La Russia vuole tornare su Venere!

Ormai da oltre due decenni, il pianeta Marte è stato l’obiettivo prevalente, se non addirittura esclusivo, di quasi tutte le missioni di esplorazione degli altri corpi del nostro sistema solare. Stati Uniti, Unione Europea, India, Cina e, recentemente, anche gli Emirati Arabi hanno lanciato missione robotiche verso il pianeta rosso. Sonde orbitali, lander e rover terrestri hanno “invaso” Marte, con cui l’uomo e la Terra sembrano avere da sempre un legame speciale.

Anche la Russia, fin dai tempi in cui faceva parte dell’URSS, ha dedicato molta attenzione al pianeta rosso. Tra i moltissimi primati collezionati durante e dopo la corsa allo spazio, c’è, infatti, quello di essere stato il primo Paese al mondo a far giungere un suo veicolo su Marte, in particolare ci riuscì con una delle tante missioni partite nel 1971.

“… La missione gemella Mars 3 fu invece considerata un successo, anche se non totalmente. Infatti, nonostante una perdita di carburante avvenuta durante il viaggio costrinse i sovietici a porre la sonda su un’orbita più bassa, la sonda riuscì ad inviare sulla Terra una grande quantità di dati. Il lander ebbe meno fortuna ma comunque fu considerato un successo. Il lander infatti, toccò il suolo integro ma, a causa di un guasto al sistema di trasmissione, si persero i contatti  radio dopo circa 15 secondi. Divenne tuttavia il primo veicolo costruito dall'uomo a giungere integro sulla superficie marziana...”. (Brano dal libro “Il lato oscuro di Marte – dal mito alla colonizzazione”)

 Se dopo questo successo, l’URSS fu certamente superata dagli Stati Uniti nella corsa all’esplorazione del pianeta rosso, la Russia detiene incontrastato e ineguagliato un primato ancor ben più importante (considerate le condizioni atmosferiche e quindi la difficoltà della missione). Ad oggi, è il solo Paese al mondo che si è dimostrato capace di far giungere intatto, e pienamente funzionante, un veicolo terrestre sul suolo di Venere!

Il 15 settembre del 1970, la sonda sovietica Venera 7 riuscì a trasmettere dati dalla superficie del “pianeta gemello” della Terra, il pianeta più vicino a noi, per 23 minuti prima di soccombere alle terribili condizioni ambientali (pressione tra le 75 e le 100 atmosfere e temperatura che oscilla tra i 450 e i 475 °C). La sonda Venera 7 fu solo il primo di una lunga serie di missioni di successo. Altre 9 volte (per un totale di 10 sonde sovietiche) le sonde dell’ex paese comunista riuscirono ad arrivare sane e salve sul pianeta e a trasmettere importanti dati scientifici. Nessun altro Paese fino ad oggi, è riuscito anche una sola volta a farlo, limitandosi al massimo, a trasmettere dati dall’orbita.

Se nel luglio 2020, abbiamo visto partire ben tre missioni verso il pianeta Marte (dovevano essere quattro, ma la missione ExoMars2020 dell’ESA è stata rinviata al 2022, vittima del lockdown imposto dal Governo italiano che ha impedito all’ASI di completare alcuni lavori necessari al lancio della sonda europea), e mentre la privata Space X, con la sua navetta Crew Dragon, ha portato in orbita, sull’ISS, per la prima volta dal 2011, gli astronauti americani senza la navicella russa Sojuz, Dmitry Rogozin, direttore generale della Roscosmos (l’agenzia spaziale di Mosca), non è rimasto troppo impressionato dall'impresa della Crew Dragon. In occasione del rientro della navetta di Space X, ha dichiarato: "È ammarata come 45 anni fa perché non poteva atterrare. Noi faremo di meglio. Stiamo costruendo un razzo a metano che sostituirà la Soyuz-2", ha spiegato Rogozin, annunciando che il propulsore non solo sarà riutilizzabile come il Falcon Heavy di SpaceX, ma addirittura potrà essere riutilizzato almeno 100 volte. L’obiettivo dichiarato è quello di osservare la tecnologia statunitense non con l’intenzione di eguagliarla, ma di superarla.

Per dimostrarle e riaffermare la supremazia tecnologica russa, ci si è posti un obiettivo ambizioso, quello di tornare su Venere.

Il pianeta a noi più prossimo, infatti, è tornato recentemente alla ribalta, richiamando l’attenzione mediatica e della comunità scientifica internazionale, a seguito della pubblicazione di alcuni studi scientifici.

Nel 2018, uno studio pubblicato su Astrobiology  (nel aprile 2018) aveva, sulla base dei dati della sonda giapponese Akatsuki, ha evidenziato che nelle le nuvole venusiane ci sono regioni con una strana concentrazione di nanoparticelle, che potrebbero essere ricondotte a qualche forma di vita microbica.

Un successivo studio russo, compiuto dagli scienziati dell’Istituto di studi spaziali della RAN e dell’Istituto Boreskov sulla base su immagini panoramiche della superficie di Venere, ottenute grazie alle sonde sovietiche Venera-9, Venera-10, Venera-13 e Venera-14 tra il 1975 e il 1982, ha mostrato la presenza di “entità” in lento movimento dotate di una struttura resistente, interpretate dagli scienziati come forme di vita. Nulla di certo, sia chiaro, ma negli ultimi anni la scienza ha scoperto forme di vita in ambienti estremi anche sulla Terra, là dove nessuno pensava potesse esserci. Al contempo la comunità scientifica ha compreso che la vita extraterrestre potrebbe essere molto diversa da quella a cui siamo abituati. Ciò è ritenuto sufficiente dalla comunità scientifica, per non escludere alcuna ipotesi, in attesa di nuove informazioni raccolte magari, proprio sul campo, così come sta accadendo per Marte.

Uno studio, pubblicato nel settembre 2019 (leggi l’articolo “Nuovo studio: venere abitabile per 3 miliardi di anni”), aveva aumentato la possibilità che il pianeta potesse aver ospitato forme di vita. Successivi studi, come quello pubblicato sulla rivista Nature Geoscience dal gruppo dell’Università americana del Maryland, coordinato da Laurent Montési, insieme ai colleghi del Politecnico Federale di Zurigo, hanno confermato che il pianeta non è geologicamente morto. Un pianeta ancora geologicamente attivo è considerato dagli astrobiologi, certamente più idoneo, rispetto ad uno inattivo, a supportare forme di vita. Gli autori dello studio hanno identificato ben 37 strutture vulcaniche che sono state attive recentemente.

È la prima volta che si è riusciti a individuare strutture specifiche potendo dimostrare la loro attività. Per Montési, “quelli di Venere non sono vulcani antichi ma ancora attivi, forse dormienti ma di sicuro non spenti. Questo studio - ha precisato - cambia la nostra visione di Venere da pianeta inattivo a mondo con un cuore che ancora si agita, alimentando un’attività vulcanica superficiale”.

Tornando all'intenzione della Russia di tornare su Venere, Rogozin ha osservato che “Venere è sempre stato un pianeta russo" poiché l'Urss fu l'unica nazione che riuscì a farvi atterrare sonde. "Credo che Venere sia più interessante di Marte ha dichiarato”. Secondo il presidente della Roscosmos, lo studio del pianeta Venere, la cui atmosfera è composta quasi del tutto di anidride carbonica, aiuterà gli scienziati a capire come fare per evitare che l’atmosfera terrestre si trasformi nella “fornace” che è oggi quella di Venere.

La Roscosmos intende riportare sulla Terra materiale prelevato dalla superficie di Venere, un po’ come sta per fare la Nasa, in collaborazione con l’ESA, su Marte, con la missione in più fasi chiamata Mars Sample Return. Rogozin non esclude una collaborazione con gli americani. "Sarebbe una vera svolta e sappiamo come farlo", ha aggiunto, spiegando che gli scienziati russi sono al lavoro sui documenti d'epoca sovietica.

Unico ostacolo, i continui tagli di bilancio sofferti dall'agenzia spaziale russa, problema comune a molte altre agenzie. Non è un caso infatti, che ha differenza del passato, nella nuova corsa allo spazio, che ha come primari obiettivi Luna e Marte, sempre più spesso capita che le agenzie spaziali che si alleino tra loro e con le aziende private. La finalità è di sviluppare in modo efficace ed efficiente, nuove tecnologie in grado di inviare i primi astronauti sul pianeta rosso entro gli anni ’30 del 2000.

Al fine di ottimizzare i costi e stringere i tempi, si fa sempre più strada tra la comunità scientifica, l’idea di inserire una tappa intermedia nel viaggio tra la Terra e il pianeta rosso. Questa volta però, la Luna non c’entra. Nulla a che vedere, infatti, con il Lunar Space Gateway (avamposto orbitale attorno alla Luna) (leggi l’articolo “USA e Russia insieme per una nuova stazione spaziale in orbita lunare”) o con il Moon Village che Roscosmos ed Esa vorrebbero costruire sulla superficie del nostro satellite. La tappa intermedia che molti scienziati vorrebbero inserire nel viaggio verso Marte è proprio Venere. L’idea si è concretizzata o scorso luglio (2020) con la proposta di un team di scienziati della Johns Hopkins statunitense, secondo cui un flyby su Venere sulla via verso Marte potrebbe addirittura agevolare la missione marziana. Esplorando, anche solo dall’alto, due mondi durante una sola missione, si risparmierebbero tempo e denaro.

Il viaggio diretto dalla Terra a Marte richiede l’allineamento tra i due pianeti. Le “finestre di lancio” avvengono ogni 26 mesi circa. Immaginando di fare tappa su Venere, e quindi considerando in primis l’allineamento Terra-Venere, ci sarebbero finestre di lancio ogni 19 mesi.  Questo sia perché l’orbita di Venere è mediamente più vicina quella Terrestre, sia perché la sua orbita è molto più circolare, a differenza di quella di Marte, più ellittica.

Visitare Venere nel viaggio verso Marte, semplificherebbe poi molte cose. Un veicolo spaziale in rotta verso Marte potrebbe avvicinarsi a Venere sfruttando la gravità del pianeta per aggiustare la rotta, permettendo, oltretutto, di diminuire in modo rilevante la quantità di energia (che significa minor carburante e minor peso) necessaria per il viaggio. Ciò si traduce in un elevato risparmio di denaro, di cui le agenzie spaziali spesso sono a corto. Inoltre, come risultato secondario ma non per questo meno importante, il flyby su Venere permetterebbe di raccogliere dati morfologici e spettroscopici sull’atmosfera del pianeta da una distanza ravvicinata. Insomma un viaggio verso Venere potrebbe rendere più veloce ed economico il viaggio verso il pianeta rosso, esplorando così due mondi al prezzo di uno.

Questa soluzione potrebbe inoltre aiuterà a individuare i luoghi di Venere in cui collocare strumenti geologici previsti con la futura missione, EnVision, dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), che dovrebbe essere lanciata nel 2032. Riuscirà l’ESA a eguagliare la Russia e a far arrivare il suo veicolo intatto su Venere? Oppure la Roscosmos riuscirà, come annunciato da Rogozin, a finanziare e approntare una nuova missione su Venere prima del 2032? Secondo i programmi dell’agenzia russa, dopo il 2025 (la data rimane ancora non definita, le migliori finestre di lancio sono quelle del 2026 e del 2031) verrà lanciata sul pianeta la stazione interplanetaria Venera-D (il lancio era originariamente previsto già nel 2016) dotata di una sonda mobile. In una recente intervista rilasciata al portale “Sputnik”, la direttrice del progetto Lyudmila Zasova ha osservato che la ricerca di ipotetiche forme di vita su Venere è uno dei principali obiettivi di questa missione. La corsa alla conquista dello spazio è ormai ripresa, ma stavolta i protagonisti non sono più solo due. Più Paesi sembrano avere la tecnologia per ambire a ritagliarsi un pezzetto di universo. I pianeti a noi più vicini come Venere e Marte rimangono i principali obiettivi. Con il passare del tempo però, sembra sempre più chiaro che probabilmente, se si vuole arrivare a successi fruttuosi e duraturi, più che competizione ci dovrà essere collaborazione.

Stefano Nasetti

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