Lune aliene: aumentano le possibilità di vita extraterreste

Solo vent'anni fa alla domanda “siamo soli nell’universo?” la maggioranza della comunità scientifica rispondeva in maniera assolutamente negativa, ipotizzando al massimo solo la possibilità di una vita intesa come presenza di batteri o organismi molto semplici, e utilizzando frasi come “è assolutamente improbabile che ci siano omini verdi presenti nel cosmo”, prendendosi gioco apertamente di chi aveva posto loro la domanda.*

Nonostante non tutti fossero di quest’avviso, gli scienziati che si dimostravano più aperti alla possibilità di vita extraterrestre e che avevano il coraggio di partecipare a progetti di ricerca come quelli del SETI, venivano guardati con scetticismo e ilarità dagli altri membri della comunità scientifica.

Quest’ultima infatti, non riconosceva la serietà di questi studi, poiché arroccata sulle posizioni tradizionali della visione antropocentrica dell’universo (principio antropico) e sull’assurda presunzione dell’unicità della vita sulla Terra.

Quest’atteggiamento si registrava soprattutto tra i membri più anziani e più autorevoli della  comunità scientifica , quelli che, di fatto, ne tiravano le fila.

La perentorietà delle risposte, il sarcasmo e la presunzione di questi scienziati, nascondeva in realtà la paura degli stessi, di non essere in grado di rispondere alle inevitabili domande che, anche la semplice ammissione della possibilità di esistenza della vita aliena avrebbe comportato.

La conferma di tutto questo arrivò direttamente da un membro autorevole della comunità scientifica, l’astronomo Geoff Marcy dell’Università della California, il più famoso scopritore di pianeti extrasolari (ha scoperto 70 dei primi 100 esopianeti). In un’intervista televisiva rilasciata nel 2011, ha dichiarò: “…..fino agli anni ’90 il mondo scientifico non si poneva neanche la domanda riguardo alla possibilità dell’esistenza di vita intelligente su pianeti appartenenti ad altri sistemi solari, questo perché non si sapeva come scovare questi pianeti e quindi, volutamente, si evitava di parlarne perché non si sarebbe potuto dare una risposta”.*

Già, perché il 5 Ottobre 1995 all'improvviso e inaspettatamente tutto cambiò.

Michel Mayor e Didier Queloz, dell'Osservatorio di Ginevra, annunciarono di avere scoperto il primo pianeta extrasolare, di massa paragonabile a quella di Giove, attorno alla stella 51 Pegasi. Benché già nel 1989 e poi nel 1992 e nel 1993 fosse stata annunciata la scoperta di pianeti extrasolari, quella del 1995 fu davvero per l’intera comunità scientifica, la scoperta spartiacque.

Adesso che la tecnologia attuale consente di individuare in modo univoco altri pianeti che orbitano intorno ad altre stelle e identificare addirittura quelli presenti nella così detta “fascia abitabile”, la presenza di vita intelligente su altri mondi viene addirittura quasi data per scontata.*

Da quel giorno, infatti, sono stati scoperti migliaia di esopianeti. La scoperta procede a un ritmo esponenziale. Nei primi 18 anni (cioè fino al 2013) i pianeti extrasolari sono stati 1.000 mentre nei 5 anni successivi il numero è più che triplicato. Al 30 novembre 2018 i pianeti extrasolari scoperti sono 3.901 pianeti extrasolari in 2.907 sistemi planetari diversi (di cui 647 in sistemi multipli). Altri 213 esopianeti scoperti sono in attesa di conferma mentre altri 2.443 sono corpi celesti già individuati potenziali candidati a essere catalogati come pianeti. (Guarda 300 anni di scoperte esopianeti in 30 secondi)

Se prima nell’ambito della comunità scientifica si riteneva estremamente rara la presenza di pianeti attorno alle stelle, i dati raccolti negli ultimi anni hanno dimostrato che quasi ogni stella ha il suo gruppo di pianeti che le orbita attorno. Sono pianeti molto diversi ovviamente alcuni rocciosi, altri gassosi, alcuni nella cosiddetta fascia di abitabilità (né troppo vicini né troppo lontani dalla stella di riferimento, in modo che presentino condizioni di temperatura al suolo e pressione da consentire la presenza di acqua liquida), altri al di fuori.

Negli anni ’60-’70, ben prima della scoperta del primo pianeta extrasolare, l’astronomo Carl Sagan, uno dei fondatori del progetto SETI, aveva stimato che, solo nella nostra galassia, ci fossero un milione di civiltà intelligenti.*

Il suo collega Frank Drake, un po’ più conservatore, nel 1961 aveva sviluppato un’equazione matematica, nota come “Equazione di Drake” per calcolare il numero di civiltà intelligenti possibili. Questa equazione è entrata in tutti i libri di astrofisica del mondo.*

Secondo Drake le civiltà intelligenti presenti nella nostra galassia sarebbero “solo” 10.000. L'equazione tiene conto di numerose variabili quali ad esempio il numero delle stelle presenti nella galassia, il numero di pianeti rocciosi presenti nella cosiddetta fascia abitabile, il numero di questi in cui è presente acqua allo stato liquido, la durata di una civiltà prima che si autodistrugga. Ci sono però ancora troppe variabili a cui non siamo ancora in grado di dare un valore certo. Pertanto il risultato esatto di questa equazione, è destinato continuamente a essere aggiornato, sulla base dell’evoluzione delle nostre conoscenze in campo astronomico.*

L’ultimo aggiornamento in ordine di tempo è appunto avvenuto a fine 2012, quando l’astronomo italiano Claudio Maccone ha rivisto l’Equazione di Drake alla luce delle ultime scoperte dei pianeti extrasolari. I risultati delle più recenti ricerche hanno appunto rivelato, che i pianeti sono molto più diffusi di quanto si potesse immaginare cinquanta anni fa. Tutto ciò ha quindi reso indispensabile l’aggiornamento dell’Equazione di Drake, trasformandola appunto nella così detta Equazione di Drake Statistica.*

Il risultato della nuova equazione ha dunque stabilito che il numero delle civiltà intelligenti della nostra galassia sarebbero approssimativamente 4.590. La nuova formula ha permesso anche di abbassare drasticamente la distanza media alla quale si troverebbero dalla Terra queste civiltà. Si stima, infatti, una distanza media di “soli” 2.670 anni luce dalla Terra, con il 75% di probabilità che almeno una di queste civiltà si trovi tra i 1.361 e i 3.979 anni luce da noi. Una distanza tuttavia pur sempre enorme, che sembrerebbe escludere ogni possibilità di comunicazione.*

Questa stima però è stata fatta con i dati disponibili fino al 2012, quando, come detto, i pianeti extrasolari scoperti erano ancora meno di 1.000.

Oggi questo numero è più che triplicato oltre al fatto che si è scoperto che esistono altre stelle (le nane rosse) non visibili a occhio nudo, poiché emettono una luce nello spettro dell’infrarosso, che sono numericamente le più diffuse nella nostra galassia (il triplo di quelle simili al nostro Sole). La maggioranza dei pianeti extrasolari scoperti orbita proprio attorno a questo tipo di stelle, più piccole e meno calde del Sole. Sebbene oggi si ritenga più difficile che possano consentire ai pianeti del loro sistema di ospitare forme di vita, la questione non può essere esclusa.

Negli ultimi anni, infatti, sono state scoperte sulla Terra forme di vita in grado di prosperare in condizioni estreme, senza luce, acqua e/o ossigeno, in grado di resistere a pressioni incredibili o di vivere in luoghi apparentemente inospitali come laghi di arsenico o idrocarburi.

L’acqua ritenuta da sempre essenziale, benché come appena detto, questo sappiamo oggi non sia necessariamente vero, è stat scoperta sulla Luna, su Marte, su Cerere e su Mercurio.

Se tutto questo non fosse ancora sufficiente ad ampliare le possibilità di vita extraterrestre, c’è da aggiungere che già nel nostro sistema solare, ben fuori dalla “fascia di abitabilità” e lontano dai pianeti rocciosi prima considerati essenziali per la vita, sono stati individuati altri ambienti potenzialmente ospitali alla vita. Parliamo delle lune che orbitano attorno a pianeti gassosi come Giove e Saturno. Le lune Europa (Giove), Ganimede (Giove) ed Encelado (Saturno) hanno oceani di acqua salata sotto a una crosta di ghiaccio, in condizioni tali da poter ospitare forme di vita. Ma anche gli oceani d’idrocarburi della luna Titano (Saturno) potrebbero averne.

Nel nostro Sistema Solare sono presenti un gran numero di lune che orbitano attorno ai pianeti. L’astronomia di oggi tenta di scoprire se i satelliti naturali sono così comuni anche al di fuori del Sistema Solare. Risale, infatti, al mese di ottobre 2018 l’annuncio della scoperta del primo esopianeta candidato a ospitare un’esoluna, ma la conferma delle prime rilevazioni dell’oggetto è ancora in corso.

Un passo in più verso la soluzione del mistero delle esolune ci viene fornito da un nuovo studio, pubblicato su Astrophysical Journal Letters, condotto dai ricercatori dell’università di Zurigo, guidati dall’astrofisico Judit Szulágyi.

Se giganti di ghiaccio possono formare i loro satelliti naturali, significa che la popolazione delle lune nell’Universo è molto più abbondante di quanto si pensasse, dato che nel cosmo la categoria di pianeti ghiacciati è molto comune” - riassume il Dr.Szulágyi. “Possiamo quindi aspettarci molte altre scoperte di esolune nel prossimo decennio”,  ha affermato l’astrofisico.

Questo risultato è significativo anche nell’ottica della ricerca mondi abitabili. Gli oceani sotto la superficie sono posti ovvi in ​​cui la vita come noi la conosciamo potrebbe potenzialmente svilupparsi” - ha continuato Judit Szulágyi. “Quindi una popolazione molto più grande di lune ghiacciate nell’Universo implica un maggior numero di mondi potenzialmente abitabili, molti di più di quanto si era immaginato finora. Saranno quindi degli obiettivi eccellenti per cercare la vita al di fuori del Sistema Solare”. Le esolune saranno dunque la nuova frontiera della ricerca di vita aliena?

L’equazione di Drake dovrà dunque essere radicalmente rivista. Dovrà contemplare no più solo i pianeti rocciosi nella fascia abitabile ma anche tutte le lune, sia quella dei pianeti rocciosi, sia quelle dei pianeti gassosi dentro e fuori la fascia di abitabilità, oltre a dover aggiungere tutti quei pianeti che orbitano attorno a stelle diverse dal Sole, come le numerosissime nane rosse.

Alla luce di tutto ciò, la scienza sì è dovuta ricredere. In attesa di riscontri ufficiali, quantomeno la possibilità che la vita (anche in forma intelligente) si sia sviluppata solo sulla Terra è pressoché esigua se non nulla. Siamo dunque soli nell’universo? Solo vent’anni fa la comunità scientifica rispondeva “quasi certamente sì”.

Oggi la risposta è diametralmente opposta: “Quasi certamente no”.

*(i paragrafi con l’asterisco sono tratti dal libro del 2015 Il Lato Oscuro della Luna)

Stefano Nasetti

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