Il metano rivela (di nuovo) le contraddizioni della scienza? No, forse solo le contraddizioni degli “scienziati”.

Ci si può fidare della scienza? Questa è la domanda che forse mai come oggi, si sono posti e si pongono la maggioranza degli esseri umani del pianeta. Accantonando quell’ampia fetta di popolazione che guarda ormai alla scienza come fosse una religione, e quindi senza porsi alcuna domanda o dubbio, miliardi di altre persone, ormai quotidianamente, s’interrogano su questo importante quesito. D’altro canto “… in un mondo che è stato creato su scienza e tecnologia, in cui nessuno sa nulla di scienza e tecnologia” (cit. Carl Segan – astronomo e astrofisico statunitense), e in cui la scienza ha ormai assunto un ruolo e un’ingerenza nelle scelte politiche e sociali di ogni Governo, il dubbio è più che mai legittimo.

Per poter rispondere nel dettaglio a questo importante quesito, bisognerebbe innanzitutto aver chiara la distinzione tra scienza (intesa come l’insieme di risultati oggettivi) e comunità scientifica, e quindi tra il resoconto di un risultato sperimentale e l’opinione di uno scienziato, tra risultato oggettivo e studio pubblicato. Bisognerebbe poi conoscere con esattezza cosa s’intende per metodo scientifico, chi e come vengono finanziate le ricerche scientifiche, perché sono finanziate alcune ricerche e non altre, come avviene la pubblicazione di un articolo scientifico, come funziona l’editoria scientifica, cos’è la peer review, quali sono i sistemi di valutazione internazionali dell’affidabilità e dell’autorevolezza dei ricercatori, come quest’aspetto influisca sulla carriera e sull’ottenimento dei finanziamenti per una ricerca, o per l’ottenimento di cattedre universitarie o posizioni di rilievo nei sempre maggiori organi “scientifici” che si affiancano ai Governi politici, quali sono gli interessi economici che ci sono nel settore scientifico, per non parlare di tutti i problemi che esistono in tutti queste realtà del mondo scientifico-accademico, e molto altro ancora.

Senza conoscere tutti questi aspetti, ogni persona che si propone di rispondere, in un verso o nell’altro, alla domanda che fa da incipit a quest’articolo, rischia di prendere un abbaglio o di suggerire a chi lo ascolta, una risposta fuorviante. (Se t’interessa approfondire quest’argomento troverai su questo blog, articoli in cui ho trattato alcuni di questi aspetti o, se preferisci, potrei approfondirli più nel dettaglio nel mio libro “Fact checking – la realtà dei fatti, la forza delle idee”, in cui c’è un intero capitolo di oltre 70 pagine dedicate all’argomento).

Tuttavia, anche senza conoscere tutti questi aspetti, ogni tanto appare evidente (anche al di fuori dei temi di attualità, legati a ciò che è accaduto dal 2020 a oggi) in molti settori scientifici, in apparenza insospettabili, come esistano dinamiche interne al mondo scientifico in grado di alterare la percezione dell’opinione pubblica su certi temi, e che vanno ad influire negativamente sull’avanzamento della conoscenza scientifica umana.

Negli anni scorsi avevo già pubblicato su questo blog (e poi sulla rivista “I misteri dell’archeologia”) un articolo dal titolo “Gobekli Tepe: due pesi e due misure”, in cui facevo un esempio molto chiaro di come talvolta, ci sia la diffusa tendenza a interpretare a proprio piacimento alcuni assunti scientifici. Talvolta alcuni dati oggettivi o alcune metodologie non vengono prese in considerazione perché considerate “non scientifiche” (spesso quando queste mettono in crisi o contraddicono le teorie prevalenti, ne ho parlato diffusamente nel mio primo libro “Il lato oscuro della Luna”), in altri casi, le stesse metodologie vengono addirittura prese come base per costruire su di esse conferme alle teorie e alle “interpretazioni scientifiche” prevalenti, generando contraddizioni che spesso sfuggono al cittadino medio.

L’esempio portato nell’articolo citato, riguardava l’archeologia e l’astronomia, tuttavia potrei citare numerosi altri esempi riguardanti i campi della geologia e dell’astrofisica che chiamano in causa la biologia e la storia per come ancora oggi ci viene insegnata. Se i motivi di queste contraddizioni sono da ricercare nei problemi e nelle dinamiche del mondo scientifico e di chi ne fa parte e/o lo gestisce (l’invito è sempre quello di approfondire nei modi sopra suggeriti), con il passare del tempo, sempre più discipline si aggiungono all’elenco delle materie che risentono di questi problemi.

Questa volta, a evidenziare l’ennesima contraddizione, tipica del relativismo che condizione ogni campo della vita nella civiltà umana moderna, è il metano. No, nulla a che vedere con ciò che sta accadendo tra Nato e Russia. Il metano di cui parlo è quello che si trova nell’atmosfera terrestre e quella di altri pianeti. La materia in cui è emersa l’ennesima contraddizione nell’interpretazione e nelle dichiarazione dei ricercatori, degli “scienziati” dalle labbra dei quali molti oggi pendono, è l’astrobiologia.

L’astrobiologia è da sempre un argomento molto delicato, in cui è necessario muoversi con i piedi di piombo, sia per l’oggettiva difficoltà della materia (i ricercatori che cercano vita extraterrestre hanno come punto di riferimento, come metro di misura, soltanto un esempio di vita: quella terrestre), sia perché quando si parla di vita extraterrestre molti saltano a pie’ pari, come si suol dire, direttamente dalla vita microbica alla vita aliena intelligente, dimenticando che una non esclude l’altra, ma anche che non necessariamente la vita aliena deve o può svilupparsi in una forma intellettualmente evoluta. 

Fatte salve però queste doverose considerazioni, non è possibile esimersi dal non evidenziare le contraddizioni di certe valutazioni, in special modo quando queste riguardano aspetti così specifici com’è quello riguardante il metano.

In uno studio supportato dalla Nasa e coordinato dalle Università della Califonia-Santa Cruz e di Washington, pubblicato nel mese di Marzo 2022 sulla rivista Proceeding of the National Accademy of Science, si è voluto realizzare un qualcosa d’inedito nell’ambito della valutazione delle condizioni che un pianeta dovrebbe avere per affermare che la presenza del metano nella sua atmosfera, sia collegabile alla presenza di vita.

In particolare, gli autori dello studio, hanno voluto realizzare una guida alle osservazioni da svolgere su un determinato corpo celeste e alla loro interpretazione, per evitare dei casi che potrebbero essere definiti “falsi positivi”. Infatti, se è vero che il metano è un possibile indicatore della presenza di forme di vita su un pianeta (sulla Terra la quasi totalità del metano è di origine animale), è anche vero esistono una serie di fonti di metano non biologiche, in grado di mantenere nell’atmosfera una certa quantità di questo gas.

Vulcani, reazioni chimiche che avvengono in particolari ambienti (dorsali oceaniche, condotti idrotermali, zone di subduzione tettonica), impatti di comete o asteroidi, possono liberare metano nell’atmosfera di un pianeta, senza che su questo esista vita. Il metano di quest’origine ha però vita breve!

Secondo lo studio in questione, l’ipotesi del metano come biofirma deriva dalla sua instabilità nell’atmosfera: dal momento che viene distrutto dalle radiazioni solari, il gas deve essere continuamente reintegrato per mantenere un livello significativo registrabile dalle strumentazioni. Ciò comporta che se su un pianeta viene scoperto una quantità significativa di metano, è chiaro che deve esserci una sorgente costante che ne possa giustificare la presenza. È ormai acclarato che sulla Terra il metano presente nell’atmosfera è di origine animale, ma è altrettanto certo che in passato, anche quando la presenza di forme di vita complesse era minore o assente, la quantità di metano nell’atmosfera terrestre era continuamente generata da attività microbica (ne abbiamo evidenza oggettiva nei segni delle rocce o nei ghiacci polari).

Anche alla luce dei risultati di questo studio (che si aggiunge ad altri già fatti in passato e che sono giunti alle medesime conclusioni), le fonti non biologiche non sarebbero in grado di produrre, nel lungo periodo (parliamo di milioni o anche miliardi di anni), quantità di metano in modo costante, per di più senza che siano osservabili in modo chiaro indizi sulle sue origini (eruzioni vulcaniche, emissioni e quindi evidenza di complessi idrotermali, evidenti movimenti geologici e tettonici, crateri da impatto di recente formazione, ecc.).

In sintesi, i ricercatori hanno concluso che è sempre necessario considerare l’intero contesto planetario nella valutazione delle potenziali firme biologiche, e che per un pianeta roccioso in orbita attorno ad una stella simile al Sole, è più probabile che il metano atmosferico, ove presente, vada considerato come evidenza indiretta ma certa, di una forma di vita se l’atmosfera include anche anidride carbonica.

Anche questo studio dunque, conclude che il metano è un potenziale indicatore dell’esistenza di vita, tant’è che molte testate scientifiche, compresa Globalist Science, house organ dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), hanno commentato, al pari di tutte le altre testate scientifiche ufficiali, che “… la biofirma del metano può essere individuata anche dal telescopio spaziale Webb”, che potrà quindi essere utilizzato per analizzare le atmosfere di alcuni degli esopianeti finora scoperti (sono oltre 5.000), al fine di rispondere alla domanda riguardo la vita oltre la Terra.

“Bene, ma dov’è la contraddizione?” si chiederanno in molti. Il punto è che tutte le caratteristiche ritenute essenziali per considerare il metano come evidenza della presenza di vita su un altro pianeta, ivi compresa l’esclusione di tutte le altre fonti non biologiche, descrivono perfettamente tutto quanto è stato rilevato dalle sonde presenti sul posto (orbiter, rover e lander), e non semplicemente da un telescopio spaziale posto a miliardi di chilometri di distanza, che si limita ad analizzare l’atmosfera del pianeta solo attraverso l’analisi dello spettro luminoso della stessa, sulla superficie di un corpo celeste del nostro sistema solare, cioè Marte!

Ora c’è da chiedersi (o meglio qualcuno della comunità scientifica) dovrebbe spiegarci per quale ragione (oggettiva e non opinabile) su Marte, dove sappiamo che è presente il metano, che la sua quantità varia con il variare delle stagioni, dove sono palesemente assenti fenomeni non biologici che possano giustificarne la presenza ciclica (ne ho parlato negli scorsi anni in altri articoli di questo blog, oltre che nel libro “Il lato oscuro di Marte, dal mito alla colonizzazione”), ancora non si vuole pubblicamente ammettere (perché di evidenze ne sono già state raccolte – leggi qui) che sono presenti forme di vita.

Esiste ed è evidente una contraddizione nell’applicazione e nella valutazione dei dati scientifici, e una certa ritrosia ad ammettere quella che è, a tutti gli effetti, la scoperta di vita extraterrestre.

La sensazione è quella che non si voglia accettare questa evidenza per diversi motivi, non ultimi quelli di aver fatto apparire per decenni come degli idioti o degli ignoranti scientifici, quelli che sostenevano l’esistenza di altre forme di vita extraterrestre, l’aver costruito le proprie carriere sulla conservazione della tradizionale idea dell’unicità della vita terrestre.

Ammettere oggi che ci si sbagliava e che “quegli ignoranti scientifici” avevano invece ragione, rischiando di mettere in discussione la propria posizione di potere e il proprio prestigio scientifico, è un qualcosa di molto difficile. La comunità scientifica sembra quindi, quasi tacitamente, cercare di rinviare questo tipo di ammissione o “scoperta”, il più in là possibile, fin quando non saranno ritrovate forme di vita vive e vegete sul pianeta rosso o su un altro corpo celeste. Nel frattempo si cerca di “lavare” la propria immagine da posizioni ormai antiquate e conservatrici, dichiarandosi aperti alla possibilità di vita extraterrestre, ma su mondi lontani da noi, in cui è oggettivamente impossibile accertare concretamente la presenza di forme di vita (è attualmente per noi impossibile, almeno ufficialmente, coprire le distanze che ci separano da altri sistemi solari, anche solo con missioni robotiche), lasciando così quella che ormai sembra una certezza, nel solo campo delle possibilità.

In merito alla domanda posta all’inizio di quest’articolo sul fatto se ci si possa fidare della scienza, sebbene rimanga l’invito già fatto di approfondire quest’argomento, possiamo certamente affermare che della scienza, quella vera, quella fatta di risultati oggettivi frutto di esperimenti ben eseguiti e valutati senza alcun condizionamento e preconcetto, possiamo certamente fidarci.

Al contempo però, dobbiamo necessariamente diffidare di tutti coloro che amministrano, gestiscono, e operano all’interno di essa (ricercatori, scienziati, istituzioni, ecc.). Ciò non significa che tutti questi siano sempre e necessariamente dei negligenti o dei mentitori seriali, ma vuol dire che non dovremmo mai pendere dalle loro labbra e prendere per oro colato tutte le loro affermazioni, senza prima aver valutato tutti gli altri aspetti, a cui ho fatto cenno, che circondano, condizionano, orientano (a volte) e determinano i risultati di una ricerca, la sua pubblicazione, la sua divulgazione e la sua considerazione generale.

Stefano Nasetti

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