Il titolo di studio, non è sinonimo di cultura e la cultura non è sinonimo d’intelligenza.

Siamo portati a credere che all’aumento del numero dei diplomati e laureati in Italia negli ultimi trent’anni, sia conseguita un generale aumento della cultura e della capacità di comprensione del mondo, derivante dallo sviluppo di una maggior senso critico.

Quest’incapacità di analisi alimentata e promossa dalla cultura relativista, sta progressivamente atrofizzando le menti, rischiando di far diventare i cittadini solo dei “transiti di cibo” (come diceva Leonardo Da Vinci) più che di portatori di conoscenze, idee, sentimenti di partecipazione solidale e sociale.

In barba al crescente numero di individui diplomati o laureati, il processo diseducativo in atto da circa venticinque anni in Italia, è stato “certificato” da uno studio del 2016, compiuto dall’esperto linguista ed ex Ministro dell’Istruzione negli anni ’90, Tullio De Mauro (e poi ripetuto da diverse istituzioni con cadenza annuale fino al 2023 con i medesimi risultati, in diverse scuole di ordine e grado).

Il linguista ha condotto per oltre un lustro, un’analisi dei livelli di analfabetismo nel nostro Paese, concentrandosi in particolare, su quello che viene oggi definito “analfabetismo funzionale”, vale a dire l’incapacità che vanno dalla lettura alla comprensione di un testo, anche molto semplice.

Le persone afflitte da analfabetismo funzionale non sono in grado di “comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire poi attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”.

De Mauro si è avvalso dei dati di un’indagine comparativa internazionale del 2014, promossa dall’Ocse (Organizzazione di Cooperazione e Sviluppo Economico), che ha definito cinque livelli di alfabetizzazione: analfabetismo totale, livello minimo ma insufficiente di comprensione e scrittura, e tre successivi livelli di crescente capacità di comprensione. Comparando tali dati con quelli della popolazione italiana è emerso che il 70% di essa in età da lavoro (16-65 anni), si colloca nei due livelli più bassi, guadagnandosi un poco lusinghiero ultimo posto assieme alla Spagna.

Inoltre meno del 30% della popolazione capisce come funziona la politica e, all’interno di questa parte di cittadini italiani meglio alfabetizzata, solo una piccola percentuale (pari circa al 10%) capisce le lingue straniere e i linguaggi tecnici che sono, come vedremo, sempre più spesso utilizzati dai politici e dai mass media.

Non si può quindi non pensare che una simile e accertata condizione di analfabetismo così diffuso (irrilevabile dai semplici dati sul numero di diplomati e laureati), non abbia delle pesanti ripercussioni anche in termini di sviluppo economico e sociale del nostro Paese.

Nella mente di questa ampia fascia di popolazione, attecchiscono e crescono rigogliosi i luoghi comuni, le idee superficiali e qualunquistiche, basate sulle informazioni spesso volutamente parziali ascoltate dalle fonti che gli sono state indicate come attendibili, e che alterano poi in modo preminente, l’agire, il comportamento, i discorsi e i pensieri di ciascuno di essi. L’analfabetismo fa credere che la realtà sia diversa da quella vissuta.

Secondo Socrate “C’è un solo bene: il sapere. E c’è un solo male: l’ignoranza”. Purtroppo l’analfabetismo funzionale è oggi oggettivamente un instrumentum regni (strumento di governo, di controllo), un mezzo eccellente per attrarre e sedurre molte persone, sia con mere stupidaggini, sia con verità di Stato. Entrambe rientrano nella categoria delle cosiddette “fake news” o meglio “false notizie” o “notizie infondate”.

I frutti avvelenati dell’informazione parziale e di parte, assieme a quelli delle verità di Stato, si palesano nel completo sovvertimento dei concetti apparentemente più banali, come la distinzione tra bene e male, giusto e sbagliato e buoni e cattivi.

Il titolo di studio, non è sinonimo di cultura e la cultura non è sinonimo d’intelligenza. L'intelligenza coincide spesso con l'apertura mentale, con il riuscire a vedere le cose anche da un'altra prospettiva.

Ciò accade anche perché, nel mondo dell’immagine, si è fatta confusione con il significato delle parole, facendo diventare la conoscenza sinonimo di competenza. In realtà sono invece due aspetti non necessariamente, e sempre più spesso, attigui e coincidenti, soprattutto a causa del sistema (dis)educativo – quello dell’odierno scolastico e universitario - imperniato sugli aspetti nozionistici, anziché su quelli realmente utili. È un sistema che spesso crea persone con una buona conoscenza in una determinata materia o settore, ma con scarsa competenza nel settore stesso e, addirittura, con una quasi totale ignoranza negli altri.

Accade così che i migliori studi e le ricerche che si possono fare, non sono quelli obbligatori o quelli fatti per ottenere un qualcosa in cambio (un titolo di studio, un lavoro, un avanzamento di carriera o un riconoscimento pubblico), ma sono quelli fatti per seguire le proprie passioni e soddisfare la propria curiosità. Non è indispensabile avere basi o conoscenze pregresse, la cosa più importante è avere passione e voglia di comprendere e imparare ciò che non conosciamo. La curiosità di cercare di capire è il vero motore della vita.

La conoscenza quella non fine a se stessa ancora oggi, così come è spesso stato nel corso di tutta la storia umana, significa potere, che individualmente si riflette in maggiore libertà.

Limitarsi a conoscere e capire solo ciò che ci è utile nel quotidiano significa, sempre più frequentemente, autolimitare la nostra libertà.

Gli unici che possono precludere veramente la nostra comprensione del mondo, siamo dunque noi stessi.

Per far questo è essenziale cercare di allenare la mente, anche se si è costretti a frequentare l’attuale sistema (dis)educativo.

Infatti è importante chiedersi sempre il perché delle cose. Mai smettere di farsi domande pretendendo, in primis per se stessi, risposte concrete e coerenti con la realtà dei fatti e il mondo che ci circonda.

Brano tratto dal libro “Fact Chiecking – la realtà dei fatti, la forza delle idee” Ed.2021

Stefano Nasetti

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