Marte pianeta vivo

Da tempo si discute sull’origine del metano marziano. Infatti, nonostante fossero state avanzate perplessità sulla sua presenza, la recente e simultanea rilevazione del gas nell’atmosfera marziana, avvenuta nello stesso luogo e nello stesso periodo per merito di due differenti missioni, quella europea con la sonda orbitale Mars Express e quella Nasa con il rover Curiosity, non ha lasciato spazio a dubbi.

Oggi non solo sappiamo che il metano è presente nell’atmosfera marziana, ma sappiamo che ha dei picchi stagionali. Dato che il metano è un gas instabile, ed è soggetto a scomposizione per azione della radiazione ultravioletta (solitamente in un periodo massimo di 340 anni), la sua presenza variabile indica inequivocabilmente che sul suolo marziano è presente una fonte relativamente recente di questo gas.

Si dibatte da tempo sull’origine del gas. Sulla Terra la maggioranza di questo gas ha origine biologica, tuttavia sono presenti anche elevate quantità di metano abiotico, cioè originato da reazioni chimiche dei minerali presenti nelle rocce.

La contrapposizione tra chi propende per l’origine biologica del metano marziano, e chi invece parteggia per quella abiotica è una battaglia ideologica che va oltre le singole evidenze scientifiche.

Infatti, i due schieramenti coincidono essenzialmente tra gli scienziati più conservatori, che vogliono continuare a preservare l’idea di un Marte da subito freddo e secco, al punto da non aver avuto mai il tempo necessario per ospitare forme di vita, e quelli più aperti che, valutando le evidenze portate alla luce negli ultimi due decenni di esplorazioni del pianeta rosso, propendono per un Marte abitabile (e forse abitato, sebbene da forme di vita elementari) per lunghi periodi nel suo lontano, ma non troppo, passato. Insomma in ballo c’è la conservazione o il definitivo abbandono dell’idea dell’unicità della vita terrestre e dell’ottica antropocentrica che condiziona ancora pesantemente anche la scienza.

Se il passato umido e temperato di Marte è ormai un’evidenza scientifica, nonostante si continui a dipingerlo pubblicamente ancora come freddo e secco, la comunità scientifica sa bene che questa tradizionale idea va man mano cambiata, anche presso l’opinione pubblica.

Allo scopo di non destabilizzare in modo troppo repentino gli equilibri di potere all’interno del mondo scientifico accademico, si sta comunicando pubblica notizia di questo radicale cambiamento, in modo molto graduale. Questo perché si sta “preparando” gradualmente l’annuncio ufficiale del ritrovamento della vita al di fuori della Terra.

Per fare questo, infatti, è essenziale essere in grado di rispondere a tutte le domande in merito alle condizioni necessarie affinché la vita possa esistere ed essere riconosciuta tale.  Non si può semplicemente dire “Abbiamo trovato la vita su Marte” o “Su Marte c’è o c’è stata la vita” se fino a poco tempo prima si è ufficialmente e pubblicamente sempre sostenuto che la vita extraterrestre non è possibile (almeno nel nostro sistema solare).

Con cadenza quasi mensile quindi, vengono pubblicate notizie apparentemente “slegate” tra loro, ma che se analizzate complessivamente, confermano quanto ho avuto già modo di evidenziare nei post precedenti riguardo il pianeta rosso e quanto anticipato nel mio libro del 2018. Marte è stato ed è un pineta “vivo”, che è stato (e in forse è ancora) abitabile, e che è stato (e forse è ancora) abitato.

Decine sono gli studi ufficiali pubblicati che supportano queste affermazioni solo apparentemente rivoluzionarie.

In merito alla diatriba sull’origine del metano e sulle conseguenze di detta origine, se cioè la sua presenza indichi o no l’esistenza di forme di vita, è stato recentemente pubblicato uno studio molto interessante.

Sulla Terra, nel corso dell’ultimo secolo, gli scienziati hanno analizzato nel dettaglio l’origine organica dei combustibili fossili (gas naturale, carbone e petrolio). È, infatti, ormai noto che questi combustibili derivino dalla trasformazione, nel corso di milioni di anni, di sostanze organiche prodotte da piante e animali.

Come accennato in precedenza, esistono tuttavia alcuni combustibili fossili che hanno invece un’origine inorganica, e che per questo sono definiti idrocarburi abiotici. L’esempio più diffuso in natura è il metano, gas formato da un atomo di carbonio e quattro d’idrogeno, che può essere generato a seguito di processi inorganici negli strati più profondi del nostro pianeta. A differenza del comune metano biotico, prodotto da batteri o dalla degradazione di materia organica, il metano abiotico può avere origine da rocce non sedimentarie formatesi a grandi profondità all’interno della crosta terrestre.

Grazie ai risultati diffusi nel mese di Maggio (2019), frutto dello studio denominato  Deep Carbon Observatory  (Dco), oggi sappiamo che anche il metano abiotico non solo non esclude la presenza di vita, ma addirittura rafforza in un certo senso, alcuni aspetti legati alla sua comparsa e al suo sviluppo.

Il programma di ricerca, a cui partecipa anche l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma è un progetto della durata di 10 anni che ha coinvolto oltre 230 ricercatori da 35 nazioni, e che vedrà la sua conclusione solo il prossimo ottobre (2019).

Secondo gli esperti il metano abiotico potrebbe essere connesso allo sviluppo della vita sulla Terra quasi quanto il gemello biotico. Il motivo di tale conclusione sarebbe la grande quantità di metano abiotico presente sul nostro pianeta, più di quanto si pensasse. Tra gli esempi più affascinanti c’è il monte Chimera, nell’antica Licia, oggi corrispondente alla zona di Yanartas, in Turchia. Questa montagna era ed è tuttora famosa per i fuochi che per millenni vi hanno bruciato costantemente.

L’analisi dei depositi gassosi nel terreno attorno al monte Chimera non mostra traccia di residui organici decaduti; al contrario, la presenza di metano abiotico sembrerebbe spiegare perfettamente queste particolari emissioni in grado di generare combustione. Secondo i ricercatori, abbondanti depositi di metano di origine inorganica sarebbero rimasti intrappolati in queste zone al di sotto della superficie terrestre, dando il via a processi chimici a elevata infiammabilità. A seguito di movimenti sismici, le sacche di metano abiotico, avrebbero poi avuto la possibilità, nel corso del tempo, di raggiungere la superficie.

Gli scienziati del Dco hanno analizzato campioni gassosi raccolti dal monte Chimera stesso, ma anche da depositi simili trovati in Canada e in Oman. I risultati mostrano un possibile legame molto interessante – e del tutto inaspettato – tra il metano abiotico e l’origine della vita sul nostro pianeta.

Isabelle Daniel della Claude Bernard University di Lione, uno dei partner del progetto ha dichiarato: “Abbiamo trovato una curiosa firma biologica in campioni che al tempo stesso presentano tracce di metano abiotico. Sembra quindi che i microbi sappiano come utilizzare questo composto inorganico come combustibile”.

Secondo i ricercatori, si tratta di una delle prime prove della possibile trasformazione in natura da materia inorganica a materia organica: un fenomeno fondamentale non soltanto per spiegare la nascita della vita sul nostro pianeta, ma anche per cercare altre forme di vita nell’universo.

Comprendere i processi di formazione di questo idrocarburo sui nostri vicini planetari potrebbe gettare una nuova luce sui fenomeni chimici potenzialmente in grado di generare la vita.

Anche nel caso che quello marziano fosse metano abiotico quindi, non farebbe escludere la presenza di vita nel passato marziano, ma indicherebbe invece, a conferma sempre di tutto ciò che ho dettagliatamente riportato nel mio libro del 2018, che Marte abbia avuto le condizioni necessarie per accogliere e/o promuovere lo sviluppo della vita. Marte dunque potrebbe realmente essere stata la vera culla della vita nel nostro sistema solare.

Altro aspetto interessante della questione, è che le variazioni periodiche di metano presenti nell’atmosfera del pianeta rosso, nel caso si tratti di metano abiotico, stanno a testimoniare, sempre come anticipato nel libro, che contrariamente a quanto si ritiene, almeno pubblicamente, Marte è un pianeta ancora geologicamente vivo.

Come ho avuto più volte modo di sottolineare, questo è un aspetto essenziale per la possibile presenza di forme di vita.

L’attività geologica su Marte, tra l’altro recentemente registrata dalla sonda Nasa InSight, consentirebbe a eventuali sacche di metano abiotico di risalire in superficie e disperdersi nell’atmosfera marziana.

 

La scossa (il martemoto) è stata misurata il 6 aprile 2019, ovvero nel 128esimo giorno di missione di InSight. Il lander è dotato di un sismografo, chiamato Seis, che ha misurato per la prima volta la scossa. I dati raccolti da InSight sono ancora in fase di elaborazione, e ci vorrà quindi ancora un po’ di tempo prima della conferma definitiva che si tratta di un sisma. La comunità scientifica propende tuttavia che il “martemoto” possa essere causato da un fenomeno interno al pianeta e non, ad esempio, dal vento: il sismografo, infatti, registra anche vibrazioni dovute al vento, che quindi non sono assolutamente sismiche.

Nei mesi precedenti, gli esperti Nasa avevano già registrato eventi apparentemente simili, ma li avevano quasi immediatamente esclusi. Almeno altre 3 scosse precedenti erano state registrate ma solo a livello di rumore. Quella del 6 aprile 2019 è stata un po’ più forte ma comunque rispetto agli standard terrestri, siamo ancora nel rumore di fondo. Sulla Terra non sarebbe un terremoto che farebbe notizia.

Sulla Terra la tettonica a placche è fondamentale per mantenere un clima in cui la vita può prosperare. Inoltre, senza l’interazione tra l’interno del pianeta e gli strati più superficiali, la convezione che guida il campo magnetico terrestre non sarebbe possibile, e senza un campo magnetico saremmo bombardati dalla radiazione cosmica.

La principale differenza rispetto al nostro pianeta è che mentre sulla Terra abbiamo la tettonica a placche, che genera i terremoti spostando le placche e le faglie, su Marte, così come la Luna, non dovrebbe esserci una vera e propria tettonica attiva, ma il raffreddamento del pianeta causa contrazioni del sottosuolo che possono dare origine a piccole scosse.

Tuttavia l’esistenza di un’attività geologica è considerata unanimemente una delle condizioni che possono aumentare in modo considerevole, la presenza di forme di vita.

Un team del Carnegie Institution of Science e che ha combinato diverse discipline, dalla biologia alla fisica, dalla chimica all’astronomia, provando a ricostruire le condizioni che hanno reso il nostro pianeta, un luogo abitabile, ha pubblicato sul numero di Science del maggio 2019, uno studio in cui invita la comunità scientifica a riflettere sull’importanza delle dinamiche interne di un pianeta, che sarebbero essenziali nel determinare la sua potenziale abitabilità.

Insomma, quasi non passa giorno senza che siano pubblicate notizie “apparentemente” slegate tra loro, che confermano direttamente o indirettamente quanto ho scritto, su basi rigorosamente scientifiche, ormai oltre un anno fa, riguardo al possibile (o probabile) passato e presente marziano.

Non sono un indovino, non ho avuto fortuna, non ho accesso a informazioni riservate. È stato sufficiente mettere insieme tutte le pubblicazioni scientifiche avvenute in questi anni sulle molte riviste internazionali del settore, e fare dei ragionamenti oggettivi esclusivamente sulla base delle evidenze scientifiche, per poi evidenziare le “conoscenze” sul pianeta rosso, delle culture umane del passato.

Un lungo lavoro che mi ha consentito di conoscere, capire e anticipare molte degli annunci che si stanno susseguendo e che si susseguiranno riguardo Marte, il suo legame con la vita e con la Terra.

Stefano Nasetti

Maggiori informazioni nel libro: Il lato oscuro di Marte - dal mito alla colonizzazione.

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