d’interessi tra i giurati e i vertici dell'azienda, che ha “influenzato” l'attribuzione di un premio Nobel, assegnato a Harald Zuer Huser per il suo lavoro sul papilloma virus, perché l'AstraZeneca è proprio l'azienda che produce i due lucrosi vaccini contro il virus, vaccini che molti medici raccomandano alle adolescenti che si affacciano alla vita sessuale, e che rientra tra quelli “imposti” in Italia con la legge Lorenzin. Un affare lucrosissimo. In quel frangente era emerso che proprio due figure autorevoli nel processo di selezione di Zuer Huser avessero legami strettissimi con la multinazionale farmaceutica. Infine, nuovamente in Usa, l'AstraZeneca è stata nuovamente condannata per la commercializzazione dell'Iressa, un costoso farmaco rivelatosi poi totalmente inefficace, somministrato ai pazienti con cancro ai polmoni al fine di prolungare la loro sopravvivenza. (l'elenco del resto degli scandali di varia entità e natura è lunghissimo, documentato con tanto di sentenze di condanna a carico di quest’azienda, e lo trovate anche su Wikipedia, meglio se la versione in inglese). Più volte in procinto di essere acquisita dall’altrettanto discutibile colosso farmaceutico Pfizer, la società britannica è una delle maggiori aziende titolari di brevetti sulle sementi OGM, dopo la famigerata Monsanto.
Saputo ciò, avrete finalmente un’idea più precisa sui due contraenti attori dell’accordo sopra citato di meta giugno 2020, e sul perché non hanno dato troppo peso nella stipula del contratto, agli aspetti riguardo efficacia e sicurezza del vaccino.
L’AstraZeneca non è l'unica azienda privata destinata a realizzare lauti profitti se il vaccino contro il coronavirus elaborato dall'Istituto Jenner di Oxford, con il sostegno tecnico dell'italiana Irbm, si rivelerà efficace e lo farà prima della concorrenza. Infatti, anche nella famosa università britannica, si annidano investitori pronti a raccogliere i frutti di un successo, si legge nell’articolo del Wall Street Journal.
La cosa ovviamente non dovrebbe sorprendervi se avete letto gli articoli pubblicati nei mesi precedenti su questo blog (e che ho indicato all’inizio di questo post), ma dovrebbe certamente sconcertarvi e disgustarvi.
Tra loro vi sono due scienziati al centro del programma di ricerca e un misconosciuto fondo, avviato lo scorso anno da un ex trader di Deutsche Bank.
Vaccitech Ltd, la cui tecnologia è centrale per la realizzazione del vaccino, è stata finanziata dal governo britannico con 5 milioni di sterline, svela il Wall Street Journal. Il maggiore azionista di Vaccitech è un fondo di venture capital affiliato all'università, l'Oxford Sciences Innovation (OSI) lanciato nel 2015 per investire in startup in diverse aree, dall'immunologia al quantum computing, e rimettersi sullo stesso terreno di altre prestigiose istituzioni come Il Massachusetts Institute of Technology e l'Università di Stanford, in grado di rendere redditizi i migliori traguardi dei loro ricercatori. Si parla dunque di denaro e non di benefici per l’umanità. Ma chi è questo fondo che controlla Vaccitech? Chi sono i suoi principali azionisti?
OSI, che secondo le fonti sentite dal Wall Street Journal, controlla il 46% di Vaccitech, ha nel suo capitale la stessa università di Oxford, con il 5%, Google-Alphabet con il 3% e, con quote più piccole, diversi azionisti cinesi, tra cui Huawei, allo 0,7%. Il principale azionista, con il 20%, è però Andre Crawford-Brunt, ex trader di Deutsche Bank che ha creato un fondo dal nome ispirato a Game of Thrones, Braavos, allo scopo preciso di entrare OSI. Con l'intenzione di salire ancora nel capitale della holding, che nell'ultimo round di finanziamenti ha raccolto 600 milioni di dollari da diversi hedge fund (un fondo speculativo), Crawford-Brunt controlla circa il 9% di Vaccitech. Infine, a una partecipazione non disprezzabile potrebbe ambire lo stesso governo britannico, che ha facoltà di trasformare il proprio finanziamento a favore di Vaccitech, circa 5,5 milioni di euro, in una quota della società, che ha 38 dipendenti ed è valutata 86 milioni di dollari.
Gli stessi cofondatori di Vaccitech, Adrian Hill e Sarah Gilbert, sono i due scienziati che guidano il programma di ricerca per il vaccino anticovid, essendo allo stesso tempo proprietari di brevetti fondamentali per il suo sviluppo. Secondo la ricostruzione del Wall Street Journal, i due controllerebbero una quota intorno al 10% della Vaccitech.
"La complessa rete d’investitori illustra i misconosciuti interessi finanziari spesso in gioco nello sviluppo delle innovazioni scientifiche, anche in istituzioni come Oxford che sembrano sconnesse dai mondi dei grandi investitori e delle grandi aziende", ha concluso il Wall Street Journal. "Ho una visione molto a lungo termine", ha detto Crawford-Brunt, "il Covid ha gettato un'enorme luce su quello che succede davvero a Oxford".
Il Wall Street Journal come tutti i media mainstram, non è certamente un giornale realmente indipendente e, con buona probabilità è possibile che l’inchiesta, per quanto affidabile, sia stata “commissionata” per denigrare il vaccino “europeo” a vantaggio di quello “made in USA”, in via di sperimentazione. Anche in questo caso dunque, la questione continua ad apparire più politico economica piuttosto che scientifica.
Ci sono molti interessi economici in ballo negli stessi stati europei affinché, nella corsa al vaccino anticovid, risulti vincente la cordata britannica. Se, infatti, il vaccino dovesse risultare efficace, gli ordini fioccherebbero da tutto il mondo, per gonfiare le tasche di questi nobili e “disinteressati” soggetti azionisti di Vaccitech e di AstraZeneca, e di tutti quelli che hanno in qualche modo “contribuito” al successo non solo del “prodotto industriale” in questione, ma addirittura del metodo.
Infatti, la forma indebolita del virus, estratta da uno scimpanzé, alla base della tecnica di Vaccitech del vaccino anticovid19, che sarà distribuito da AstraZeneca, se coronata da un successo nella lotta al Covid19, potrebbe ottenere il via libera per altre applicazioni. Queste includono un vaccino per il papilloma virus, l'epatite B (da fornire sempre ai Governi Europei) e il cancro alla prostata, aprendo scenari e canali di vendita molto proficui per Hill, Gilbert, la Vaccitech e i suoi azionisti, l’Università di Oxford, il Governo Britannico e, non certamente ultima l’AstraZeneca. In ballo dunque, c’è molto di più del mercato, già di per sé molto proficuo, del vaccino anticovid19.
Certamente non avrà fatto piacere a molti scienziati e virologi italiani, molto vicini alla casa farmaceutica britannica e non solo, vedere che la Russia ha depositato il proprio vaccino anticovid, bruciando all’ultimo momento molti altri Paesi che apparivano in vantaggio.
Da alcune fonti (non ufficiali), infatti, risulta che, all’indomani della registrazione del proprio vaccino anticovid avvenuta non più di 48 ore fa (l’11 agosto 2020), la Russia avrebbe ricevuto già ordinativi per oltre 1 miliardo di dosi, da oltre 20 Paesi. Se ciò fosse vero, sarebbe un vero dramma economico pari a una potenziale perdita di miliardi di euro per le multinazionali farmaceutiche occidentali. Tutto ciò considerato, si può così spiegare la repentina e mediatica bocciatura senza mezzi termini del vaccino russo Sputnik V?
Pensare che al giorno d’oggi, in un mondo in cui si è perso qualunque valore umano, soffocato dal relativismo di stampo progressista, ci sia una reale e disinteressata corsa mondiale a fare il bene dell’umanità è un pensiero che è bene lasciare a chi crede ancora a Babbo Natale.