Le misteriose rovine megalitiche di Nan Madol

(Questo articolo è stato pubblicato anche sulla rivista ARCHEO MISTERI MAGAZINE nel numero 68 di Luglio Agosto 2021)

Dall’altra parte del mondo, nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico occidentale, sorge l’isola di Pohnpei facente parte degli Stati Federati della Micronesia, che, seguendo un ordine Est/Ovest, sono costituiti dagli Stati di Yap, Chuuk, Pohnpei e Kosrae. Isola principale dell’omonimo Stato, Pohnpei, che significa "su (pohn) un altare di pietra (pei)", ha una superficie di circa 350 km quadrati e una popolazione di poco più di 30 mila persone, prevalentemente contadini e pescatori.

Nella parte sud-est dell'isola (parte disabitata da quasi 400 anni), nascosti da una fitta vegetazione tropicale di mangrovie, si trovano i resti di un’antica e ancora oggi misteriosa città megalitica, chiamata Nan Madol.

Il nome “Nan Madol”, che letteralmente significa “spazio tra”  o “luogo di mezzo”, sembrerebbe indicare un luogo di passaggio o che fungeva forse da congiunzione tra due luoghi separati. La domanda è: quali luoghi metteva in congiunzione Nan Madol?

Altro nome della città e “Sounahleng” o “Sau Nalan”, che significa “scogliera del Paradiso”.

Secondo le analisi effettuate al radiocarbonio sui sedimenti organici che ricoprono parte della struttura, le rovine risalirebbero al 1180 d.C. ma secondo altri studi, le rovine, nelle sue parti più antiche, avrebbero un’età ancora più remota, addirittura risalirebbero al 200 a.C.

Patrimonio dell’UNESCO dal 2016, Nan Madol è una meraviglia dell’ingegneria antica. È, infatti, l’unica città mai costruita su una barriera corallina. I resti di questa città sono composti da una serie di 92 isolotti artificiali con una fitta rete di strade, canali, ed edifici parzialmente sommersi, sulla cui origine si sa ben poco.

Le fondamenta degli isolotti sono costituite da detriti di corallo, progettati in modo da sostenere massicce cataste di lunghe colonne di basalto. Tutto il sito quindi, è stato costruito non sulla terra ferma quindi, ma su banchi corallini artificiali vicini alla costa, sui quali sono stati posati centinaia di blocchi di basalto colonnare, pesanti ciascuno tra le 5 e le 50 tonnellate, in modo da far letteralmente emergere le isole dalle acque. La forma delle colonne di pietra è talmente singolare che i primi visitatori pensavano fossero state sagomate dall’uomo. Soltanto successivamente si è compreso che la loro peculiare forma prismica era frutto di fenomeni naturali.

Infatti, il basalto colonnare è una roccia scura che si forma quando la lava basaltica si raffredda sotto forma di colonne. Ci sono molte cave di basalto colonnare presenti sull’isola. Tuttavia gli archeologi non sanno spiegare come abbiano fatto queste antiche popolazioni a staccare, trasportare e mettere in posa sul fondale oceanico, tutti questi blocchi per costruire il sito. Le cave si trovano quasi tutte dall’altra parte dell’isola, ed è sostanzialmente impossibile pensare che le abbiano trasportate trascinandole con tronchi e funi attraverso l’impervio e l’addir poco accidentato terreno dell’isola, fitto di intricata e rigogliosa vegetazione.

Le mura realizzate con questi enormi blocchi sono alte, in alcuni punti, anche 8 metri e spesse 5. La costruzione di Nan Madol è tutt’oggi avvolta nel mistero. Con quali tecniche fu realizzata un opera di queste proporzioni? Domanda che già da sola fa comprendere tutto il mistero che ruota intorno a questa città, se si considera che il sito era già abitato dal 200 a.C.!

La città è divisa in due aree, la metà Sud-Ovest o città bassa (Madol Paw) che ospitava palazzi in pietra che si presume fossero utilizzati come sedi cerimoniali, residenze reali, o con funzionalità domestiche e amministrative. E la metà nord-est, la città alta (Madol Powe) che era probabilmente la sede sacerdotale, dove ci sono edifici riconosciuti come templi e sono stati ritrovate le principali sepolture (sebbene prive di qualunque resto) con i recinti rituali associati. Il monumento funerario più importante e meglio conservato in questo settore è il Nan Dawas.

Studi di archeoastronomia condotti dall’astrofisico César Esteban dello IAC (Istituto di astrofisica delle Isole Canarie, Spagna) hanno verificato che la struttura di Nan Dawas è molto ben orientata rispetto ai punti cardinali. Secondo il ricercatore spagnolo l’intero sito di Nan Madol, assieme ad altri punti di riferimento del paesaggio, si allineino all’orizzonte con il sorgere della costellazione di Orione.

Le mura della città hanno dei passaggi, mentre alcune mura sono apparentemente incompiute (o incomplete e parzialmente distrutte).  In alcune aree della città sono stati trovati pozzi naturali molto profondi, che scendono nella barriera corallina fino a 60 m. Grazie ad una attenta osservazione della struttura della città, i ricercatori hanno individuato strani tunnel e condotti che collegavano la città al mare.

Riesaminando la ricchissima tradizione orale, sembrerebbe che l’animale sacro dell’isola fosse l’anguilla. Come i nativi americani consideravano veicolo di divinità il serpente, al pari degli Aztechi e Maya con il culto del serpente piumato Quetzalcóatl, gli aborigeni australiani con le leggende legate al Serpente Arcobaleno, la numerosa e variegata simbologia del serpente in tutte le civiltà indoeuropee, e il culto del serpente volante (o meglio il culto del Drago) nelle popolazioni dell’est asiatico, anche gli antichi abitanti di Nan Madol avevano un culto simile. Probabilmente, siccome non c’erano serpenti a Pohnpei, l’anguilla, che era la cosa più vicina al serpente e divenne così l’animale sacro.

Sono stati catalogati circa 130 edifici, molti dei quali si ritiene fossero le residenze privilegiate dell’élite al potere, e ben 12 dighe regolano il flusso e il deflusso dell’acqua tra i canali della città. La città nella sua totalità occuperebbe circa 83 ettari di laguna, ha una pianta rettangolare lunga 1,5 km e larga 0,5 km (circa 0,8 km2).

Quali tecnologie dunque, seppur primitive, furono utilizzate per permettere che tutto ciò prendesse forma, dato che la popolazione locale non conosceva né la ruota, né il sistema delle leve e neanche il metallo?

Gli archeologi hanno calcolato che per portare a termine un lavoro del genere gli abitanti della misteriosa città avrebbero dovuto posizionare poco meno di 2.000 tonnellate di pietre l’anno, ma nonostante ciò la popolazione avrebbe impiegato 400 anni per la realizzazione di questa imponente opera. Ma quanti uomini sarebbero stati necessari? E come sarebbe stato possibile trovare manovalanza disponibile senza sosta per 400 anni?

Nonostante l’enormità dell’impegno nella costruzione della città, non esiste alcuna documentazione relativa a quando esattamente fu costruita, da dove provenissero le enormi rocce, come furono trasportate lì e per quale motivo Nan Madol fu costruita sopra una scogliera.

Lo sforzo di eseguire un tale lavoro di ingegneria deve essere stato veramente titanico, tanto quanto la costruzione delle famose piramidi d’Egitto.

I ricercatori hanno stimato che per compiere un tale sforzo, sarebbe dovuta essere impiegata a tempo pieno l’intera popolazione dell’isola,circa 25 mila persone. Ma se così fosse, come avrebbero fatto contemporaneamente a sostentarsi, a cacciare, a pescare e a compiere tutte le altre attività necessarie alla sopravvivenza? Per quale motivo poi, avrebbero deciso di intraprendere un simile sforzo, una simile concentrazione di tempo, energie e risorse?

Perché dopo uno sforzo simile, una volta costruita, la città fu poi abbandonata?  

Se abbiamo detto che alcuni ritengono che senza l’ausilio di carrucole, grandi macchinari e senza conoscere il metallo per giunta, per realizzare il sito sarebbe stata necessaria la partecipazione a tempo pieno di almeno 25 mila persone, cioè di tutta la popolazione dell’isola, è chiaro che ciò non possa essere ritenuta una spiegazione realisticamente possibile.

Anche se gli archeologi più tradizionalisti sostengono che le popolazioni locali abbiano utilizzato corde, rulli e zattere per costruire Nan Madol, i tentativi di provare questa teoria non hanno avuto alcun successo e sono tutti miseramente falliti! Non sono stati trovati resti o segni evidenti e inconfutabili che possano dimostrare l’utilizzo di leve, pulegge, funi o degli altri strumenti ipotizzati dagli archeologi.

Nel 1995, durante le riprese del documentario per Discovery Channel, tutti i tentativi di trasportare colonne basaltiche (con peso superiore a 1 tonnellata) su zattere di bambù, fallirono in modo spettacolare davanti alle telecamere. Ulteriori tentativi fatti con le più moderne tecniche di costruzione navale non riuscirono a sostenere l’enorme peso.

Quindi l’archeologia e altre discipline scientifiche ausiliarie hanno riconosciuto la loro impotenza nel comprendere e spiegare come è stato eseguito quello che, senza tema di smentite, può essere considerato il più straordinario lavoro di ingegneria monumentale in Oceania

Anche in questo caso pertanto, la teoria ufficiale è ben lontana dall’essere confermata, trattandosi di una teoria basata su presupposti tradizionali che escludono qualunque tipo di possibilità alternativa a quella convenzionale. Eppure in qualche modo devono aver fatto.

Si stima che sommando il peso di tutti i blocchi utilizzati per la costruzione, si arriverebbe al peso complessivo di 750 mila tonnellate. Se le antiche popolazioni avessero spostato circa 1.850 tonnellate l’anno, la costruzione dell’intero sito sarebbe durata oltre 4 secoli, lavorando ovviamente a tempo pieno. Si tratta quindi di uno sforzo che supera ampiamente quelle che si pensa siano state le capacità costruttive di quelle popolazioni. Eppure quel sito è lì.

Non c’è arte, né sculture, né scritte oltre alle enormi rovine megalitiche di basalto nero. L’unica conoscenza che rimane è quella che è stata tramandata nella storia orale dai Pohnpeiani.

Ci sono leggende locali diffuse tra gli abitanti dell’isola, che dicono che la città si trovasse già lì prima del loro arrivo e che quindi non sono stati gli antenati degli odierni abitanti a costruirla. Le leggende aggiungono inoltre, che la città sarebbe collegata ad un’altra città sul fondale oceanico, considerata la città degli Dèi.

Nan Madol è quindi il luogo di collegamento (il ”luogo di passaggio”) tra le città degli uomini in superficie e la città degli Dei nel fondale oceanico? Alcuni sommozzatori sostengono infatti, che al largo di Nan Madol si susseguano le rovine della città, che porterebbero poi alle rovine di una città sommersa chiamata Kanemwesa. Nessuno tuttavia, sebbene in molti abbiano seguito le rovine sempre più in profondità, è mai riuscito a giungere sul fondo e verificare l’effettiva esistenza di questa città. La profondità è troppa anche per un sub professionista ben equipaggiato. Sarebbe necessaria una spedizione con mezzi sottomarini, ma ciò è ben l’ungi dall’accadere.

Le popolazioni di questa e di altre isole vicine, credono che Nan Madol sia una città maledetta, presso la quale, ancora oggi, spesso sono segnalate strane luci, sia nel cielo, sia tra le rovine della città, luci che talvolta s’immergono nel mare. Per questo Nan Madol è chiamata anche la città fantasma.

Secondo uno dei miti locali più antichi e ancora radicati nella popolazione dell’isola, molti secoli fa, da una nuvola scesero due gemelli su Sokehs, un’isola adiacente nel nord di Pohnpei (in passato chiamata anche Ponape o Ascensione). I due gemelli Olisohpa e Olosohpa descritti come insolitamente più alti dei nativi pohnpeiani, giunsero a Pohnpei a bordo di una ”enorme canoa”, dove fondarono la città del santuario di Sounahleng (oggi Nan Madol).

Gli Dèi concessero ai due fratelli “giganti” il potere magico di far levitare le pesanti pietre dalla cava fino al sito di costruzione, mentre un “drago volante” che sputava fuoco, apriva canali da un’estremità all’alta dell’isola.

Secondo altre leggende, raccontate sempre dalle popolazioni locali, la città sarebbe stata costruita da una forza misteriosa. Raccontano, infatti, che le rocce sarebbero state poste in opera da una mano fantasma. Queste colonne di basalto avrebbero levitato letteralmente, da una parte all’altra dell’isola o in altri casi, avrebbero levitato in qualche modo, raggiungendo da sole la parte più alta delle mura. Si parla quindi ancora di levitazione delle pietre.

Secondo un’altra versione, in un tempo remoto sull’isola di Pohnpei viveva una civiltà progredita che aveva imparato a sfruttare le onde sonore, così da far levitare i massi e spostarli fino alla loro sede. Come ho diffusamente descritto nel mio saggio “Il Lato Oscuro della Luna”, oggi la levitazione sonora è stata sperimentata efficacemente su oggetti più piccoli ed è chiamata “effetto Hutchinson”, ciò tuttavia non dimostra che questa conoscenza (per di più amplificata) fosse nelle disponibilità delle popolazioni di Pohnpei del 200 a.C., sebbene sia sorprendente nel mito pohnpeiano, la presenza del suono come mezzo o strumento di lavoro (cosa tra l’altro non unica nella mitologia)

È possibile che in tutte queste leggende che sembrano avere dei tratti in comune, ci nasconda un fondo di verità?

Se volessimo trovare una facile spiegazione e ignorare tutto quanto finora esposto, potremmo far finta che anche gli abitanti di Nan Madol, non costruirono la città, ma la trovarono già pronta e si limitarono ad abitarla così come fecero le civiltà precolombiane con i siti di Pumapunku e Tiahuanaco. Così facendo, archeologia ufficiale sta fuggendo da anni dal trovare delle spiegazioni plausibili ai metodi costruttivi di tutti questi siti, evitando di mettere in discussione se stessa.

Ad oggi nessuno può dire con certezza in che modo Nan Madol venne costruita o perché fu abbandonata. Molti sostengono che venne attaccata e conquistata, ma non sono state trovati riscontri archeologici a sostegno di questa ipotesi. Altri dicono che degli stranieri introdussero a Pohnpei qualche malattia che decimò la popolazione (anch’essa tesi priva di evidenze tangibili).

Infine, un’altra ipotesi, è che un forte tifone abbia distrutto le risorse alimentari dell’isola, costringendo gli abitanti ad andarsene. Anche in questo caso però riscontri non ce ne sono. Nan Madol infatti è costruita in una posizione che ha una particolare caratteristica. Si trova infatti a metà strada tra l’arcipelago delle Filippine e l’arcipelago delle Hawaii, punto che è noto per essere il luogo più sicuro dell’intero Oceano Pacifico poiché difficilmente è soggetta a forti tempeste. La striscia di 500 km che separa la città di Nan Madol dall’isola Kosrae è il luogo dove solitamente si formano gli uragani, che tuttavia crescono di intensità proprio mentre si allontanano da lì. Quindi la città sacra di Nan Madol raramente è colpita da forti tifoni e tempeste che invece solitamente affliggono con inaudita potenza le altre isole del pacifico. Comunque siano andate le cose, la città di Nan Madol è tuttora disabitata, silenziosa e sinistra. Il suo mistero giace forse nelle profondità oceaniche in attesa di essere scoperto? (Ulteriori informazioni nel libro "Il lato oscuro della Luna")

Stefano Nasetti

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