Progetto OZMA. Compie sessant’anni la ricerca per trovare l'intelligenza aliena che ha cambiato l'astronomia.

(Questo articolo è stato pubblicato anche sulla rivista UFO INTERNATIONAL MAGAZINE nel numero di Aprile 2021)

Sessant’anni fa, nel 1960, in una fredda mattina di primavera nel West Virginia, un astronomo di 29 anni del National Radio Astronomy Observatory, iniziò a scansionare il cielo alla ricerca di segnali radio provenienti da civiltà aliene. Era Frank Drake, che divenne poi noto per aver inventato la famosa equazione per calcolare il numero di possibili civiltà intelligenti presenti nella nostra galassia. Quella ricerca cambiò completamente, nel corso dei decenni successivi, il modo di fare astronomia e guardare le stelle.

Con un budget di duemila dollari (una cifra elevata ma non troppo, per l’epoca) e l’accesso a un radiotelescopio (Foto in copertina) ritenuto abbastanza sensibile da rilevare eventuali trasmissioni di civiltà extraterrestri, Drake aveva, infatti, deciso di affrontare una delle domande esistenziali più presenti nella storia dell’umanità: siamo soli nell'universo?

Intervistato poco dopo il compimento del suo novantesimo compleanno dalla figlia Nadia, oggi giornalista del National Geographic, ripercorrendo l’inizio della sua ricerca, Drake ha affermato: "La ricerca della vita intelligente era considerata una cattiva scienza a quei tempi". Come più volte ricordato in precedenti articoli di questo blog, infatti, a quel tempo, la ricerca di prove di tecnologie aliene era ancora considerata una perdita di tempo, poiché anche solo la possibile esistenza di civiltà aliene era considerata pura fantascienza.

Ciò nonostante, per Frank Drake, valeva la pena correre il rischio di incorrere nella derisione dei colleghi per scoprire davvero se il cosmo fosse popolato di vita tanto quanto gli oceani brulicanti della Terra, o se l'umanità fosse alla deriva in una distesa interstellare apparentemente tranquilla. D’altro canto i veri scienziati sono coloro che non hanno pregiudizi, hanno curiosità e sufficiente umiltà per prediligere la ricerca del sapere alla comodità dei dogmi della scienza (con la “S” minuscola). Non hanno paura di mettersi in gioco e di rischiare la propria reputazione e la propria carriera pur di trovare risposte reali e veritiere, basate sui fatti, sui dati oggettivi e non sulle teorie, sui compromessi e gli interessi personali. Solo oggi forse, in molti si rendono conto di quanto i primi lavori di Drake fossero rischiosi e rivoluzionari.

Solo dal 1995, con la scoperta del primo esopianeta, la comunità scientifica si è aperta definitivamente alla possibilità dell’esistenza di altre forme di vita nell’universo. Fino a quel momento gli astronomi non conoscevano mondi fuori dal nostro sistema solare. Tuttavia Drake al pari di alcuni altri veri scienziati del periodo, non aveva timore di utilizzare il proprio cervello per formulare ipotesi apparentemente “eretiche”, e pensava che se pianeti come la Terra avessero orbitato attorno a stelle come il Sole (oggi sappiamo addirittura che questo tipo di stelle sono molte poche rispetto a stelle di altro tipo, come le nane rosse attorno a cui orbita la maggioranza dei pianeti extrasolari finora scoperti), allora quei mondi avrebbero potuto essere popolati da civiltà abbastanza avanzate da trasmettere, in qualche modo, la loro presenza al cosmo. Il suo ragionamento era, ed è ancora oggi, sensato. Nell’ultimo secolo infatti, l’umanità ha inconsapevolmente mandato nell’universo proprio questo tipo di segnali, sotto forma di trasmissioni televisive e radiofoniche, radar militari e altre comunicazioni che escono dall’atmosfera e si diffondono nello spazio. Perché dunque non ipotizzare che anche altre civiltà possano aver fatto, o possano fare lo stesso?

Drake progettò quindi, un sistema per cercare segnali provenienti da altri mondi. Decise di concentrarsi innanzitutto verso ipotetici pianeti che avrebbero potuto trovarsi in orbita attorno alle stelle a noi vicine, come Epsilon Eridani e Tau Ceti (distanti rispettivamente 10,5 e 11,9 anni luce da noi). Oggi sappiamo che effettivamente esistono pianeti attorno a queste stelle. Drake chiamò questo progetto di ricerca Progetto Ozma, in omaggio al personaggio della principessa nella serie “Il meraviglioso mago di OZ” di L. Frank Baum, racconto d’avventura che descrive un mondo popolato da esseri “esotici” extraterrestri (inteso come on originari del pianeta Terra).

Con l’utilizzo del radiotelescopio di Green Bank, quell’8 aprile del 1960, Drake diede, di fatto, il via alla prima ricerca scientifica umana d’intelligenza extraterrestre, oggi nota come SETI (acronimo di Search for Extra-Terrestrial Intelligence - Ricerca di Intelligenza Extraterrestre). Per quasi tre mesi il telescopio di Drake si mise in ascolto dei segnali provenienti da quelle stelle, ma non trovò nulla che potesse essere ricondotto a segnali artificiali frutto di possibili civiltà intelligenti. Drake non nascose che fu molto deluso dal risultato. "Speravamo che, in effetti, ci fossero civiltà che trasmettevano radio intorno a quasi tutte le stelle" disse. I deludenti risultati non scoraggiarono Drake. Il progetto Ozma rappresentò invece il primo passo verso la ricerca al mistero della vita nell’universo che portò, alcuni anni dopo, nel 1974, alla creazione del progetto Seti e poi a quello ben più organizzato e finanziato, chiamato Breakthrough Listen.

Mentre il progetto Ozma, e gli altri successivi (SETI compreso, progetto ancora attivo) aveva grandi limiti, sia dal punto di vista concettuale che tecnologico (ne ho parlato in altri articoli di questo blog e nel libro “Il lato oscuro della Luna”) poiché, tra le altre cose, tali progetti si sono concentrati sempre e solo su una manciata di stelle, le attuali ricerche come il progetto Breakthrough Listen, hanno un approccio diverso, più esteso e completo, avvicinandosi quasi alla possibilità di monitorare l’intero cielo osservabile, utilizzando diversi sistemi e diversi tipi di segnali, in modo costante.

Sebbene oggi esistano diversi altri progetti, come ad esempio il sondaggio sulle microonde ad alta risoluzione della NASA (mai finanziato), la maggioranza dei membri della comunità scientifica (ancorati, per convinzione o convenienza, ai dogmi delle teorie tradizionali che vogliono la vita come un processo più unico che raro nell’universo) continua a vedere e a trattare la ricerca della vita extraterrestre, e i colleghi che se ne occupano, con ilarità (leggi quanto detto nell’articolo “La scienza anvanza un funerale alla volta? Le superstar della scienza ostacolano il progresso scientifico?"). Ciò rende difficile il finanziamento e ha annullato il sostegno governativo di vari Paesi a progetti più ambiziosi come quello della Nasa appena citato. I soldi disponibili per i progetti SETI sono pochi se non scarsi. Il campo ha relativamente pochi professionisti che si dedicano a questa ricerca. In Italia c’è l’astronomo Claudio Maccone dell'INAF e pochissimi altri. Tuttavia, grazie alle nuove scoperte nel campo astronomico, astrobiologico e astrofisico, l’attenzione, la credibilità del mondo accademico verso questo tipo di ricerche è in netta crescita. In attesa che finalmente sia riservato a questo ramo scientifico il giusto spazio che merita (il cambio di paradigma avverrà entro e non oltre i prossimi 4-5 anni -salvo situazioni a oggi imprevedibili- con l’annuncio ufficiale del ritrovamento di forme di vita elementare su Marte), torniamo al racconto delle conseguenze che, già negli anni sessanta, ebbe il progetto Ozma.

Il progetto Ozma aveva, infatti, attratto l’attenzione dei media. Nel 1961, l'Accademia Nazionale delle Scienze chiese a Drake di organizzare un incontro a Green Bank per discutere la ricerca della vita intelligente. Fu proprio mentre organizzava quell'incontro, che Drake inventò casualmente l'ormai famosa Equazione di Drake, una formula matematica per stimare quante civiltà potrebbero essere rilevabili nella galassia della Via Lattea. In quel momento parve che la ricerca di forme di vita extraterrestri potesse diventare rapidamente uno dei campi di ricerca più importanti delle scienze astronomiche e non solo.

"C'erano radioastronomi dappertutto che volevano fare ricerche SETI, ma quei progetti non sono stati mai finanziati", ha raccontato oggi Drake, fornendo un elenco di località in tutta Europa e in Australia dove progetti di ricerca di segnali di vita extraterrestre, non sono riusciti ad ottenere finanziamenti adeguati e sono stati chiusi o, nella maggioranza dei casi, sono rimasti addirittura su carta. Questo accadde proprio a causa dell’atteggiamento d’ilarità presente soprattutto nei membri più importanti, a livello politico, della comunità scientifica (leggi l’articolo “La scienza avanza un funerale alla volta?”). Se questo accadeva nel mondo occidentale, in piena guerra fredda e nel pieno della corsa allo spazio, in Unione Sovietica le cose andarono diversamente. Dall'altra parte della cortina di ferro, gli astronomi avevano saputo del progetto Ozma e iniziarono con entusiasmo a scansionare le stelle in cerca di segni di vita.

In Unione Sovietica c'erano molte meno restrizioni su ciò che gli scienziati potevano fare. Avevano budget stabili grazie al modo in cui funzionava il governo comunista centralizzato. “Potevano fare quello che volevano", ha dichiarato la storica della scienza Rebecca Charbonneau dell'Università di Cambridge, specializzata nella ricerca SETI durante l'era della Guerra Fredda . "Frank Drake era molto geloso degli scienziati sovietici che potevano fare tutte queste ricerche”.

Non fu un caso infatti, che inizialmente i progetti di ricerca di segnali di vita intelligente extraterrestre decollarono rapidamente in URSS già dai primi anni ’60 guidati dall’astronomo Iosif Šklovskij. Fu così che da allora, e fino alla caduta dell’URSS, sovietici e americani s’incontrarono più volte per scambiarsi idee sulla ricerca della vita intelligente extraterrestre. “In un certo senso - ha affermato Charbonneau - non sorprende che le due superpotenze dell’epoca, sebbene apparentemente in competizione, abbiano finito per condurre le ricerche SETI durante la Guerra Fredda. La corsa allo spazio in corso in quel periodo aveva costretto entrambe le nazioni a pensare a cosa potrebbe esistere nei cieli e le scorte nucleari hanno costretto l'umanità a considerare il suo futuro sulla Terra e tra le stelle”. C’è poi probabilmente qualcosa che forse noi non sappiamo, qualcosa che ha spinto questa insolita collaborazione tra nazioni nemiche, collaborazione testimoniata anche da concreti eventi noti in ambito della storia dell’esplorazione spaziale.

“Il 17 luglio 1975, infatti, una navicella del programma spaziale americano Apollo ed una capsula sovietica Sojuz si agganciarono nell'orbita intorno alla Terra, consentendo ai due equipaggi di potersi spostare da una navicella spaziale verso l'altra.

In un’epoca in cui lo spionaggio riguardante lo sviluppo della tecnologia, era una delle principali attività dei rispettivi apparati dei servizi segreti, perché consentire al “nemico” di poter accedere in “casa propria”, permettendo di spiare la propria tecnologia?

Sebbene tale collaborazione fu interpretata da molti come segno di reciproca volontà di pace, le tensioni tra i due Paesi continuarono per altri 15 anni e soltanto dopo vent'anni, dopo la fine della guerra fredda, venne iniziata una nuova collaborazione con l'avvio del programma Shuttle-Mir.

Quali erano dunque, i reali motivi di questa inaspettata ed imprevedibile collaborazione? Tutto ciò aveva a che fare con gli avvistamenti che gli astronauti dei due schieramenti, avevano avuto nei decenni precedenti?” (brano tratto dal libro “Il lato oscuro della Luna”.)

Oltre a queste domande esistenziali legate alla ricerca di forme di vita extraterrestre intelligente, entrambe le nazioni avevano una ricca storia editoriale e cinematografica di fantascienza piena d’idee sul primo contatto. La collaborazione tra la comunità scientifica statunitense e la controparte sovietica per la ricerca della vita extraterrestre è documentata anche da altri fatti concreti.

“L’astronomo statunitense Bevan P. Sharpless nel 1945, aveva notato un’accelerazione di Phobos che non poteva essere spiegata come effetto delle perturbazioni della sottile atmosfera marziana.

La rilevazione di Sharpless non ricevette particolare attenzione fino al 1959, quando l’astronomo sovietico Iosif Samuilovič Šklovskij avanzò l’ipotesi che Phobos potesse essere un oggetto artificiale cavo.

Šklovskij ipotizzò inoltre, che potesse trattarsi dei resti di un satellite artificiale lanciato da un’antica civiltà che abitava Marte.

Quest’affascinante ipotesi ebbe una certa notorietà, e fu in seguito riproposta nel 1966, dallo stesso Šklovskij nel libro Intelligent Life in the Universe, scritto con l’autorevole astronomo statunitense Carl Sagan, che collaborò a numerosi progetti della Nasa, e fu autore del messaggio inciso sul Voyager Golden Record, presente sulle sonde Voyager.

Anche Šklovskij godeva di un certo prestigio internazionale. Fu infatti ispiratore del progetto SETI, suggerendo che la prima prova evidente dell'esistenza di una civiltà aliena, sarebbe stata la dispersione di onde elettromagnetiche di comunicazioni locali.

L’autorevolezza dei due astronomi, spinse le agenzie spaziali di Stati Uniti e Unione Sovietica, a inviare sonde per lo studio approfondito delle lune di Marte, al fine di risolvere il mistero.

Nel 1988, la sonda sovietica Phobos 2, giunta in prossimità della luna marziana, rilevò una debole ma costante emissione di gas provenire dalla superficie di Phobos.

Misteriosamente o sfortunatamente, la sonda smise di funzionare prima di poter identificare con certezza la natura del materiale emesso, e prima di terminare la propria missione che prevedeva l’atterraggio di due lander sulla superficie.” (brano tratto dal libro “Il lato oscuro di Marte – dal mito alla colonizzazione”.)

Nel corso degli anni, e nonostante almeno ufficialmente le due nazioni fossero in totale contrapposizione, le relazioni tra le due comunità scientifiche sono divenute sempre più fitte e cordiali fino a trasformarsi chiaramente in amichevole collaborazione che produsse, a sua volta, una spinta per la comunità scientifica globale.

 "Shklovskii finì per pubblicare quello che è generalmente considerato uno dei primi libri popolari sul SETI, scritto in collaborazione con Carl Sagan", ha affermato Charbonneau (Si tratta del citato libro Intelligent Life in the Universe .) "Il libro tratta il tema di come gli scienziati cercano di capire come possa essere la vita aliena, di come potremmo comunicare con essa, e allo stesso tempo, se e come stanno cercando di comunicare gli alieni sulla Terra (L’umanità – ndr)."

Mentre le ricerche SETI prosperavano in Unione Sovietica, e mentre le comunità scientifiche delle due superpotenze stringevano rapporti sempre più buoni, negli Stati Uniti, il progetto SETI continuava ad avere vita dura. Se nelle prime fasi, a metà degli anni ’70 il progetto fu finanziato dalla NASA, nel corso dei decenni successivi il Congresso americano tagliò più volte i fondi federali per i progetti SETI, deridendo la ricerca, appellandola in modo denigratorio come "caccia marziana" e definendola un vero spreco di dollari dei contribuenti.  Oggi sappiamo come invece la ricerca di forme di vita su Marte sia considerata una priorità dalla Nasa e di come questa abbia ottenuto negli ultimi vent’anni cospicui finanziamenti per giungere al risultato.

Ciò nonostante, dalla metà degli anni '90 il SETI Institute senza scopo di lucro, fondato nel 1984 e che vive fondamentalmente di donazioni private, e l’Università della California, Berkeley sono stati tra i centri di ricerca SETI più attivi. Nel mondo accademico, il reclutamento di astronomi sul campo è ancora molto scarso. Pochi studenti s’iscrivono a corsi di laurea con l'intento di cercare la vita tra le stelle, tranne che all'Università di Harvard, dove l'astronomo Paul Horowitz ha mantenuto diversi progetti volti a rilevare sia i segnali radio sia i lampi laser dalle civiltà in comunicazione (leggi l’articolo “Un faro terrestre per gli alieni”). Nel corso dei decenni, Horowitz ha formato quattro dottorati di ricerca. studenti in SETI, più di chiunque altro.

Dal 1995 in poi (anno della scoperta del primo esopianeta), gli astronomi hanno scoperto migliaia di esopianeti (a oggi 10 agosto 2020 sono ufficialmente 4302) - o pianeti in orbita attorno ad altre stelle - e molti hanno condizioni che potrebbero essere favorevoli alla vita.

Sei decenni dopo il progetto Ozma dunque, sappiamo che i pianeti superano di gran lunga le stelle nella Via Lattea, fornendo miliardi di luoghi per l'emergere del metabolismo alieno. Ciò sta facendo (o dovrebbe fare) rivedere la posizione di molti scienziati negazionisti della vita extraterrestre (ne abbiamo avuti d’importanti anche nel nostro Paese, che hanno denigrato per gran parte delle loro vite, progetti come il SETI, salvo poi, dopo il 1995, cambiare totalmente opinione per essere poi ricordati oggi, dalla distratta e senza memoria popolazione italiana, come “Amici delle stelle”).

Inoltre, e nel frattempo, sulla Terra gli scienziati stanno trovando la vita in ogni luogo, anche in quelli più improbabili: dalle sorgenti calde bollenti e acide alle parti più profonde, oscure e pressurizzate del fondo marino (leggi l’articolo “Forme di vita nel deserto più inospitale della Terra”). A ogni nuova scoperta di forme di vita in ambienti estremi corrisponde ormai uno sguardo verso le stelle. Quello che abbiamo imparato e stiamo imparando sul nostro ambiente, quello terrestre, si ripercuote in senso astronomico. Ciò sta rendendo la ricerca di una risposta alla domanda alla base del progetto SETI (Siamo soli nell’universo?) una qualcosa d’inevitabile. Sono proprio le scoperte scientifiche arrivate negli ultimi decenni a costringere, anche i più scettici, a fare il passo successivo e aprirsi a questa possibilità.

Nel 2015 è stato avviato un nuovo enorme progetto chiamato Breakthrough Listen. Finanziato dall'investitore tecnologico della Silicon Valley, Yuri Milner (che prende il suo nome di battesimo da Yuri Gagarin, la prima persona a volare nello spazio), il progetto, di durata decennale da 100 milioni di dollari, sfrutta la potenza dei radiotelescopi più potenti del mondo per cercare i segni di vita tra i milioni di stelle più vicine. Breakthrough Listen è oggi 2020, già a metà della durata inizialmente prevista e, al pari del progetto Ozma non ha ancora registrato alcun un segnale alieno di chiara origine intelligente. "Credo davvero che questo sia qualcosa che dovremmo continuare a fare", ha affermato più volte Milner. "Se continuiamo a farlo per dozzine di anni, forse cento anni, penso che avremo una risposta in un modo o nell'altro."

Finalmente gli astronomi non cercano più solo segnali radio interstellari, vero limite dei precedenti progetti SETI, ma impulsi ottici, calore di scarto generato da potenti civiltà e qualsiasi altro segno di civiltà extraterrestri. Insomma, invece di cercare solamente segni di "intelligenza extraterrestre" sotto forma di messaggi, il campo si sta spostando, per usare il termine tecnico, nella ricerca di "tecnosignature", cioè firme ambientali della presenza di forme di vita intelligenti.

Uno di questi progetti, chiamato PANOSETI (Pulsed All-sky Near-infrared Optical SETI), è progettato per rilevare primi fra tutti i cosiddetti lampi radio veloci generati non solo da corpi celesti, ma anche da fonti artificiali e quindi da civiltà intelligenti extraterrestri. La rete di telescopi PANOSETI dunque sta esplorando l’universo su una scala temporale del miliardesimo di secondo, una scala che non era stata mai esaminata a dovere fino a ora nel contesto dei progetti SETI. I telescopi del progetto serviranno comunque a scoprire non solo segnali provenienti da extraterrestri ma anche nuovi fenomeni astronomici.

Oggi alcuni astronomi dicono che il SETI sia nel pieno di una rinascita. Grandi progetti stanno prendendo il via, i fondi per questo tipo di ricerche si stanno finalmente materializzando. I corsi di astronomia delle università statunitensi e non solo, ora cominciano a proporre una prospettiva più ampia sul posto dell'umanità nell'universo. Qualora i vari progetti SETI riuscissero a mantenere il loro slancio attuale, gli astronomi sono ottimisti sul fatto che i progetti futuri potrebbero essere ancora più ambiziosi, come quello già proposto, di installare un radiotelescopio sul lato oscuro della Luna, l'unico posto nel sistema solare dove le continue trasmissioni della Terra non travolgono i segnali radio dal cosmo.

Secondo molti astronomi la risposta alla domanda più profondamente esistenziale, quella alla base dei progetti SETI, potrebbe arrivare nei prossimi anni. Non è escluso però che potrebbero volerci decenni, secoli o anche di più prima di sapere se altre civiltà condividono la nostra galassia. I segnali radio rilevabili emessi dall’umanità, si sono allontanati dalla Terra solo da circa 100 anni, quindi qualsiasi civiltà a più di 100 anni luce dalla Terra non avrebbe potuto rilevarci, anche se avesse la tecnologia idonea per farlo. Queste considerazioni espresse dagli astronomi sono tuttavia ancora frutto di una visione preconcetta della realtà, come già ampiamente trattato nel precedente articolo “Dove sono tutti quanti? Forse oggi abbiamo un indizio” e ancor prima nell’articolo “Per la prima volta la scienza ufficiale contempla la teoria degli antichi alieni”. Le possibilità sono molteplici. Potremmo essere l'unica civiltà attiva in questo momento. Oppure, forse altri esseri sono già arrivati e hanno già superato il nostro grado di evoluzione, mentre altri potrebbero essersi estinti nei 13,8 miliardi di anni di storia dell'universo, o potrebbero ancora essere forme di vita nascenti, che evolvono più lentamente il meccanismo cellulare necessario per alimentare metabolismi complessi e dare origine a forme di vita intelligenti e poi a civiltà tecnologiche.

In ogni caso, appare ormai evidente che la ricerca della risposta alla domanda che ha dato il via al Progetto Ozma, non solo ha già cambiato il modo di fare astronomia e guardare all’uomo rispetto all’immensità dell’universo, ma ha anche il potenziale per cambiare il corso del futuro dell'umanità.

Stefano Nasetti

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