Verso un futuro distopico: l’interfaccia uomo-macchina e computer con cervello umano.

Marzo 2023. Non passa giorno ormai che non arrivi una notizia riguardante la prossima imminente “fusione” tra biologia e tecnologia, tra essere umano e computer, tra uomo e macchina. Da oltre un decennio ormai, anche dalle pagine di questo blog, tento di sfatare alcune false credenze presenti nella mente del cittadino medio, riguardanti possibili scenari futuri o futuristici considerati a torto, solo fantascienza o fantasia. Ma, come più volte detto, in realtà la fantascienza non esiste, e sovente ciò che viene etichettato come tale perché visto in film, serie TV, o letto in libri o vecchi fumetti, è soltanto un’anticipazione di ciò che l’avanzamento tecnologico e scientifico (da non confondere con il “progresso”) consentirà all’uomo di realizzare da lì a qualche decennio. Molti degli scenari e dei mondi bizzarri in cui si muovono i personaggi (quelli sì) di fantasia delle storie cinematografiche e letterarie, potrebbero realizzarsi in tutto o in parte. Se queste realtà, spesso distopiche e poco auspicabili, si verificheranno o no, dipenderà solo da come l’umanità accoglierà certe “proposte tecnologiche”.

Negli ultimi anni si parla con insistenza di transumanesimo, cioè della fusione “fisica” tra uomo e macchina. C’è chi vede in questo il “bicchiere mezzo pieno”, come un’opportunità di “potenziare” le facoltà umane e trovare una soluzione a molti problemi del nostro tempo, per progettare un futuro migliore dell’attuale presente grazie alla sempre più magnificata potenza dell’IA (intelligenza artificiale), e c’è chi vede il “bicchiere mezzo vuoto”, e pensa che tale “fusione” non preluda a nulla di buono, per mille motivi differenti. Nel frattempo però, gli studi, le ricerche e le sperimentazioni proseguono, spinte dai cospicui e continui finanziamenti che arrivano dalle multinazionali e da sedicenti filantropi, e non ostacolate in alcun modo da leggi o organi legislativi, e (in teoria) rappresentativi degli interessi dei popoli, che sembrano non interessarsi, al momento, dei possibili sviluppi conseguenti alla futura applicazione di queste tecnologie su larga scala.

Tra la fine di febbraio e inizio marzo (2023), due nuovi studi hanno reso ancor più sfumati i confini tra biologia e tecnologia. I risultati del primo studio, in ordine di tempo, pubblicato sulla rivista Science dalle Università svedesi di Linköping, Lund e Gothenburg, ha aperto ufficialmente la strada a un possibile futuro in cui circuiti elettrici potranno essere perfettamente integrati nell’organismo. L’obiettivo dichiarato ufficialmente è duplice: da un lato c’è il nobile scopo di utilizzare questa tecnologia per trovare cure alle malattie che coinvolgono il sistema nervoso centrale, dall’altro c’è un aspetto più commerciale (e quello che c’è da scommetterci, troverà maggiore e più veloce applicazione) di sviluppare la prossima generazione d’interfacce uomo-macchina.

La bioelettronica convenzionale è caratterizzata da un design rigido e non modificabile, ed è quindi molto difficile integrarla nei sistemi biologici. Questi ultimi infatti, non accettano facilmente al loro interno, la presenza di materiali inorganici, perché hanno la tendenza a riconoscerli come “corpi estranei”. Spesso l’organismo risponde con un aumento dell’attività del sistema immunitario, che può generare addirittura più problemi che benefici al benessere dell’organismo ospitante, che può concludersi con il rigetto dell’apparecchio bioelettronica impiantato. Va da sé che sovente le applicazioni di apparecchiature elettriche all’interno del corpo umano e/o degli organismi biologici in generale, è molto limitato. Sovente i materiali inerti, accettati dall’organismo, non hanno buone proprietà conduttive e la possibilità di utilizzo di materiali conduttori, come i metalli, non può che avvenire solo in misura estremamente limitata. In questi anni si è parlato molto del grafene quale possibile soluzione a questo problema, tuttavia le sue peculiari caratteristiche ne consentono un uso nel campo della creazione di circuiti elettrici. Per trovare una soluzione al problema riguardante la simultanea compatibilità dei materiali all’uso elettrico e all’accettazione degli organismi biologici, i ricercatori hanno sviluppato un materiale morbido e in grado di condurre l’elettricità composto da enzimi, che è possibile iniettare sotto forma di gel: “Il contatto con le sostanze del corpo cambia la struttura del gel – spiega Xenofon Strakosas delle Università di Linköping e Lund e uno dei ricercatori alla guida dello studio insieme ad Hanne Biesmans di Linköping – e lo rende elettricamente conduttivo, cosa che non è prima dell’iniezione”.

In pratica, le molecole presenti all’interno del corpo sono sufficienti per innescare la formazione degli elettrodi. Non c’è bisogno perciò, di modifiche genetiche o segnali esterni come la luce, che erano invece i principali sistemi utilizzati in passato in esperimenti simili che miravano a risolvere il medesimo problema. Modificando le molecole presenti nel materiale, i ricercatori sono poi anche riusciti ad aggirare le difese del sistema immunitario, inducendolo a non riconoscere come “corpo estraneo” il circuito elettrico iniettato, e a non attaccarlo, eliminando così qualunque possibilità di rigetto.

I primi test in laboratorio hanno riguardato animali. I ricercatori sono riusciti ad ottenere la formazione di elettrodi nel cervello, nel cuore e nelle pinne caudali del pesce zebra e attorno al tessuto nervoso delle sanguisughe. Secondo quanto si legge nello studio su pubblicato su Science, gli animali non sono sarebbero stati né feriti, né influenzati in alcun modo dall’iniezione del gel e dalla formazione dei circuiti elettrici. La sperimentazione continuerà, il sistema sarà testato su organismi sempre più complessi partendo dai topi. I ricercatori sperano di poter arrivare a mettere appunto una tecnologia applicabile presto anche all’uomo. Il cervello dell’uomo transumano, ospiterà in futuro anche una serie di circuiti integrati che gli consentiranno di connettersi a computer e altri dispositivi, senza doversi sottoporre a operazioni chirurgiche invasive?

Il secondo studio (solo teorico), pubblicato questa volta sulla rivista Frontiers in Science ad opera di un gruppo di ricercatori guidati da Lena Smirnova dell'Università statunitense Johns Hopkins, ha disegnato invece uno scenario differente, ribaltando forse il tutto. Non più un possibile sistema che possa consentire all’uomo di acquisire maggiori capacità servendosi delle macchine, connettendosi a esse, ma un sistema in cui i futuri computer non sfruttino chip in silicio ma organoidi di cervello umano, versioni in miniatura di cervello. Thomas Hartung, portavoce della John Hopkins University, ha definito così la scoperta “I computer tradizionali, basati sul silicio, sono certamente molto bravi a manipolare i numeri, ma i cervelli sono molto più bravi ad apprendere informazioni. Per esempio, AlphaGo, l’intelligenza artificiale di Google che ha sconfitto il campione mondiale di Go nel 2016, si è ‘allenata’ studiando circa 160mila partite. Un essere umano dovrebbe giocare cinque ore al giorno per oltre 175 anni per arrivare allo stesso numero […] I cervelli hanno una capienza incredibile, dell’ordine dei 2500 terabyte. Stiamo raggiungendo i limiti fisici del silicio, dal momento che non possiamo inserire ancora più transistor sui chip. Il cervello, invece, è “cablato” in modo completamente diverso: ha circa 100 miliardi di neuroni, collegati su un numero enorme di punti di connessione. È una differenza di potenza enorme, comparata alla tecnologia attuale” Una soluzione quella di creare biocomputer che, secondo il team di ricerca, potrebbe consentire di avere computer più veloci, flessibili e con consumi di energia molto più bassi.

Repliche in scala ridotta di organi umani e capaci di crescere nelle tre dimensioni in modo autonomo sono già state eseguite con successo negli ultimi anni.  Gli organoidi in questi anni si stanno dimostrando potenti modelli per studiare gli organi umani o sviluppare nuovi farmaci, e la nuova idea proposta dai ricercatori americani apre ora nuove importanti prospettive. Sebbene al momento l'idea sia puramente teorica, immagina in prospettiva di arrivare a una nuova generazione di computer bio-ispirati.

Gli organoidi di cervello sono copie semplificate dei cervelli umani, e già alcuni studi hanno dimostrato la loro capacità di interagire in modo basilare con informazioni provenienti dall'esterno. Ad esempio alcuni mesi fa (ottobre 2022), si è riusciti a “farli giocare” al computer a Pong, uno dei primi videogame in bianco e nero che simula una partita a ping pong. Partendo da questi tangibili risultati, i ricercatori della Johns Hopkins University si sono chiesti “Perché allora non immaginare di usarli come dei veri computer?".

Hanno così cercato di immaginare le potenzialità di questi possibili biocomputer, che potrebbero essere più flessibili e veloci, dai consumi super ridotti. Un cervello umano, infatti, consuma ad esempio, quanto una lampadina a basso consumo. Si tratta chiaramente di un progetto molto ambizioso ma Chiara Magliaro, ricercatrice del Centro E. Piaggio dell'Università di Pisa, che assieme ad una collega si occupa dello studio della microanatomia degli organoidi e ha firmato, sullo stesso numero della rivista, un articolo di commento all'idea proposta da Smirnova, è convinta che sia una strada scientificamente percorribile. "Più vicina – ha dichiarato all’agenzia ANSA - è di sicuro la possibilità di analizzare in dettaglio tutte le connessioni neuronali negli organoidi e usare quelle preziose informazioni per sviluppare reti neurali più efficienti, per i super computer del futuro".

L’uomo, o parti di esso, sarà utilizzato come pezzo di supercomputer? L’uomo perderà la sua supremazia sulle macchine e sarà “declassato” a semplice oggetto? Saranno i computer o più in generale le macchine, a utilizzare l’uomo e non più il contrario come finora avvenuto? Ho già parlato in altri articoli di questo blog, apparsi anche sulla rivista “Il giornale dei Misteri”, di come la possibilità che l’uomo sia utilizzato come un qualsiasi altro componente delle macchine o di computer, o addirittura, come fonte di alimentazione delle stesse, sia un qualcosa di tecnologicamente già reale, un po’ come il distopico futuro nel mondo descritto nel film Matrix. Oppure l’uomo si fonderà con le macchine, perdendo la sua natura e involvendosi (e non evolvendosi) in un essere biomeccanico e quindi transumano (ne ho parlato in quest’altro articolo)? Cosa fare con questo tipo di studi? Cosa fare con questo tipo di tecnologie? Il futuro del genere umano è ormai segnato? Forse no!

Infatti, il problema non è la tecnologia ma piuttosto l’uso che se né fa. Ogni cosa comporta un “prezzo”, inteso non sotto l’aspetto economico ovviamente, che può essere “misurato” nel rapporto rischi/benefici. Ciò che va sempre considerato è se i benefici dell’applicazione di quella tecnologia, nel modo in cui ci viene proposta o nel modo in cui noi decidiamo di utilizzarla, ci porta reali benefici, e se questi ultimi superano i rischi (concreti o anche solo potenziali e teorici) che, sempre più spesso, chiamano in causa la nostra libertà, la nostra salute e la nostra natura. Personalmente non ritengo negativa la tecnologia, ma sono molto critico nella valutazione della stessa, e ritengo che ogni aspetto riguardante la sua applicazione vada oggigiorno fortemente e attentamente disciplinato, prima della sua entrata in funzione e commercializzazione. Se la tecnologia in esame, in una sua qualche tipologia di applicazione può nuocere anche soltanto a una delle tre componenti sopra indicate (libertà, salute e natura umana) o più in generale può ledere i diritti umani fondamentali, andrebbe vietata o il suo uso andrebbe circoscritto ai soli ambiti in cui tali rischi non sono certamente presenti o in casi limitati (in numero e tempo) di assoluta necessità. Un esempio potrebbe essere la tecnologia da cui oggi tutto il mondo è dipendente. Internet è potenzialmente un grande strumento di libertà e democrazia, in grado di consentire a persone di venire a conoscenza d’informazioni provenienti e/o di fatti avvenuti o che stanno avvenendo in ogni luogo del pianeta, in grado di mettere in contatto persone lontanissime, che vivono in Paesi e che hanno culture e abitudini diverse, di farle confrontare, di farle lavorare assieme per trovare possibili soluzioni a problemi presenti e futuri. Al contempo, internet, è divenuto, però strumento sorveglianza, controllo, repressione e oppressione. Eppure basterebbe garantire l’anonimato in rete e/o vietare qualsiasi raccolta di dati di massa (sia per fini commerciali, sia statistici, sia di sicurezza), oltre che educare la popolazione mondiale a un uso consapevole della rete e dei social network, in modo più costruttivo e meno individualista ed egocentrico, per tornare a vedere internet come un qualcosa di maggiormente positivo che negativo com’è invece ora, almeno per chi a consapevolezza di ciò che l’esistenza della rete comporta, sia se la si utilizza, sia non lo si faccia direttamente. Oggi infatti, la sola presenza della rete in un luogo rappresenta una potenziale minaccia alla libertà collettiva e individuale.

Purtroppo invece, le leggi spesso arrivano a regolamentare con colposo ritardo, l’utilizzo delle nuove tecnologie, quando spesso già se n’è fatto un abuso o un uso sbagliato o deviato rispetto ai propositi che ne hanno determinato la creazione. Ancor peggio, chi detiene il potere legislativo regolamenta quella nuova tecnologia per munire i Governi e le agenzie governative di “legali” poteri di abusarne, sovente ai danni dei cittadini, con il solo fine di mantenere il potere, tutelare i propri interessi individuali o di lobby, o mantenere o acquisire il controllo dei popoli (per farti un’idea, vedi i documentari “Citizenfour – Il vero volto dei Governi (Usa e non solo) ” e “Gulag, il volto oscuro della Cina”).

L’unica possibilità rimasta quindi, per evitare futuri tanto distopici quanto all’apparenza fantascientifici, è quello di approcciare a queste e ad ogni altra tecnologia, in modo critico, attento e consapevole. Sarà solo la modalità e il grado di accettazione o il rifiuto, totale o parziale, di tali tecnologie da parte della popolazione mondiale, ha determinare il destino dell’umanità. Il futuro non é scritto e non può essere scritto e determinato da nessuno, chiunque esso sia e per quanto potere politico ed economico abbia, perché è solo uno (o sono solo pochi) rispetto al resto dell’umanità. Sono gli abitanti di questo pianeta che saranno, come sempre accaduto, gli artefici del proprio destino. Nessuna scusa, nessuna attenuante potrà sottrarli dalla responsabilità che hanno e che avranno, nel disegnare il futuro proprio e dei propri figli. Speriamo che si scelga in modo consapevole e per il meglio, fondando le proprie scelte sulla conoscenza e sulla consapevolezza e non sulla fiducia verso qualcuno o qualcosa (autorità, politici, scienziati, economisti, ecc.) e soprattutto su quei valori inalienabili e inderogabili che ricadono oggi sotto la dicitura di diritti umani. Speriamo che l’ormai volontaria e ingiustificabile ignoranza, la scarsa cultura, la disabitudine a pensare con la propria testa, non servano ancora una volta, proprio come “il sistema” vuole, ad annebbiare la mente e zittire la coscienza.

Se questo da sempre il mio invito e il mio auspicio, devo costatare che, guardando alla storia, antica, moderna o contemporanea che sia, il passato non lascia ben sperare …

Stefano Nasetti

© Tutti i diritti riservati. E' vietata la riproduzione, anche solo parziale dei contenuti di questo articolo, senza il consenso scritto dell'autore