L’Intelligenza artificiale in cerca di vita intelligente extraterrestre?

“L’IA è in cerca di ET” potrebbe sintetizzare qualcuno questa notizia. Nel mondo degli inglesismi e degli acronimi, in cui la nostra lingua o il parlare compiutamente è divenuto quasi un fastidio, un qualcosa su cui non vale pena “perdere troppo tempo”, in cui si preferisce comunicare per sigle, abbreviazioni, emoticon e gif animate o ricorrendo ai tanto amati (dai sostenitori del pensiero unico) e più “ermetici” inglesismi, ciò non dovrebbe sorprenderci. Infatti, molte testate giornalistiche hanno titolato la notizia proprio in questo modo, generando certamente fraintendimenti (poiché come vedremo le cose non sono esattamente come appaiono) ma richiamando l’attenzione di molti appassionati.

Il tutto ha delle finalità molto chiare: quello di disegnare nella mente delle persone, che stiamo vivendo un periodo di trasformazione che ci proietterà in un futuro certamente migliore, in cui non ci sarà aspetto della vita che non sarà stato digitalizzato e “controllato” o gestito da sistemi automatizzati governati dagli spaventosi algoritmi, ma dalla ben più rassicurante (per molti) onnipresente “intelligenza artificiale”. Qualcuno si chiederà: “Che cosa centra questo con le Intelligenze artificiali e con gli extraterrestri?”

Negli ultimi anni si è fatto un uso improprio della parola “intelligenza”, anzi si è ampiamente abusato di questa parola, associandola a situazioni o a dispositivi che sono tutt’altro che tali, proprio al fine di favorirne la diffusione e l’accettazione. Pensiamo ad esempio a tutti gli oggetti connessi alla rete (quelli che costituiscono il cosiddetto “internet delle cose”) e che sono spesso chiamati “oggetti intelligenti” quasi fosse questa la traduzione della parola “Smart”, parola inglese che spesso precede o segue proprio il nome dell’oggetto (Smartphone, smart TV, altoparlante smart, assistente smart, climatizzatore smart, caldaia smart, antifurto smart, ecc.). Qualcosa di molto simile sta avvenendo con l’impiego di algoritmi sempre più complessi ed efficienti nello svolgere la funzione per la quale sono stati creati e programmati, sovente spacciati, in modo molto superficiale e sommario, per “intelligenza artificiale” che in realtà è tutt’altra cosa. Ma perché questo? La parola “algoritmo” non in tutti suscita buone sensazioni, anzi ha ormai assunto un’accezione negativa quando è associata a molti aspetti che riguardano le regole e il controllo della vita sociale. Questo quindi, potrebbe pregiudicare la pacifica accettazione di quel nuovo mondo tanto caro ai fautori e ai sostenitori della 4° Rivoluzione industriale e alla realizzazione dell’Agenda2030. Complottismo? Decisamente no, solo una mera costatazione riguardo l’utilizzo fuori luogo del linguaggio e la ricerca di un possibile motivo (ne citerò altri più avanti) a questa improvvisa, simultanea e onnipresente amnesia linguistico-culturale.

Qualcuno più accorto di quanto mediamente sia il comune cittadino, infatti, potrebbe obiettare giustamente che gli algoritmi non sono “neutri”, ma sono intrisi dei pregiudizi di chi li ha creati o di chi li controlla, e dunque metterne in discussione l’utilizzo massiccio in ogni settore dell’esistenza umana. Così, ancora una volta, come già accaduto in passato su altri temi (Europa, moneta unica, immigrazione, ecc.) sempre cari agli stessi gruppi di potere in modo incredibilmente coordinato e simultaneo (vedi quanto scritto qui riguardo all’uso del linguaggio, la sua influenza nel plasmare le menti dei cittadini, ecc.) tutto il mondo della comunicazione ha cominciato a parlare di questi algoritmi, certamente più evoluti di qualche anno fa, utilizzando in modo estensivo quella che era l’originaria definizione di “Intelligenza Artificiale”. Improvvisamente ogni cosa che utilizza un algoritmo più complesso, è descritta come “controllato dall’IA”. Così facendo, si previene qualunque tipo di possibile dubbio sui tanto bistrattati algoritmi e sul distopico futuro che da essi ne poteva derivare (la famigerata “società dell’algoritmo”, già oggetto di tanti film e libri), perché nella nuova forma “positiva” e ben accetta di “intelligenza” anche se “artificiale”, tutto sembra migliore e privo di rischi. Ma è davvero così?

Al di la della forma, ciò che deve interessarci maggiormente è la sostanza, dunque di cosa si tratta? È importante in questo caso fare subito due importanti precisazioni. Gli algoritmi non sono intelligenza artificiale e, nel caso in questione, nessuna “intelligenza artificiale” è stata impiegata nella ricerca di vita intelligente extraterrestre.

Questa notizia ci da però occasione di riflettere ancora una volta sulla continua manipolazione linguistica a cui siamo sottoposti. Quando si cerca vita extraterrestre infatti, tutti siamo concordi nel definire “intelligenza extraterrestre” quella che eventualmente manifesti palesemente capacità intellettive uguali o superiori a quelle umane, e comunque superiori a quelle animali e abbia un minimo di consapevolezza di se. Un batterio eventualmente trovato su un altro pianeta, nonostante possa avere capacità di resistenza ad ambienti magari per noi proibitivi, che si sia evoluto in forme più complesse e resilienti, magari anche capace di plasmare in parte il proprio habitat, ma che si sia limitato comunque a svolgere le funzioni base per la sua sopravvivenza (nascita, nutrizione, difesa da eventuali predatori, riproduzione, morte) al pari di ogni altro animale, non sarà certamente classificato come “intelligenza extraterrestre”, ma solo come “vita extraterrestre”. Definizione attenta, logica e condivisibile che invece, come già accennato, non si osserva più quando si parla di algoritmi.

Un algoritmo molto più performante e capace di svolgere meglio rispetto ai suoi predecessori, la propria funzione di raccolta dati e di filtraggio degli stessi, dovrebbe essere ben lungi dal poter esser definito “intelligente”, eppure non è così. Che sia per l’esecuzione di una volontà preordinata (a cui ho fatto cenno sopra), che sia per moda, che sia per finalità di marketing (cioè per attrarre l’attenzione dei lettori) o che sia per ignoranza del “giornalista” che redige l’articolo, ogni algoritmo “evoluto” diventa “intelligente” o peggio “intelligenza artificiale”.

È il caso della ricerca pubblicata il 30 gennaio 2023, sulla rivista Nature Astronomy da un gruppo di ricercatori dell’Università canadese di Toronto, guidati dall’astrofisico Peter Xiangyuan, in cui i ricercatori descrivono l’impiego di un algoritmo creato ad hoc per analizzare centinaia di milioni di dati rilevati dal programma SETI (acronimo di Search for Extraterrestrial Intelligence) e della Breakthrough Listen Initiative in cerca di “tecno firme aliene” (per sapere di più sul SETI e sugli analoghi programmi di ricerca di vita aliena intelligente, clicca qui).

Dalla lettura dello studio pubblicato emerge evidente che non si parla d’impiego d’intelligenza artificiale, ma dell’uso di un algoritmo evoluto che ha permesso di ridurre di oltre 100 volte il numero di falsi segnali positivi rispetto a quanto si otteneva usando metodi classici. Uno dei metodi usati per la caccia alle possibili civiltà aliene è quello di cercare tra i segnali rilevati dai telescopi eventuali tecno firme, ossia segnali elettromagnetici dovuti a qualche attività tecnologica qualcosa di analogo, ad esempio, ai segnali che inviamo attraverso i nostri satelliti per le tv o alle trasmissioni radio. Un’impresa resa per certi versi, molto complicata dai tanti segnali prodotti sulle Terra proprio dall’uomo e che spessissimo vanno a interferire con i dati in arrivo da stelle lontane. Si tratta di falsi positivi che a volte illudono i cercatori di alieni e vanificano spesso gli sforzi fatti.

I numeri non lasciano dubbi: dei 115 milioni di dati in arrivo da 820 stelle vicine, il nuovo algoritmo evoluto ha identificato 10.515 segnali di possibile interesse contro i 3 milioni di segnali ritenuti positivi usando i metodi classici. Un filtraggio efficiente che ha portato a una riduzione notevole dei dati su cui poi bisognerebbe approfondire lo studio, e che permette così di ridurre lo spreco di tempo e risorse. Il metodo, aggiungono i ricercatori, potrebbe essere implementato anche per analizzare i dati in arrivo dal grande osservatorio nelle onde radio MeerKat e il futuro Square Kilometer Array.

Un qualcosa certamente interessante e utile che potrà aiutare a trovare forse i segnali che tanti aspettano questo come unica e sola dimostrazione dell’esistenza di vita aliena, ma che nulla a che vedere con l’impiego d’intelligenza artificiale nella sua definizione più consona e appropriata, cioè quella di sistema hardware e software capace di emulare la mente umana e di simulare in modo credibile il funzionamento della stessa. Per poterlo fare in modo credibile e affidabile, per un tempo continuo e su tutti i campi dello scibile umano, non è sufficiente un algoritmo (come in questo caso), ma per lo meno un software complesso costituito da una moltitudine di algoritmi e, ancor meglio, è necessario un hardware sufficientemente potente per avvicinarsi alle potenzialità e alla complessità della mente umana. Per parlare propriamente di IA serve quindi un supercomputer (possibilmente quantistico) su cui una serie di più algoritmi, coordinati tra loro, possano svolgere funzioni differenti e complesse ma in modo organico, per trovare soluzioni a problemi inaspettati e capaci di affrontare situazioni impreviste, diverse da quelle per cui sono stati programmati. L’IA è uno strumento complesso e non un semplice algoritmo. Un solo algoritmo, per quanto complesso, capace di filtrare milioni di dati in modo rapido, non è una intelligenza artificiale. L’ampia capacità di calcolo o la rapidità di calcolo a se stanti, non sono sintomo o evidenza d’intelligenza artificiale, altrimenti lo sarebbe anche una calcolatrice, un computer, un telefono cellulare, ecc., eppure lo diventano nella mente dei giornalisti o di chi divulga in questo modo le notizie, mistificando la realtà per motivi o finalità diverse da quelle di far conoscere quello specifico fatto o quell’evento.

È molto probabile, se non addirittura certo, che in un prossimo futuro le intelligenze artificiale siano impiegate realmente nei programmi di ricerca ed esplorazione spaziale. Forse però prima dovranno cercare forme d’intelligenza qui sulla Terra, nelle categorie di chi sostiene di occuparsi di “informazione” ma che invece fa solo comunicazione (politica o commerciale e dunque propaganda che è sempre disinformazione), perché sembra esserne rimasta veramente poca. In molti se ne sono già accorti, tant’è che molte testate giornalistiche nel mondo, hanno cominciato a utilizzare dei primi “rudimentali” ma efficienti software di IA, molto più affini alla definizione più pura d’intelligenza artificiale, per redigere articoli per le proprie pubblicazioni al posto dei “giornalisti professionisti”.

In attesa che le intelligenze artificiali soppiantino in tutto i finti “giornalisti”, attendiamo che le intelligenze extraterrestri ci facciano la cosa più intelligente che si possa fare quando si ha a che fare con una specie presuntuosamente intelligente: non farci trovare alcun segnale.

Stefano Nasetti

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