Pianeti abitabili in aumento

Fin da quando l’uomo, finalmente dotato di strumenti tecnologici adeguati, ha iniziato a scrutare il cielo alla ricerca di possibili altri pianeti, la sua attenzione si è concentrata soprattutto sui pianeti di tipo terrestre, cioè su pianeti rocciosi, con caratteristiche simili al nostro, verso pianeti abitabili. I parametri valutati, come temperatura, pressione atmosferica, dimensioni e distanza dalla loro stella (preferibilmente simile al nostro Sole), avrebbero dovuto essere tali da consentire la presenza di acqua liquida (ancor meglio se salata) affinché l’esopianeta potesse essere considerato adatto alla vita. Solo i pianeti che possiedono queste caratteristiche fanno oggi parte di quelli conteggiati nelle varie equazioni di calcolo (tra cui la famosa equazione di Drake aggiornata, ma esistono anche altri metodi) per stimare un verosimile numero di civiltà aliene.

Come fatto presente in molti post precedenti (Leggi ad esempio l’articolo “Vita Extraterrestre –modelli climatici terrestri e nuovi metodi di ricerca”), nel corso degli ultimi venticinque anni ci siamo resi conto che il nostro concetto “abitabilità” è fuorviante, poiché estremamente restrittivo. Abbiamo, infatti, scoperto già sul nostro pianeta, una moltitudine di forme di vita che prosperano in condizioni ambientali estreme, in cui fino a un minuto prima della loro scoperta, nessuno avrebbe scommesso un euro sulla loro esistenza in quel luogo. Ci siamo poi resi conto che la maggioranza dei pianeti extrasolari scoperti, orbita attorno a stelle diverse dal nostro Sole, stelle più fredde e piccole: le nane rosse. I pianeti che orbitano attorno a questo tipo di stelle non sarebbero dovuti essere considerati idonei a sostenere la vita ma, riconsiderando la distanza orbitale dalla stella di riferimento, distanza molto inferiore a quella dei pianeti intorno al Sole, gli astrofisici e gli astrobiologi si sono resi conto che la tipologia di stella non è un fattore così decisivo come si pensava, ma va valutato nel complesso degli altri aspetti (come ad esempio la distanza orbitale). Ciò ha ampliato il numero dei mondi potenzialmente abitabili già nel nostro sistema (Leggi di più nell’articolo“Anche altri corpi del nostro sistema solare possono ospitare la vita”), ma non finisce qui. Ci si è resi conto poi che, anche se un pianeta è inospitale (come lo sono certamente Giove, Saturno e Nettuno nel nostro sistema solare) poiché pianeti “gassosi” e non rocciosi, potrebbe non essere necessariamente così per le loro lune (leggi l’articolo “Lune aliene: aumentano le possibilità di vita extraterreste”). Quasi mai queste nuove scoperte e consapevolezze scientifiche sono tenute in considerazione quando si eseguono calcoli sull’esistenza di potenziali civiltà aliene nella galassia (Leggi le ultime stime nell’articolo “C’è vita nell’Universo”).

Grazie ad uno studio pubblicato nel mese di giugno 2020 sulla rivista Nature Communication, condotto dall’astrofisico Ian A. Boutle e i suoi collaboratori, oggi sappiamo che nella valutazione circa l’abitabilità di un pianeta, si dovrà tener conto anche di un altro fattore finora mai considerato. Un fattore chiave per determinare se un pianeta extrasolare può ospitare o no la vita, sembra infatti, celarsi nella polvere dispersa in atmosfera.

Secondo il nuovo studio, i pianeti con una notevole quantità di polvere presente nell’atmosfera potrebbero essere abitabili in una gamma di distanza dalla loro stella madre maggiore rispetto a quanto stabilito con i soli paraetri convenzionali, aumentando così l’orizzonte dei pianeti in grado di sostenere la vita. Insomma, la cosiddetta fascia di abitabilità potrebbe essere allargata verso l’esterno.

Gli esomondi in orbita attorno a stelle più piccole e più fredde del Sole (le nane di tipo M) hanno spesso una rotazione sincrona con la stella madre, mostrano cioè sempre una sola faccia alla propria stella, cos’ come la nostra Luna fa con la Terra, il che ha sempre portato la comunità scientifica a credere che molto difficilmente la vita avrebbe potuto svilupparsi sulla loro superficie. L’esposizione sempre della stessa faccia alla propria stella, determina che un lato sia sottoposto incessantemente alla luce e alle radiazioni della stella stessa, con una costante presenza di luce ma anche di calore, mentre l’altro sarebbe perennemente al buio e al freddo.

Attraverso simulazioni condotte su esopianeti di tipo terrestre e di dimensioni simili alla Terra, utilizzando modelli climatici all’avanguardia, la nuova ricerca ha rivelato che la polvere presente su lato esposto alla luce del pianeta raffredderebbe la superficie e, al contrario, quella presente sul lato al buio lo riscalderebbe.

Il raffreddamento dovuto alle polveri nell’aria potrebbe perciò svolgere un ruolo rilevante nell’abitabilità planetaria. I ricercatori hanno, infatti, notato che sulla Terra e su Marte, le tempeste di polvere hanno effetti sia di raffreddamento sia di riscaldamento sulla superficie, anche se prevale il primo caso. Tuttavia gli esopianeti in orbita sincrona sono molto diversi: i lati oscuri di questi mondi sono, come detto, avvolti nella notte perpetua, e qui l’effetto di riscaldamento dovrebbe prevalere. Sul lato esposto alla stella invece, prevarrebbe l’effetto di raffreddamento. La conclusione finale è che le temperature estreme, sia in eccesso sia in difetto, sarebbero così mitigate rendendo il pianeta più abitabile. Se già questo amplia potenzialmente il numero dei pianeti che potrebbero o dovrebbero essere considerati abitabili, la ricerca si spinge addirittura oltre.

La ricerca suggerisce, infatti, che la presenza di polvere potrebbe essere correlata alla presenza di fattori chiave indicativi per la vita, come il metano, come avviene su Marte ad esempio (Scopri di più nell’articolo “Il mistero quasi risolto del metano marziano”). Tuttavia, proprio a causa delle polveri, la “firma” chimica del metano nell’atmosfera potrebbe essere nascosta e non rilevata dai nostri strumenti durante le osservazioni dalla Terra.

La polvere dispersa nell’aria è qualcosa che potrebbe rendere abitabile i pianeti, ma oscura anche la nostra capacità di trovare segni di vita su questi mondi. Questo dato deve essere considerato nella ricerca futura” ha dichiarato Boutle.

Lo studio, spiegano i ricercatori, mostra nuovamente come l’abitabilità degli esopianeti non dipenda solo dall’irraggiamento stellare (o dalla quantità di energia luminosa della stella più vicina) ma anche dalla composizione atmosferica del pianeta.

La prossima volta che qualcuno vi parlerà delle (scarse) probabilità dell’esistenza di vita aliena, presentando calcoli probabilistici, accertatevi del fatto che sia informato di tutte queste scoperte e che i calcoli siano stati fatti tenendo conto di numeri aggiornati e corretti, che contemplino la vita anche diversa da quella terrestre, che abbia tenuto conto anche dei pianeti che orbitano a stelle diverse dal nostro Sole e che abbiano fatto lo stesso anche per le eventuali esolune abitabili. Ogni calcolo che non contempli tutti questi aspetti deve essere considerato strumentale, fuorviante e quindi, inattendibile o, nella migliore delle ipotesi, estremamente conservatore (soprattutto dello status quo).

Stefano Nasetti

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