La scuola italiana viola la legge e i diritti costituzionali nel silenzio generale

 

 

 

“C’è effettivamente una grave epidemia in giro a cui andrebbe messo un freno mediante efficaci vaccini. L’epidemia di cui parlo è la dittatura, una delle più gravi malattie endemiche dell’umanità, che giorno dopo giorno, sta uccidendo la libertà, senza che neanche le persone se ne accorgano" (Stefano Nasetti)

Aprile 2020 – Stiamo attraversando uno dei periodi più bui della storia moderna. I diritti fondamentali e democratici e le libertà, dolorosamente e faticosamente conquistate dai nostri nonni nel secolo precedente, stanno subendo ormai da diversi anni un forte attacco.

Nonostante si siano alternati Governi di diverso colore politico, non è passato anno, soprattutto negli ultimi venti, che un qualche diritto democratico abbia subito una restrizione, una sospensione, un ridimensionamento o addirittura una cancellazione.

La svolta autoritaria intrapresa dal Presidente del Consiglio dei Ministri attualmente in carica che si è auto conferito poteri speciali e, in barba a qualunque norma costituzionale ha calpestato diversi articoli della nostra carta costituzionale, sospendendo i diritti fondamentali di un qualunque stato democratico, è chiara ed evidente e incontrovertibile.

In nome della sicurezza e per far fronte a un’emergenza sanitaria derivante da decenni di politiche sbagliate che hanno fatto a pezzi il nostro sistema sanitario, e dettata da una mediaticamente ingigantita pericolosità di un virus, Il capo del Governo (che possiamo definire a questo punto e senza alcun dubbio, un dittatore) ha confinato la quasi totalità della popolazione nelle proprie case.

Considerando il cittadino alla stregua di un qualunque criminale, sta valutando in queste ore la possibilità di imporre l’installazione di app sui cellulari dei cittadini, per poterne tracciare gli spostamenti, completando la trasformazione del cittadino in criminale agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.

Questa vera e propria segregazione, confino o arresto della popolazione è oggi orwellianamente chiamato dalle autorità stesse e dai mass media “distanziamento sociale”.

Ciò nonostante, si continua ad affermare che l’Italia è un paese democratico e che la costituzione sia ancora in vigore.

La prova che invece non lo è, e che ci sia una deriva autoritaria estremamente pericolosa che sta infettando ogni ramo delle istituzioni, ci arriva oggi dalla scuola italiana.

A seguito delle chiusure delle scuole e del confino della popolazione messo in atto dal Presidente del Consiglio dei Ministri nello scorso mese di marzo (2020), le scuole hanno comunque cercato di proseguire l’attività didattica, poiché l’istruzione è un diritto del cittadino sancito dalla costituzione.

Le problematiche a cui l’arretrato, dal punto di vista strutturale e informatico, comparto dell’istruzione ha dovuto improvvisamente far fronte, sono state molte e differenti, in ragione della tipologia e del grado d’insegnamento delle scuole (primaria, elementari, medie, superiori università).

Gli strumenti istituzionali messi a disposizione delle scuole sotto il profilo informatico, sono assai limitati e distribuiti a macchia di leopardo sul territorio nazionale. La scuola ha quindi inizialmente fatto leva esclusivamente su questi strumenti, in particolare sul “registro elettronico”, sulla piattaforma “Collabora”e su altri strumenti similari, tutti “statali” e non “privati”.

Attraverso tali strumenti è stato possibile inviare video lezioni preregistrate dai professori dalle loro abitazioni, agli studenti, assegnare i compiti da fare e ricevere i compiti svolti, per poterli verificare e fare le correzioni. Ovviamente queste limitate funzioni non consentono di fare interrogazioni o avere un’interazione diretta insegnante studente.

Le scuole hanno quindi pensato di trovare delle soluzioni che potessero supplire a questa carenza strutturale, soluzioni necessarie soprattutto nelle scuole superiori e, in misura certamente minore, nelle scuole medie.

Anche quest’ultime hanno quindi pensato, su disposizione del MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), di fare ricorso a piattaforme private di videoconferenza (Skype, Hangout, Zoom, ecc.) senza però valutare bene le norme di legge che tutelano il diritto alla privacy (soprattutto dei più piccoli), alla libertà di sottoscrivere contratti tra cittadini e privati, e alla lesione del diritto di accesso all’istruzione nel caso in cui non si voglia o non si possa disporre di tecnologia adeguata all’accesso alla rete.

Il problema è sorto e sta sorgendo soprattutto negli ultimi giorni, in cui diversi istituti scolastici di tutta Italia hanno emanato circolari, istituendo l’obbligatorietà alla partecipazione alle video lezioni, imponendo la presenza audio e video dei minori anche di classi elementari e medie.

Pur comprendendo le buone intenzioni di alcuni dirigenti scolastici, è inaccettabile che un’istituzione, quale la scuola è, possa consapevolmente violare diverse norme e diritti tra l’altro di minori, esponendo gli stessi a numerosi rischi, cercando di rabbonire o “circuire” con messaggi rassicuranti senza alcun fondamento, i genitori al fine di tacitare eventuali rimostranze e ottenere lo scarico di responsabilità su eventuali violazioni.

Si ripresenta in un altro contesto, il medesimo escamotage attuato per l’imposizione dell’incostituzionale e liberticida legge sull’obbligo vaccinale. Anche in quel caso infatti, constatata l’impossibilità di imporre l’obbligo per evidenti contraddizione di quanto consentito nella costituzione, è stata fatta passare la legge introducendo il “trucco” della firma del cosiddetto “consenso informato”. Se un genitore si rifiuta di firmare il “consenso informato” il vaccino non può essere somministrato. Questo perché firmando questo foglio il genitore si assume tutti i rischi connessi ad eventuali danni da vaccino (su cui deve essere messo a conoscenza dal personale medico). È stato quindi imposto un obbligo ma poi se ne scarica la responsabilità di eventuali conseguenze sul cittadino obbligato.

Goffamente le evidenze di questo esplicita opera di persuasione, assimilabile quasi a una frode, poiché le scuole sanno bene (o dovrebbero ben sapere che stanno ledendo i diritti dei minori), sono state fornite dalle stessa scuole.

Infatti, molti istituti scolastici hanno invitato i genitori a prendere visione delle modalità di configurazione dei device, attraverso dei web minar su internet, in cui un “esperto” informatico di un’università italiana, istruiva i docenti collegati, all’utilizzo della piattaforma Zoom. In tale video (che trovate nei link a fondo pagina) “l’esperto”  ammetteva in più passaggi, che la piattaforma non è totalmente sicura e che c’è una violazione della privacy (se pur lieve). Non ci sono quindi dubbi che ci sia una violazione e che le scuole lo sappiano. Ma quanti genitori ne sono consapevoli?

Nel mio caso è stato sufficiente esporre, in una lettera inviata al Dirigente scolastico, tutte le mie perplessità ed evidenziare tutte le numerose violazioni costituzionali e di legge che le scuole stanno compiendo, istituendo l’obbligatorietà alla partecipazione alle lezioni, chiedendo tra l’altro, che sia ripristinata una piena situazione di legalità.

Il dirigente ha risposto celermente, precisandomi che al momento la questione dell’obbligatorietà, almeno nel suo istituto, riguarda solamente le scuole medie e non le primarie (non sono in grado di affermare se l’obbligatorietà può essere istituita a discrezione del dirigente scolastico o se sia stato impartito un ordine preciso dal MIUR). Mi altresì ringraziato delle putuali annotazioni, dicendomi che ne terrà conto per l'organizzazione dell'attività didattica futura, che ha detto essere in divenire. Dunque per quanto riguarda la mia situazione, i miei figli, frequentando la scuola primaria, al momento non sono obbligati.

Tuttavia, la sostanza, in linea di principio, non cambia, poiché tutti i ragazzi delle scuole medie sono, almeno fino all’ultimo anno, minori di 14 anni e dunque rientrano a pieno in tutte le criticità che ho esposte al dirigente e che potrete leggere tra breve. Perché faccio riferimento a questo limite di età? Perché la legge offre, a partire da questa età, la possibilità di accedere autonomamente alla rete.

Tuttavia in molti altri istituti sia di scuola primarie che secondaria, l’obbligatorietà è stata introdotta. Quante famiglie con figli minorenni sono al corrente di quelli che sono i loro diritti e quelli dei loro figli in merito alla tutela della privacy?

Quanti sono stati correttamente informati sui rischi connesso all’utilizzo di piattaforme private (tipo Zomm) imposte dalle scuole in questi tempi?

Quanti sono consapevoli che, indipendentemente dall’età, il diritto allo studio non può essere subordinato al possesso di una tecnologia smart e all’utilizzo di una piattaforma per videoconferenze privata?

La situazione che ho vissuto personalmente è comune a quella di altre centinaia di migliaia di famiglie in tutta Italia. Ho dunque deciso di pubblicare qui di seguito, il testo della comunicazione (ometterò ogni riferimento personale e alla scuola), certo che possa servire a molti altri cittadini, per presentare simili istanze alle scuole dei propri figli.

Nella lettera spiego dettagliatamente tutte le incongruenze, le violazioni dei diritti costituzionali e le altre norme di legge, che sono violate da tutte le scuole elementari, medie e superiori, in cui l’obbligo permane.

Qualora la scuola non dovesse accogliere le vostre richieste, consiglio di inoltrare formale denuncia alla Procura della Repubblica e al Garante della Privacy affinché possano approfondire e accertare i diversi reati che si stanno configurando.

Prima di lasciarvi al testo al racconto di quello che è la situazione da regime autoritario in cui ormai viviamo sottolineo come tutto ciò stia accadendo nel silenzio generale.

Dov’è il garante della Costituzione, vale a dire il Presidente della Repubblica? Dove sono i partiti, anche quelli di opposizione, che spesso fanno dei valori e dei principi costituzionali la loro bandiera? Dov’è la stampa che si definisce libera e che quindi dovrebbe essere critica verso chi governa? Dove sono i cittadini italiani che si definiscono democratici e che dunque credono nei valori della costituzione italiana? Se il Presidente del Consiglio dei Ministri ha cestinato la Costituzione Italiana e tutti i diritti in essa sanciti, che abbia almeno il coraggio di dirlo esplicitamente!

Nel frattempo nella speranza che non sia così, è necessario che ciascun cittadino si attivi per far valere i propri diritti.

 

Questo il testo della lettera che ho inoltrato. Sarebbe opportuno che dedicaste anche del tempo ad ascoltare gli audio nei link contenuti, almeno nei pochi minuti che ho menzionato nel testo, tanto per rendersi conto che spesso il comune cittadino viene trattato come uno stupido ignorante da alcuni individui, che occupano posti nelle università e più in generale nelle istituzioni, che vengono pagati con soldi pubblici e che quindi dovrebbero invece essere al servizio del cittadino.

Spero che ogni genitore che abbia a cuore i diritti dei propri figli, faccia ciò che ho fatto io, rifiutandosi di far apparire in video il proprio figlio minore, a prescindere dalle proprie comodità o specifiche esigenze. È il momento innanzitutto di difendere la libertà!

Invito altresì anche chi non ha figli ma ha cuore la democrazia, la costituzione tutti i diritti fondamentali, a presentare esposti alle Procure della Repubblica, per fermare questo ennesimo abuso.

Gentili Prof.ssa ******* ********,

Sono il papà di ****** ********, alunna della classe *** presso il plesso ******.

Le scrivo per esporle le mie perplessità circa l'adozione di alcuni sistemi riguardanti la didattica a distanza.

Mi riferisco in particolare, all'utilizzo di alcune piattaforme e all’obbligatorietà di utilizzo (vero punto nodale della questione) che codesto istituto scolastico ha disposto mediante la circolare *** e successive.

Mi scuso anticipatamente per la lunga email, ma ritengo necessario non limitarmi a fare dei semplici rilievi, poiché penso che la situazione che vado a esporre, possa essere utile anche per altre situazioni future, onde evitare spiacevoli strascichi di altra natura.

Comprendo che a seguito delle decisioni prese dalle autorità, il Suo lavoro e quello del corpo docente, a cui con l’occasione rinnovo la mia stima e fiducia, è divenuto particolarmente gravoso, e apprezzo gli sforzi che ciascuno di voi sta compiendo nel tentativo di portare avanti l'attività didattica.

Tuttavia non posso non sottolineare che la scuola, in quanto istituzione, dovrebbe anteporre sempre la sicurezza degli alunni e l'insegnamento della legalità. Sebbene questo obiettivo sia stato più volte rimarcato nelle circolari sopra citate, non sembra essere stato sempre raggiunto.

In questo delicato periodo, in cui anche i diritti fondamentali e inalienabili dell'individuo (così dice la Costituzione Italiana) sono messi fortemente in discussione dalle autorità stesse, la scuola dovrebbe coadiuvare le famiglie nel cercare di formare cittadini consapevoli.

Mi duole sottolineare che nella fretta e nella difficoltà oggettiva nell'organizzare improvvisamente la didattica a distanza, alcuni di questi aspetti, che ritengo siano i compiti principali e addirittura più importanti delle nozioni delle varie materie previste dal programma ministeriale, siano stati messi in secondo piano.

Prima di entrare nel dettaglio della questione mi sembra importante sottolineare che mia figlia NON ha un suo telefono smartphone. NON ha alcuna scheda telefonica, Non ha alcun account su social network e non naviga in rete da sola (non perché non ne sia capace ma perché non glie lo permettiamo.)

Sebbene questa possa sembrare una situazione anomala considerati i tempi in cui viviamo, si tratta invece dell'unica situazione che è conforme alle normative.

Sono certo che la scuola, in quanto istituzione, conosca cosa significhi utilizzare un qualunque oggetto smart (cioè connesso alla rete), cosa significhi iscriversi a un social network o creare un account, quali siano le norme che ne regolano l'accesso (considerato che vengono fatte nella scuola lezioni sul cyberbullismo). Tuttavia dal contenuto delle circolari sembra che alcuni importanti aspetti non siano stati tenuti nella giusta considerazione.

Ritengo quindi che sia bene sottolineare alcuni concetti fondamentali.

Comincio anzitutto con il ricordare che il diritto all’istruzione è un diritto sancito dalla costituzione (art.33 e 34).

Al contrario non è obbligatorio possedere device e oggetti tecnologici. Sono a conoscenza che il MIUR si è attivato per supplire all’eventuale mancanza di questo tipo di oggetti. Ciò nonostante, anche qualora il device per la connessione fosse fornito gratuitamente all’allievo e la connessione pagata dallo Stato, il possesso di strumenti adeguati per l’accesso alla rete rimane, come detto, per legge non obbligatorio. Ciò dunque NON può costituire una condicio sine qua non per l’accesso all’istruzione. (Su quest’aspetto tornerò anche più avanti).

Ricordo che il presente istituto scolastico è una scuola pubblica statale e non un’università telematica privata. Già soltanto per tale motivo la scuola NON può imporre alcun tipo di presenza on line, ma deve altresì attivare eventuali altri canali per assicurare il pari trattamento e l’accesso all’istruzione anche a chi, eventualmente (ma non è il mio caso) la tecnologia non la volesse per scelta utilizzare.

Secondo la Costituzione, lo Stato (e in questo caso la scuola, in quanto istituzione) s’impegna a garantire l'istruzione e a rimuovere gli ostacoli eventuali all'accesso. Non dovrebbe accadere che la scuola imponga di fatto, l'iscrizione e/o l'utilizzo di un social o a qualunque altra piattaforma privata (e non pubblica) per poter fruire alla didattica.

Pur comprendendo il momento particolare, non si può dare per scontato che ogni famiglia disponga di un accesso alla rete in modo illimitato, veloce e disponga di un numero di device idoneo a garantire la possibilità di accedere, soprattutto nei tempi e nei modi che la scuola sta comunicando in questi giorni, agli allievi. I genitori, potrebbero avere necessità per motivi lavorativi, di disporre dei propri device e non poterli mettere a disposizione dei figli secondo le modalità richieste. Anche per tale motivo, l’obbligatorietà di presenza audio/video non è una modalità accettabile

L’utilizzo di qualunque tipo di device comporta obbligatoriamente la creazione di un account di qualche tipologia. Se si utilizza un PC sarà necessario creare un account Microsoft, se si utilizza uno smartphone o un tablet Android, sarà necessaria la creazione di un account Google, se si possiede un dispositivo iOS l’account necessariamente da creare sarà quello Apple.

Anche sulle conseguenze della creazione di un account e sulle condizioni di utilizzo dei dispositivi che necessariamente si accettano con la creazione di detti account, tornerò a breve. 

Le società che possiedono i social network e/o le piattaforme di videoconferenza sono società private a scopo di lucro. Queste società che forniscono “gratuitamente” (le virgolette sono d’obbligo) i loro servizi e la loro tecnologia dunque, non li forniscono realmente in modo gratuito. In un mondo in cui la raccolta dati di massa è all'ordine del giorno, questo concetto dovrebbe essere diventato ormai di dominio pubblico. I cittadini che utilizzano questa tecnologia e, a maggior ragione le istituzioni (quale la scuola è), dovrebbe esserne ben consapevole.

Il prezzo che paghiamo è espresso non in euro o in qualunque altra valuta, ma con i dati, con le informazioni che vengono carpite in continuazione dalle varie app, sia quando le utilizziamo, sia quando sono apparentemente spente, anche se non abbiamo creato alcun account.

Fin dal momento dell'installazione, o alla creazione di un account, o a quando apriamo una pagina web (come suggerito nelle circolari) queste cominciano a raccogliere informazioni e a profilare le persone.

Come si può pensare che un'azienda (Zoom) che fornisce il suo servizio di videochiamate a più di cento milioni di persone nel mondo e che ha quasi duemila dipendenti, possa farlo gratuitamente?

Vorrei comprendere meglio il vostro punto di vista, e conoscere su quali elementi tangibili si fonda tale visione.

Dare per scontato che ci iscriva con superficialità a una qualunque piattaforma privata per poter seguire le lezioni, è un atto diseducativo che la scuola non può e non deve permettersi.

Mi sono permesso di utilizzare la parola “superficialità”, perché i riferimenti contenuti nella circolare *** (il webminar del CINI per intendersi) al contrario di quanto in apparenza si vuol lasciare trasparire nelle circolari stesse, NON fornisce alcuna certezza sulla sicurezza della piattaforma che questa scuola vuole imporre. Infatti, al minuto 5:20 del filmato “#webminarpif come fare lezione proteggendo i dati personali”, il relatore ammette candidamente che “… non c’è tracciamento degli studenti per quanto ne sappiamo, perché non c’è la creazione di un account, non abbiamo verificato, ad onor del vero, cosa c’è dentro l’applicazione di Zoom che viene utilizzata però, Zoom non uno di quei grandi multinazionali che si occupano di tutto e che sono interessate a raccogliere dati su tutto quello che fanno gli utenti, in ogni aspetto … quindi siamo abbastanza ragionevoli nel ritenere che non dovendo specificare chi siete ma dovendo soltanto cliccare su un link, i nostri ragazzi, i vostri ragazzi saranno abbastanza al sicuro”.  (concetto ribadito anche 10 minuti dopo, quando si afferma che Zoom non è la soluzione ottimale ma una soluzione di compromesso.)

Com’è facile comprendere dunque, “l’esperto” (anche qui le virgolette sono d’obbligo) a cui vi siete affidati su indicazione del MIUR per una valutazione della piattaforma e sui consigli di utilizzo, NON ha alcun tipo di certezza riguardo all’eventuale tracciamento di Zoom. Al contrario ammette di non aver approfondito la questione e di basare la sua opinione (perché solo di questo si tratta e dunque va presa come tale) su valutazioni opinabili e su deduzioni fatte sulla base delle (limitate) conoscenze e/o della circoscritta visione che ha della questione.

Infatti, dalle parole dell’esperto del CUNI, non viene fatta alcuna menzione ad esempio, ai metadati che vengono automaticamente generati in una qualunque comunicazione informatica e che costituiscono una parte molto importante dei dati per la profilazione degli utenti.

Molte persone, oggi, tendono a pensare alla sorveglianza di massa in termini di contenuto, cioè delle effettive parole utilizzate durante una telefonata o in un’email. È comprensibile, in un certo senso, poiché ciò che più ci importa è ovviamente la natura intima e privata delle nostre comunicazioni: il suono della nostra voce, l’espressione inimitabile del nostro volto in un selfie che inviamo per messaggio. La verità, però, è che il contenuto delle nostre comunicazioni rivela ben poco rispetto ad altri elementi, rispetto alle informazioni non scritte e non dette che possono risultare da un contesto più ampio. Questi sono appunto i metadati. Anche quando si naviga apparentemente in forma anonima, i nostri device lasciano una sorta d’impronta digitale elettronica che può fornire molte informazioni su chi lo sta utilizzando. (non mi dilungo di più su questo punto, sperando che Lei possa trovare il tempo di approfondirlo autonomamente).

Altro aspetto non considerato, o volutamente sottaciuto, riguarda la necessità, affinché ci si possa collegare a una videoconferenza Zoom, dell’accettare i “cookie” (vedi sezione “Istruzioni per partecipare” al link da voi indicato nella circolare). Se sa cosa sono i cookie, la loro sola presenza è indice di una qualche sorta di tracciamento.

Saprà poi, che sono sufficienti appena 3 fotogrammi ad un software di riconoscimento facciale per carpire i dati biometrici (volto, voce, ecc.) di chi appare in video.

L’invito a non fermarsi a una valutazione superficiale dei rischi connessi all’accesso alla rete da parte dei minori, per quanto riguarda l’adozione di sistemi per l’erogazione della formazione a distanza, è stato rimarcato anche dal Garante della Privacy.

Il Garante Antonello Soro, ha scritto il 26 marzo in una nota ai ministri dell’Istruzione, dell’Università e delle Pari opportunità: “Le straordinarie potenzialità del digitale -rivelatesi soprattutto in questo frangente indispensabili per consentire l’esercizio di diritti e libertà con modalità e forme nuove- non devono, indurci a sottovalutare anche i rischi, suscettibili di derivare dal ricorso a un uso scorretto o poco consapevole degli strumenti telematici, spesso dovuto anche alla loro oggettiva complessità di funzionamento”.

E Soru spiega: “Si tratta di rischi assai più concreti di quanto si possa immaginare e dai quali è bene proteggere chiunque (in primo luogo, ma non soltanto i minori) utilizzi questi nuovi strumenti di formazione. Molte delle piattaforme suscettibili di utilizzo a fini didattici, ad esempio, funzionano come veri e propri social network che necessitano, come tali, di una sia pur minima cognizione delle loro regole di utilizzo e delle implicazioni di ciascun “click”, anche tra l’altro sui diritti della personalità di terzi. Considerando che, spesso, per i minori che accedono a tali piattaforme si tratta delle prime esperienze (se non addirittura della prima) di utilizzo di simili spazi virtuali, è evidente come anche quest’attività vada svolta con la dovuta consapevolezza, anche sulla base delle indicazioni fornite a livello centrale”.

Mi chiedo come nelle circolari inviate ai genitori si possa dunque, affermare che la privacy degli studenti sia al sicuro.

Che non sia così si evince anche, come detto, dall’utilizzo dell’espressione “abbastanza al sicuro” utilizzata dall’esperto del CUNI. La sicurezza o c’è o non c’è. Se la scuola o il MIUR non sono in grado di garantire la sicurezza, che lo dicano chiaramente nel rispetto del principio di trasparenza verso i cittadini che è un dovere di tutti i dipendenti pubblici, sancito anche dalla legge.

Come sopra già accennato, quando ci s’iscrive a un social network, o si crea un account per qualunque motivo ivi compresi quelli per far funzionare un device Android, iOS o Microsoft, (ma anche quando si scarica un App su uno smartphone, o s’installa un programma sul computer), dal punto di vista legale si sta sottoscrivendo un contratto. Secondo il codice civile, i contratti possono essere tipici (cioè quelli messi per iscritto) o atipici. Nel caso di utilizzo di una piattaforma per videoconferenze, secondo le modalità descritte nelle circolari da Lei emanate e in riferimento ai contenuti dei link indicati, ci troviamo giuridicamente in presenza di un contratto atipico.

 In questo tipologia di contratti, la sottoscrizione avviene in forma implicita, cioè con l’utilizzo da parte dell’utente, dei servizi messi a disposizione dal fornitore Zoom (che ricordo essere una società privata). La sottoscrizione di tale contratto sottintende l’accettazione di tutte le norme (solitamente non negoziabili) che disciplinano l’utilizzo di quella piattaforma, ivi compresi la raccolta, la conservazione e l’utilizzo dei dati personali (come ad esempio i dati biometrici.)

I termini di utilizzo dei social che stabiliscono da un lato il comportamento e le regole che devono essere seguite dagli utenti, dall’altro le modalità di erogazione del servizio da parte del fornitore, sono contenuti e indicati esplicitamente nel contratto. Di fronte alla mancata accettazione di tali norme, essendo l’iscrizione e/o l’utilizzo del servizio un atto volontario e non obbligatorio, il fornitore si può rifiutare di fornire il servizio e non mettere a disposizione dell’utente il social. Quindi in sostanza o si firma il contratto così com'è, o non si può utilizzare il social o quella piattaforma.

Può la scuola imporre, di fatto, ai cittadini di stipulare contratti con società private, subordinando a tale stipula il godimento di un diritto costituzionale come quello all’istruzione? Può una scuola a fronte del legittimo rifiuto alla sottoscrizione di tali contratti, prendere provvedimenti riguardo la valutazione dell’attività didattica del candidato (assenze)?

Tra queste norme che devono essere accettate quando si crea un account o si utilizza un servizio in apparenza gratuito, c’è spesso ben evidente l’obbligo per l’utilizzatore proprietario dell’account, (questo vale soprattutto se si utilizza un device diverso dal PC per connettersi, nel nostro caso a Zoom) di farne un utilizzo esclusivo. L’account, e quindi tutto ciò che “gira” su quel device sotto quell’account (Google o Apple ad esempio), ivi compreso un browser con il quale connettersi in videoconferenza a Zoom senza scaricare l’applicazione, dovrebbe essere utilizzato esclusivamente dal titolare dell’account (il genitore nel nostro caso) presente su quel device e da nessun altro (quindi neanche i figli).

Com'è possibile che un'istituzione si organizzi facendo leva su una violazione delle norme di legge (possesso di un account o nuova iscrizione o utilizzo di un account di un'altra persona, anche se genitore) sebbene ormai abitudine purtroppo molto diffusa tra la popolazione? Anche se nelle circolari non si obbliga alla creazione di un account vero e proprio su Zoom (c’è comunque la necessità di “personalizzare” la propria identità tramite la scelta di un nickname e di uno sfondo, come raccomandato nelle circolari stesse), anche la sola semplice richiesta/obbligo di collegamento tramite browser, per quanto detto, o l’utilizzo di un device che funzione in ragione di un account di un genitore, costituisce l’incitamento alla violazione di norme contrattuali pattuite tra il privato cittadino e la società fornitrice del servizio.

L’iscrizione a un social network o l’utilizzo di qualunque altra piattaforma all’apparenza gratuita (Zoom ad esempio) non può essere obbligatoria, perché essa si concretizza di fatto nella sottoscrizione di un contratto.

Come l’art. 4125 del codice civile, nessuno può essere costretto a sottoscrivere un contratto, poiché lo stesso articolo prevede come causa di nullità del contratto stesso, la situazione in cui una delle parti è stata obbligata, costretta, minacciata o ricattata per firmarlo. Secondo il nostro ordinamento giuridico quindi, La stipula dei contratti deve rappresentare sempre un atto esplicitamente volontario.

La scuola e nessun’altra istituzione può imporre la sottoscrizione di contratti tra soggetti privati (nel nostro caso i cittadini e la società Zoom).

C’è poi da considerare anche un altro aspetto.

Per sottoscrivere un contratto è necessario essere in possesso (e quindi dichiarare di possedere) personalità giuridica, quindi avere capacità giuridica (che è semplicemente la titolarità in astratto di diritti e doveri), ed essere nel pieno esercizio della propria capacità di agire (intesa dal punto di vista legale).

Secondo le norme italiane, la personalità giuridica è riconosciuta alle aziende di capitale, agli enti pubblici. Anche le persone fisiche alla nascita sono persone giuridiche, ma acquisiscono la capacità di agire (dal punto di vista legale) al compimento del 18° anno di età. Soltanto a partire da questa età, le persone fisiche possono sottoscrivere contratti giuridicamente validi.

Sebbene l’iscrizione a un social o l’utilizzo di un altro servizio web si concretizzi con la sottoscrizione vera e propria di un contratto legale, considerata l’utilità sociale di questi nuovi strumenti tecnologici, in deroga a tale norma, con l’entrata in vigore il Decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101 che adegua il Codice in materia di protezione dei dati personali (Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196) alle disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679, avvenuto nel settembre del 2018, è stata abbassata l’età minima per l’iscrizione ad un social, la creazione di un account e/o l’utilizzo di piattaforme assimilabili a 14 anni.

Tra i 13 e i 14 anni l’iscrizione è possibile solo con il consenso esplicito dei genitori, mentre è sempre vietata l’iscrizione ai minori di 13 anni.

Sarebbe un controsenso vietare per legge ai minori di 13 anni di accedere in qualunque modo al web (e dunque anche apparire in audio e video, come più volte raccomandato dalla stessa Autorità Garante della Privacy), per poi imporne la presenza per video lezioni utilizzando, tra l’altro, piattaforme non istituzionali ma private, di cui le istituzioni non hanno controllo diretto, né sulle modalità di raccolta, conservazione e utilizzo dei dati, né tantomeno la possibilità di accedere a server che si trovano in altri stati (oltretutto fuori dall’Europa).

Qui stiamo parlando di tutti ragazzi minorenni e anche minori di 14 anni.

Non penso (o meglio lo afferma la legge) che, considerate le conseguenze anche del solo atto di accesso alla rete in termini di privacy e raccolta dati, che la scuola possa e debba richiedere ciò o addirittura obbligare a far questo.

Così come non penso che si possa escludere, o eventualmente penalizzare, l'allievo che decide (per decisione dei suoi genitori) di non aderire alla partecipazione alla lezione audio video. Come detto, la scuola deve favorire l'accesso all'istruzione e non creare ostacoli.

Chiarito l’aspetto prettamente giuridico legale, e le violazioni dei diritti costituzionali che si concretizzerebbero con l’attuazione dell’obbligo di utilizzo di qualunque piattaforma privata per videoconferenza (la questione non si porrebbe, almeno in buona parte, se la scuola, il MIUR, fornisse adeguate piattaforme a controllo statale per videoconferenza, alla stregua del registro elettronico e della piattaforma Collabora) e l’eventuale illegittimità nella penalizzazione degli alunni che non aderiranno, entro ora nel merito della minimizzazione dei rischi connessi alle intromissioni durante le sessioni di videoconferenza della piattaforma Zoom.

Nella circolare *** che avete fatto pervenire ai genitori, si legge che “ L’AGID comunica che i problemi di vulnerabilità sono stati risolti attraverso il link: https://www.cert-pa.it/notizie/vulnerabilita-nella-piattaforma-zoom-per-windows/

Alla pagina indicata però, non c’è alcun tipo di certezza riguardo la sicurezza della piattaforma. Nella pagina si fa infatti, riferimento esclusivamente alla dichiarata risoluzione (non verificata) dei problemi da parte dell’azienda privata Zoom, riguardo ai soli bug che permettevano ad eventuali malintenzionati di carpire informazioni su account Microsoft windows degli utenti, durante le sessioni di videoconferenza. Tra l’altro comunicare ai genitori che i problemi di sicurezza di Zoom sono stati risolti, costituisce una evidente falsa affermazione. Nella pagina stessa risulta che Zoom non ha affatto dichiarato risolto il bug, ma anzi “Al momento Zoom non ha corretto la vulnerabilità ma è possibile mitigare il problema scegliendo …

Il considerare tale dichiarazione dell’azienda Zoom, tra l’altro inesistente addirittura ribaltandone il contenuto, come una oggettiva risoluzione di un solo problema (solo quello del furto delle credenziali Windows), non costituisce alcuna certezza di azzeramento del rischio, anche se l’azienda statunitense avesse realmente dichiarato di aver risolto il problema. Mi passi il paragone, faccio ricorso al noto detto popolare “è come andare a chiedere all’oste se il vino è buono!”. Da un’istituzione che ha l’ardire di violare dei diritti costituzionali imponendo l’utilizzo di una piattaforma privata, si pretenderebbe, almeno per coerenza, un’attenzione maggiore alla verifica della veridicità di quanto si dichiara.

La questione dell’insicurezza di Zoom è talmente ancora irrisolta che in data 2 aprile (quindi successivamente quanto riportato dal portale della P.A. da voi indicato), importanti e primarie aziende internazionali hanno vietato l’utilizzo di questa piattaforma ai propri dipendenti (https://www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/tlc/2020/04/02/space-x-vieta-ai-dipendenti-lapp-zoom_46c9bd70-7ebe-471d-9170-1008c7438898.html)

Si afferma poi nella medesima circolare scolastica inviata a noi genitori: “E' bene precisare inoltre che le intromissioni durante le lezioni on line, di cui si è parlato molto in stampa e in rete, dopo essere state passate  al vaglio della polizia postale, non sono risultate hackeraggi, bensì scherzi di ragazzini poco seri, che avevano trasmesso password ai loro coetanei per interrompere le lezioni”. Anche in questo caso siamo chiaramente di fronte alla minimizzazione di un rischio, a una sottovalutazione del problema o alla non comprensione dell’entità del problema stesso.

In data successiva a quella della dichiarazione di Zoom a cui fa riferimento il link riportato nella circolare ***, da verifiche fatte da alcuni siti d’informatica, la problematica connessa all’intromissione di terzi durante sessioni di videoconferenza non è stata affatto risolta. Questo perché è generata da un problema strutturale, di carattere informatico della piattaforma stessa molto più complesso da risolvere. Si tratta di un problema specifico di Zoom, e non presente ad esempio su altre piattaforme tipo Skype.

Inoltre quello che è da Voi definito come una ragazzata, è invece un fenomeno molto diffuso e longevo a livello globale, giunto in Italia solo in queste ultime settimane con la diffusione di questa piattaforma. Tale fenomeno si protrae, senza soluzione di continuità, da diversi mesi al punto da essersi meritato la creazione di un neologismo (zoom bombing). Per evitare di dilungarmi vi allego questo link che la prego di leggere con attenzione nella sua interezza. (https://www.hdblog.it/android/articoli/n518966/zoom-privacy-sicurezza-bombing-e2e-dati-estranei/))

In qualità di genitore, alla luce di quanto sopra, essendo responsabile dell’esposizione ai rischi della rete e alle violazioni della privacy derivanti dall’obbligo di video presenza, non posso in alcun modo accettare le imposizioni contenute nelle circolari in questione.

Non è in alcun modo accettabile che una scuola possa esporre ragazzi minorenni al rischio (anche qualora volessimo circoscriverne la probabilità) che qualcuno s’intrometta nella video lezione per mostrare immagini pornografiche o di violenza. Ritengo gravissima l’introduzione dell’obbligo sia nel caso foste a conoscenza di questo fenomeno, sia nel caso altrettanto grave che non foste adeguatamente informati. La scelta di questa piattaforma è quantomeno sconsiderata.

Le decisioni introdotte con le circolari inviate in questi giorni ai genitori, non tengono a mio modo di vedere, neanche conto del Provvedimento del 26 marzo 2020 - "Didattica a distanza: prime indicazioni" (Registro dei provvedimenti n. 64 del 26 marzo 2020) emanato dal Garante per la protezione dei dati personali.

In particolare al punto 2. Privacy by design e by default: scelta e configurazione degli strumenti da utilizzare, si legge ”Spetta in primo luogo alle scuole e alle università- quali titolari del trattamento - la scelta e la regolamentazione, anche sulle base delle indicazioni fornite dalle autorità competenti, degli strumenti più utili per la realizzazione della didattica a distanza (cfr. anche, ove applicabile, art. 39 del Regolamento (UE) 2016/679, infra: “Regolamento”). Tali scelte dovranno conformarsi ai principi di privacy by design e by default, tenendo conto, in particolare, del contesto e delle finalità del trattamento, nonché dei rischi per i diritti e le libertà degli interessati (artt. 24 e 25 del Regolamento)”.

Con l’inserimento dell’obbligatorietà di presenza vengono (circolare 166) lesi i diritti di libertà e scelta.

Il documento continua: “Le istituzioni scolastiche e universitarie dovranno assicurarsi (anche in base a specifiche previsioni del contratto stipulato con il fornitore dei servizi designato responsabile del trattamento), che i dati trattati per loro conto siano utilizzati solo per la didattica a distanza. Saranno, in tal senso, utili specifiche istruzioni, tra l’altro, sulla conservazione dei dati, sulla cancellazione - al temine del progetto didattico - di quelli non più necessari, nonché sulle procedure di gestione di eventuali violazioni di dati personali.”

In merito a tale punto vorrei poter visionare gli accordi (ove presenti) tra codesto istituto scolastico e la società fornitrice privata Zoom (fornitrice del servizio di videoconferenza) riguardo le modalità e termini di conservazioni e cancellazione, al termine del progetto didattico, dei dati.  Esiste questo accordo? Vi prego di renderlo disponibile alla consultazione sul Registro elettronico.

La disposizione emanata dal Garante della Privacy è un atto è lungo che, qualora non l’abbia ancora fatto, la invito a leggere con estrema attenzione.

Nella sostanza conferisce in primo luogo, come già detto, alle scuole – quali titolari del trattamento – la scelta e la regolamentazione, anche sulla base delle indicazioni fornite dalle autorità competenti, degli strumenti più utili per la realizzazione della didattica a distanza, ma nella scelta degli strumenti da utilizzare è opportuno includere anche le garanzie offerte sul piano della protezione dei dati personali.

Alla luce di quanto sopra, non ritengo che sia stata fornita alcuna oggettiva garanzia a riguardo, ma soltanto pareri basati spesso su presunte e auto dichiarate limitate conoscenze della materia (parere dell’esperto del CUNI), minimizzazione dei rischi sulla base di non documentate dichiarazioni della polizia postale, e autodichiarazioni non verificate\verificabili della società Zoom. Insomma tutto si basa sulla fiducia e non sulla trasparenza.

Al minuto 41:30 dello stesso web minar di cui ho fatto cenno in precedenza, un altro “esperto” fuoricampo suggerisce il tracciamento degli utenti intervenuti, attraverso l’email dei genitori. Al contempo il relatore principale ribatte dicendo che tanto per accedere è necessario l’assenso dei genitori e quindi il problema di responsabilità di eventuali violazioni della privacy non ricade sui docenti ma sui genitori, assenso da raccogliere eventualmente mediante la firma di moduli inviate su registro elettronico. Concetto ribadito anche tra il minuto 56 e il minuto 58:55, cui il relatore invita le scuole e i docenti a tranquillizzare le famiglie, suggerendo di smorzare perplessità riguardo eventuali criticità oggettive (cosa che comprendo è stata ben recepita dal codesto istituto scolastico) per ottenere sostanzialmente una lettera di manleva a favore della scuola per eventuali violazione della privacy dei propri figli, pur ammettendo che la privacy è violata (anche se in forma lieve). Insomma, un’istituzione consapevole di violare delle norme (quella della tutela della privacy dei minori) obbliga quindi qualcuno (le famiglie) a sottoscrivere contratti (in forma atipica e quindi in modo implicito), utilizzando mezzi e servizi erogati da aziende private, senza fornire alcun tipo di garanzia sulla protezione della privacy di minori (poiché mezzi di società esterne su cui la scuola non ha alcun potere), e scaricando sui genitori ogni possibile responsabilità.

Mi sembra chiaro che non è giuridicamente possibile obbligare qualcuno a fare qualcosa e poi dirgli che è responsabile delle conseguenze delle azioni che è stato obbligato a compiere.

Zoom è certamente uno strumento comodo ai professori per fare videochiamate di gruppo o lezioni. Il problema che l’utilizzo da parte dei minori non è compatibile con la scarsa sicurezza che ha, oltre al fatto che si tratta di un’azienda privata. L’impressione è che si sia data più importanza alla forma che alla sostanza, prediligendo la comodità di poter dare una parvenza di “scuola virtuale” alle famiglie e agli allievi, a discapito della sicurezza e della privacy.  Certamente non siete l’unico istituto a scegliere questa soluzione (zoom). Ciò tuttavia non significa che se tutti calpestano e violano le norme, allora diventa lecito e legittimo farlo, anche se a consigliarlo è il Ministero o il Governo. La costituzione è ancora formalmente in vigore e i diritti dei cittadini (oltretutto minori) non possono essere calpestai, ignorati o sminuiti per una questione di comodità nell’organizzazione della scuola, del personale docente. Non tutti ne hanno imposto l’utilizzo, andando solo a consigliarne l’utilizzo a chi voglia eventualmente derogare ai propri principi e diritti o a quelli dei propri figli minori.

Tornando nel merito di quanto disposto dal Garante, addirittura, in caso dell’utilizzo di un servizio online di videoconferenza o di una piattaforma che consente il monitoraggio sistematico degli utenti o comunque ricorre a nuove soluzioni tecnologiche particolarmente invasive (quali, spiega il garante, quelle di geolocalizzazione o dei dati biometrici) sarebbe necessaria la valutazione d’impatto, un sistema complesso e previsto dall’art. 35 del Regolamento.

A tale aspetto codesto istituto scolastico sembra aver adempiuto, se non ho compreso male, con la valutazione fatta dalla dott.ssa ******* ****** che non ha però evidentemente dato molto peso, alla rilevazione dei dati biometrici dei minori, possibile attraverso la videoconferenza.  Tale aspetto doveva invece essere tenuto in estrema considerazione, poiché si tratta di minori di 13 anni.

Il Garante specifica poi che “Laddove, invece, si ritenga necessario ricorrere a piattaforme più complesse e “generaliste, (come nel caso di Zoom) che non eroghino servizi rivolti esclusivamente alla didattica, si dovranno attivare, di default, i soli servizi strettamente necessari alla formazione, configurandoli in modo da minimizzare i dati personali da trattare, sia in fase di attivazione dei servizi, sia durante l’utilizzo degli stessi da parte di docenti e studenti (evitando, ad esempio, il ricorso a dati sulla geolocalizzazione, ovvero a sistemi di social login che, coinvolgendo soggetti terzi, comportano maggiori rischi e responsabilità)”. Sebbene vi siate prodigati per dare disposizioni sull’adeguata configurazione dei device da utilizzare per l’accesso alla formazione a distanza, il Garante ha palesemente conferito alla scuola l’onere di verifica di corretta configurazione. Quest’onere non è, sotto il profilo giuridico, in alcun modo delegabile a terzi (genitori) né tantomeno può essere liquidato semplicemente attraverso poche e sommarie informazioni o rimando a link esterni.

Insomma, per farla breve e concludere, skype, hangout, zoom, we school, etc. sono inutilizzabili a meno di un intervento diretto (e non invece indiretto, cioè per interposta persona, i genitori) della scuola sulle loro funzionalità.

Per quanto riguarda gli insegnanti (a cui i rinnovo ancora una volta l’apprezzamento e la stima) che stanno utilizzando o utilizzeranno questi strumenti per le video lezioni, è bene che sappiano che, secondo la lettura che molti esperti hanno dato del sopracitato atto del Garante, con l’utilizzo di tali piattaforme stanno infrangendo le norme sulla privacy per i motivi sopra esposti.

Voglio ricordare infatti che l’inserimento (tra l’altro illegittimo) dell’obbligatorietà rende la scuola e gli insegnanti, in caso di utilizzo illecito delle informazioni (immagini comprese) carpite durante le video lezioni, responsabili, e possono essere quindi chiamati a risponderne partrimonialmente, civilmente e penalmente.

Dal punto di vista giuridico, infatti, non sollevano da alcuna responsabilità le raccomandazioni fatte ai genitori, nelle circolari emanate da questo istituto scolastico nell’ultima settimana, nelle quali si vietano registrazioni di qualunque genere delle video lezioni. Ricordo che Zoom (come qualunque altra piattaforma), trattiene copia o traccia del contenuto di tutte le sessioni video, sui propri server. A fronte di eventuali utilizzi illeciti d’immagini delle video lezioni, e di conseguenti ed eventuali azioni risarcitorie attivate contro la scuola e il personale docente, per un esonero dei professori e della scuola in merito all’esclusione di proprie responsabilità, l’onere della prova all’estraneità ai fatti spetta agli imputati in sede giudiziale. L’onere della prova che il furto delle immagini e/o delle informazioni sia avvenuto dai server di Zoom e non da qualcun altro durante le sessioni (di cui sono quindi sempre responsabili i docenti e la scuola), rimane sempre a carico dell’imputato. Il Garante ha, infatti, conferito alla scuola il compito di vigilare sulla corretta configurazione dei device utilizzati dagli allievi.

Ciò espone oltretutto, gli insegnanti stessi e anche i loro diretti superiori, a eventuali provvedimenti di carattere disciplinare, poiché violano le norme che regolano il rapporto di lavoro tra dipendenti pubblici e istituzioni.

Ricordo in merito, che il dipendente pubblico è tenuto a non eseguire un ordine qualora questo configuri una violazione di legge, come nel caso di utilizzo obbligatorio di queste piattaforme private. È altresì tenuto a far presente per iscritto che l’ordine ricevuto rappresenta una violazione e, in caso di conferma dell’ordine, è obbligato a renderne partecipe il responsabile gerarchicamente superiore a quello che ha disposto l’ordine. Se come mi sembra di aver capito, l’ordine proviene dal Ministero è dovere denunciare il fatto alla Procura della Repubblica e non eseguire l’ordine (o più salomonicamente essere totalmente trasparenti con le famiglie circa i rischi e le violazioni e rendere volontaria e non obbligatoria la partecipazione alle video lezioni). Immagino che tutto il personale abbia ben presente tali norme. Tuttavia, nel fornire tutti gli elementi possibili al fine di far meglio valutare questo istituto circa le conseguenze delle decisioni organizzative prese, ho ritenuto opportuno farlo.

Per concludere questa lunga email, ribadisco che considerati tutti i riferimenti normativi (Costituzione, Codice Civile, disposizioni Garante della privacy, ecc) le soluzioni adottate da codesto istituto per la didattica a distanza (ad eccezione del registro elettronico e della piattaforna collabora) con particolare riferimento al carattere obbligatorio della presenza in audio video, non sono confermi alla legge e oltretutto lesive dei diritti costituzionalmente riconosciuti quali quello alla privacy e di accesso all’istruzione.

Invito pertanto formalmente con la presente e invia bonaria codesto istituto, nella persona del suo direttore didattico, a:

  1. emanare immediata circolare revocando l’obbligatorietà della presenza audio video dei minori;

  2. ad assicurare parità di trattamento nell’erogazione della formazione, continuando il programma scolastico con l’utilizzo dei mezzi istituzionali (e non privati) come il Registro Elettronico e la piattaforma Collabora, fin qui utilizzati e che si sono rivelati idonei e sufficienti per il proseguimento dell’attività didattica;

  3. di garantire pari trattamento nella valutazione degli allievi (le assenze in audio video non devono in alcun modo essere considerate tali e dunque incidere nella valutazione dell’alunno).

Faccio fin da ora presente che adotterò tutti i comportamenti leciti necessari, atti a garantire i diritti all’istruzione e alla salvaguardia della privacy dei miei figli, facendo ricorso, se necessario, alle autorità competenti che sapranno eventualmente valutare la legittimità delle mie richieste e le violazioni qui esposte. Mi riservo ovviamente nel caso in cui le mie richieste non vengano accolte dalla scuola ma vengano in poi confermate e legittimate dalle autorità competenti, il diritto di rivalermi su codesto istituto e su tutti i soggetti interessati, per eventuali danni conseguenti alla lesione dei diritti costituzionali eventualmente lesi.

Nel ribadire il mio apprezzamento per l’impegno e lavoro fin qui da voi svolto, spero che quanto detto possa servire per mettere in piedi un’organizzazione ancor migliore. Vi ringrazio per l'attenzione e la pazienza dimostrata nel leggere questa mia email.

Certo che comprenderete le perplessità manifestate e vorrete predisporre la fruizione delle lezioni in modo consono senza ulteriori strascichi, vi saluto cordialmente.

 

Questo il testo. Spero di aver fatto cosa utile per diffondere maggiore consapevolezza sul periodo di privazione che stiamo vivendo e per consentire a più persone possibili di difendere i propri diritti e la propria libertà.

È importante difendere i principi e i valori fondamentali, poiché, come dimostra anche questa vicenda, una volta introdotto un precedente atto a limitare libertà e diritti dei cittadini, sarà con ogni probabilità riproposto anche in altri ambiti. Anche quindi tutti coloro che non hanno figli e non sono interessati da questa situazione, dovrebbero presentare esposti alla Procura della Repubblica (è possibile presentarli facilmente anche in forma anonima) per denunciare il fatto. Sarà poi compito delle autorità accertare e perseguire le violazioni.

Difendiamo la libertà, difendiamo i nostri valori fondamentali, difendiamo la costituzione, difendiamo la democrazia!

Stefano Nasetti

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Maggiori informazioni https://illatooscurodellaluna.webnode.it/news/quel-verde-pallido-e-sbiadito-sul-tricolore-italiano/

Stefano Nasetti

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Fonti: