Forme di vita nel deserto più inospitale della Terra: su Marte come in Cile?
Atacama è il più inospitale deserto del nostro pianeta, la cui distesa torrida e sabbiosa si estende per mille chilometri dalla costa del Pacifico verso l’entroterra. Spesso è utilizzato per la simulazione delle esplorazioni spaziali su Marte.
I due luoghi distanti tra loro oltre duecento milioni di chilometri, hanno in comune molto di più di quanto si possa immaginare. Non soltanto la conformazione del terreno ci appare simile al punto che i rover inviati su Marte sono testati qui, ma condividono anche le condizioni di vita estreme e, a quanto pare forse non solo questo.
Secondo un nuovo studio internazionale guidato dall’Ames Research Center della Nasa, nascoste nell’immenso deserto di Atacama in Cile, potrebbero esserci forme di vita. Proprio come nei meandri del mondo rosso, ipotesi o per meglio dire ormai certezza, su cui gli astronomi di tutto il mondo stanno lavorando da qualche tempo, con la continua pubblicazione di studi basati sui dati raccolti dai rover giunti sul pianeta rosso, dalle evidenze fotografiche e chimiche fornite e con sforzi raddoppiati dopo la recente scoperta di acqua liquida e salata sotto la superficie marziana, scoperta che lascia presagire la possibilità dell’esistenza di forme di vita presenti ancora oggi.
Il team dell’agenzia spaziale statunitense ha trasportato un nuovo modello di rover nel deserto cileno, scandagliandone il sottosuolo per verificare l’eventuale esistenza di vita microbica.
I risultati, pubblicati il 28 febbraio scorso (2019) su Frontiers in Microbiology, fanno ben sperare. Infatti, i campioni prelevati dal rover una volta analizzati in laboratorio, hanno mostrato tracce di microbi che i ricercatori hanno definito insoliti e altamente specializzati. Le tracce sono simili a quelle trovate e fotografate su Marte dal rover Curiosity e che, negli anni scorsi sono stati oggetto di una ricerca dell’Università di Siena. In questa circostanza i ricercatori italiani si erano detti certi che quelli fotografati da Curiosity fossero la prova inconfutabile della passata esistenza di vita sul pianeta rosso.
Lo studio appena pubblicato su Frontiers in Microbiology non dimostra ovviamente che ci sia stata vita su Marte, ma che la strada intrapresa dalle varie agenzie spaziali (NASA ed ESA) di cercare vita nel sottosuolo di Marte è la cosa più plausibile da fare.
“Abbiamo dimostrato che un rover robotico può prelevare porzioni del sottosuolo in uno dei deserti terrestri più simili a Marte” – commenta Stephen Pointing dello Yale-Nus College di Singapore, responsabile dell’analisi microbica. “Questo è importante perché molti scienziati concordano sul fatto che eventuali forme di vita su Marte debbano trovarsi nel sottosuolo, per sfuggire alle rigide condizioni della superficie come le alte radiazioni, le basse temperature e l’assenza di acqua. I microbi che abbiamo trovato nell’Atacama si sono adattati a un ambiente molto ricco di sali, simile a quello che ci possiamo aspettare nella sottosuperficie marziana.”.
Al di là della fattibilità della ricerca della vita marziana con rover autonomi, l’aspetto più interessante si legge nelle parole e nelle affermazioni presenti nelle conclusioni dello studio.
Si legge, infatti: “La rilevanza dell'ecologia e degli habitat microbici alla vita passata e possibile esistente su Marte stanno finalmente emergendo nella ricerca robotica di evidenze biologiche su Marte (Warren-Rhodes et al., 2007; Cabrol, 2018). Come suggerisce il nostro studio, la rilevazione di tale vita o le sue biografie residue può rivelarsi molto difficile, dato che nei deserti più estremi sulla Terra queste comunità sono estremamente disomogenee nella distribuzione e si verificano con biomassa eccessivamente bassa. L'apparato di perforazione impiegato in questo studio ha dimostrato che le bio evidenze dei sedimenti sotterranei possono essere recuperate autonomamente, sebbene la delineazione precisa della profondità richieda un perfezionamento con l'approccio di perforazione del morso utilizzato in questo studio. Mentre evidenze biologiche genetiche come il DNA utilizzato nel nostro studio potrebbero non essere il metodo principale impiegato per cercare tracce di vita su Marte, sono il metodo più affidabile e ampiamente utilizzato attualmente disponibile per la stima della diversità microbica (Thompson et al., 2017; Delgado-Baquerizo et al., 2018). Quest’approccio ha fornito una prima prova essenziale del concetto che una firma biologica incontrovertibile nel probabile intervallo per le variabili geochimiche in un ambiente sottosuperficiale abitabile può essere recuperata da un sedimento di tipo marziano usando un rover autonomo.”.
Come già evidenziato nel mio ultimo libro, la vita su Marte è già stata trovata al punto che nell’ambito della comunità scientifica (ma non ancora quando ci si rivolge al pubblico) non si parla più di Marte in termini di pianeta deserto, quanto invece considerandolo in termini di biosfera. Molti addetti ai lavori lo sanno già molto bene. Tant’è che concepiscono la vita passata ormai come dato acquisito, riservando la “possibilità” solo a quella a oggi esistente, come si legge testualmente nella frase “La rilevanza dell'ecologia e degli habitat microbici alla vita passata e possibile esistente su Marte stanno finalmente emergendo nella ricerca robotica di evidenze biologiche su Marte (Warren-Rhodes et al., 2007; Cabrol, 2018) ... ”. Le prossime missioni quindi, andranno a cercare la vita, ma non quella passata, ma quella presente come si evince dalla stessa frase.
Mentre in un altro punto si evince anche che le aspettative sono quelle di trovare vita in forme diverse. Si afferma, infatti: “… sono il metodo più affidabile e ampiamente utilizzato attualmente disponibile per la stima della diversità microbica (Thompson et al., 2017; Delgado-Baquerizo et al., 2018)…”. Anche in questo caso, le aspettative che riguardano il presente poiché la biodiversità marziana nel passato è già un dato assodato, come accennato in precedenza.
Le citazioni di altri studi evidenziano e confermano quanto ho già avuto modo di affermare. Gli studi a cui fanno riferimento gli scienziati partono da presupposti ben precisi (tra l’altro esplicitamente esposti nello studio di Cabrol pubblicato su Astrobiology nel gennaio 2018):
- L'origine della vita marziana e la sua somiglianza con la biologia terrestre.
- L’abitabilità di Marte nel passato.
- La scoperta della chimica organica su Marte.
- La vita marziana si sarebbe evoluta localmente o migrata verso i siti proposti dai suoi ambienti di origine, così come si ritiene sia avvenuta sulla Terra.
Prove generali per adesso concluse con successo dunque, in attesa di riuscire a prelevare campioni dagli strati più profondi del mondo rosso. Con le future missioni su Marte programmate per il 2020, sia Nasa sia Esa puntano, infatti, a perforare il suolo marziano fino a due metri di profondità, con la speranza di raggiungere eventuali comunità microbiche marziane ancora in vita.