È ormai da diversi mesi (dal dicembre 2019) che i mass media parlano quasi esclusivamente del coronavirus SARS-CoV-2 e della Covid-19. La comunicazione riguardo quest’argomento si è fatta ancor più insistente da quando, ormai alla fine di gennaio 2020, erano stati confermati ufficialmente i primi casi d’infezione in Italia.
Nelle successive quattro settimane (l’intero mese di Febbraio) abbiamo assistito a ore e ore di trasmissioni dedicate all’argomento da radio e Tv e centinaia di articoli su tutte le testate giornalistiche (solo su Ansa si contano quasi 1000 articoli sull’argomento in appena 30 giorni con una media di oltre 34 al giorno, più di uno ogni ora), ad annunci e disposizioni sanitarie disposte da Governi, Regioni e Comuni, con chiusure di scuole, isolamento d’intere città e quarantene per migliaia di persone.
In tutto questo, non si sono fatte attendere le interviste a virologi e medici, che hanno cercato di fare un minimo di chiarezza nell’approssimativa comunicazione fatta nelle settimane precedenti dagli impreparati, disinformati e mediocri giornalisti che popolano il panorama italiano, del settore chiamato impropriamente “dell’informazione”. Al contempo, in questo caos generalizzato, abbiamo potuto osservare le reazioni della popolazione a tutto ciò che stava e sta accadendo.
Gli accadimenti, in special modo quelli degli ultimi due mesi (febbraio e marzo 2020), ci consentono di fare alcune importanti riflessioni riguardo l’attività svolta dai mass media italiani, le reazioni e le affermazioni odierne e passate delle autorità in tema di focolai epidemici, e il rapporto tra popolazione e la comunicazione proveniente da questi due soggetti (mass media e autorità).
Ma andiamo con ordine e iniziamo innanzitutto dalle basi scientifiche e dati concreti, poiché ritengo debbano essere sempre i dati oggettivi a incidere nella formulazione delle nostre idee e considerazioni, e non viceversa. Cercherò quindi di fare innanzitutto una corretta e completa informazione, per poi passare a esporre le mie considerazioni personali.
Cos’è il coronavirus di cui parlano in continuazione i mass media?
Quello di cui si parla genericamente oggi con l’appellativo di “Coronavirus”, in realtà si chiama SARS-CoV-2 (in precedenza 2019-nCoV). A scegliere il nome è stato l'International Committee on Taxonomy of Viruses (ICTV) che si occupa della designazione e della denominazione dei virus (ovvero specie, genere, famiglia, ecc.). A indicare il nome è stato un gruppo di esperti appositamente incaricati di studiare il nuovo ceppo di coronavirus. Secondo questo pool di scienziati il nuovo coronavirus è fratello di quello che ha provocato la Sars (SARS-CoVs), da qui il nome scelto di SARS-CoV-2.
La malattia provocata dal nuovo Coronavirus ha un nome: “COVID-19” (dove "CO" sta per corona, "VI" per virus, "D" per disease e "19" indica l'anno in cui si è manifestata). Il nome è stato scelto dall’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità). Si tratta di un virus della famiglia Coronavirus, noti per causare malattie che vanno dal comune raffreddore a malattie più gravi come la Sindrome respiratoria mediorientale (MERS) e la Sindrome respiratoria acuta grave (SARS). Tuttavia, pur facendo parte della stessa tipologia, il SARS-CoV-2 non è il virus dalla SARS, ma un virus diverso, la cui origine certa non è ancora nota.
Quanto è pericoloso il nuovo virus?
Su questo punto c’è stata molta disinformazione, fatta soprattutto (se non esclusivamente) dai mass media mainstream.
Fin dall’inizio dell’epidemia in Cina tutti i mass media si sono limitati soltanto ad aggiornare il numero dei casi conclamati e il numero dei morti, omettendo colpevolmente di spiegare all’opinione pubblica quali fossero le condizioni igienico sanitarie in cui si è sviluppato e diffuso il focolaio in Cina, quale fosse il contesto sociale in cui il virus si stava diffondendo, quali fossero le modalità e le possibilità di accesso alla sanità cinese e quindi alle cure, quali fasce di età della popolazione fossero più colpite, quali fossero le condizioni di salute preesistenti nei soggetti colpiti e poi deceduti e, infine, omettendo sempre il numero delle persone guarite.
Tutte queste omissioni, colpevoli o colpose, hanno trasformato quella che doveva essere “informazione” in disinformazione, generando confusione, prima, allarmismo e panico poi, una volta che il virus è arrivato in Italia. Sui motivi che hanno indotto tutti i mass media a tale superficiale comportamento, tornerò più avanti, poiché qualcuno potrebbe considerare le spiegazioni a riguardo solo delle opinioni. Proseguiamo allora, prima con i fatti.
Secondo quanto riporta il sito del Governo italiano www.salute.gov.it, se si prende il virus SARS-CoV-2 (che da qui in avanti per semplicità chiamerò anch’io “coronavirus” al fine di facilitare la comprensione del lettore), “Alcune persone si infettano ma non sviluppano alcun sintomo. Generalmente i sintomi sono lievi, soprattutto nei bambini e nei giovani adulti, e a inizio lento. Circa 1 su 5 persone con COVID-19 si ammala gravemente e presenta difficoltà respiratorie, richiedendo il ricovero in ambiente ospedaliero”.
Secondo ISS (Istituto Superiore di Sanità) quindi, il virus porta complicazione in circa il 20% dei malati. Ma è davvero così? Cosa dicono i virologi?
Esporrò alcuni eminenti pareri, mettendo ovviamente da parte l’opinione di quei medici che di virologi hanno soltanto il titolo e che, al soldo di taluni partiti politici, sono saliti alla ribalta negli ultimi anni lucrando costantemente sulla salute della popolazione facendo propaganda politica e non informazione scientifica, mediante un’esposizione mediatica continua e la pubblicazione immediata di libri (a solo 30 giorni dall’arrivo del nuovo coronavirus in Italia, il virologo a cui mi riferisco e di cui non farò il nome per non fargli pubblicità, ha già pubblicato un libro sull’argomento) su ciascun argomento che possa rientrare nella loro sfera di competenza.
Qui di seguito invece, riporto un estratto degli interventi di due prestigiosi virologi italiani, intervenuti in due distinte trasmissioni di Radio Rai, Speciale GR1 sul coronavirus, nei giorni 24 e 25 febbraio 2020. È molto importante porre particolare attenzione alle affermazioni che ho sottolineato. Torneranno utili per le considerazioni finali. Nella trasmissione del 24 febbraio, è intervenuto il virologo Giovanni Maga, direttore dell’istituto Molecolare del CNR (Centro Nazionale delle Ricerche). Ecco cosa ha detto.
Giornalista Radi orai: “Vorrei con Lei ridimensionare quella che è la pericolosità di questo virus, che è altamente contagioso ma, lo abbiamo detto più volte, essere positivi al test del coronavirus, quindi avere il contagio, non significa essere in pericolo di vita.” (Si può morire per coronavirus, ma le persone che sono a oggi decedute erano persone fragili - dal punto di vista immunitario NDR.)
Giovanni Maga: “Assolutamente. L’infezione da questo nuovo coronavirus ha un decorso benigno nell’assoluta maggioranza delle persone. Insomma, guarire è la regola! Almeno l’80%, ma come dicevo, in base anche all’età, quindi in età giovane può essere anche il 90%, le persone hanno una sintomatologia moderata o lieve, cioè non richiedono ospedalizzazione, e guariscono senza particolari conseguenze. C’è una percentuale significativa, tra 10 e 15%, sempre a seconda della propria costituzione e del proprio stato fisico, che può sviluppare una polmonite virale. Questa incidenza è superiore a quella causate dal normale virus influenzale in percentuale, ma anche in questo caso, nell’assoluta maggioranza dei casi il decorso è benigno.”
Giornalista Radio Rai: “Quindi a questo punto l’importante è contenere i contagi. Si è sviluppata una sorta di caccia al paziente zero, ma potremmo già essere alla terza o quarta generazione del virus. Perché è importante risalire al fantomatico paziente zero”.
Giovanni Maga: “Il paziente zero, in qualsiasi focolaio epidemico, è importante per due motivi. Perché definisce il contesto in cui il virus è entrato, cioè ci fa capire com’è arrivato, e inoltre ci consente di tracciare i primi contatti, quindi risalire ai primi che sono stati potenzialmente infettati e da cui potrebbe essere partito il focolaio. Questo ovviamente, se viene fatto subito, consente di circoscrivere immediatamente l’area. La nostra situazione attuale è che, purtroppo, non è stato possibile identificare il paziente zero all’inizio, e quindi ci siamo un po’ allontanati dalla radice di quest’albero d’infezione che si sta diffondendo. Però questo vuol dire che abbiamo messo in campo un’area di delimitazione molto ampia proprio per renderci conto della dinamica dell’infezione, per limitarne la diffusione, intanto che gli studi epidemiologici cercano di tracciare all’indietro i contatti. Però a oggi per la limitazione dell’infezione la misura migliore è quella di circoscrivere le zone potenzialmente interessate.”
Giornalista Radio Rai: “C’è la speranza che con la buona stagione questo virus cominci a decrescere nei contagi, così come sta accadendo anche per la normale influenza?”
Giovanni Maga: “È una ragionevole ipotesi. AL momento non sappiamo come questo virus si comporti da un punto di vista stagionale. È molto simile alla SARS come tipologia ma non certamente come gravità dei sintomi, la SARS era molto più aggressiva e molto più letale, è 10-50-100 volte più letale, a seconda delle classi di rischio, ma così come la sars era scomparsa con l’arrivo della bella stagione, se anche questo virus seguirà l’andamento di tutti i virus respiratori, come quello dell’influenza, si può ragionevolmente sperare che, con l’aumento delle temperature, perda di potenza. Io vorrei anche sottolineare che anche nell’epicentro della malattia, in Cina, si sta iniziando a vedere una diminuzione dei casi, l’aumento sempre maggiore delle persone guarite, tant’è che la Cina ha deciso di allentare un pochino i cordoni di contenimento, proprio perché sembra che l’epidemia stia rallentando e si spera nei prossimi mesi scenderà … Quindi nel frattempo, l’importante è evitare che nuovi focolai si accendano e si espandano in altre zone.”
Giornalista Radio Rai: “Sembrerebbe anche dai dati che sono stati registrati in Cina e in tutti i paesi colpiti dal virus, che questo virus colpisca meno i più piccoli, i più giovani. C’è qualche spiegazione o è solamente un fatto statistico ancora non emerso?”
Giovanni Maga: “In questa fase è difficile a dirsi, perché non è chiaro di quanto sia stata l’esposizione della popolazione infantile al virus, almeno in Cina. Certamente il dato statistico è chiaro. Ci sono poche infezioni in età pediatrica. Una possibilità sta nelle differenze del sistema immunitario dei bambini rispetto all’adulto, perché una delle cause delle complicazioni di questo virus è un’eccessiva risposta di tipo infiammatorio mediata da un sistema immunitario adulto, che nei bambini è meno soggetta a dare questo tipo di complicazioni quindi, in qualche modo, li rende meno suscettibili e gli fa passare questa infezione in maniera molto blanda. Per diminuire possibilità di contagio è buona norma (ma questo vale sempre anche nei periodi di normale influenza) lavarsi bene (anche con un semplice sapone) sempre le mani prima di portarle alla bocca, agli occhi o al naso. Gli antibiotici non servono a nulla perché gli antibiotici distruggono i batteri. Questo è un virus.”
Il giorno seguente, nella trasmissione del 24 febbraio, è intervenuta Ilaria Capua, pluripremiata virologa italiana, che oggi dirige un dipartimento dell'Emerging Pathogens Institute dell'Università della Florida.
Giornalista Radio Rai: “Vorrei parlare di anticorpi: man mano che il virus colpisce gli italiani, chi viene colpito sviluppa gli anticorpi. Questo potrebbe essere una chiave di lettura interessante: più popolazione viene colpita più anticorpi si sviluppano.”
Ilaria Capua: “Beh..., questa è la storia delle malattie infettive … tranne in pochissimi esempi di virus che sono molto particolari, la stragrande maggioranza dei virus provoca, come risposta dell’organismo che infetta, provoca la produzione di anticorpi che sono delle forme difensive nei confronti del virus. Infatti, quando si sentono le notizie dalla Cina che il numero di casi sembra essere in rallentamento, è probabilmente perché si è raggiunto il picco epidemico. Il picco epidemico si raggiunge quando il virus ha raggiunto la sua capacità massima di infettare. Perché raggiunge la sua capacità massima? Perché comincia a trovare gli anticorpi. Faccio un esempio. Facciamo finta che parliamo di morbillo, così facciamo un po’ d’informazione sanitaria aggiuntiva. Da un bambino affetto da morbillo, se ne possono infettare altri 5, perché R0 (di cui avrete sentito parlare) è 5 (in medicina è “R” è l’indice d’infettività e il numero che segue rappresenta il numero di persone solitamente contagiate da ciascun paziente affetto se queste non hanno quegli anticorpi NDR). Se però questi cinque hanno gli anticorpi, quel bambino con il morbillo non ne infetta neanche uno … Torniamo al coronavirus, se effettivamente il coronavirus provoca solo una sindrome simil-influenzale, almeno a oggi, se effettivamente il coronavirus sta circolando in Italia da un mese e mezzo o (come sembra) anche da un po’ di più, ci dovrebbero già essere anticorpi in circolazione. Quindi possiamo aspettarci una diffusione minore (rispetto alle previsioni iniziali NDR), questo però ancora non lo sappiamo.”
Giornalista Radio Rai: “Sì, appunto, perché in Cina delle persone guarite poi si sono riammalate, questo ha un significato dal punto di vista scientifico, anche.”
Ilaria Capua: “MMMMHHH… Io non capisco perché le cose che succedono normalmente per le altre malattie, con questa malattia dovrebbero essere diverse. Scusate, ma voi avete mai avuto una ricaduta da influenza? … Ci sono alcune malattie che si prendono una volta sola e poi si è immuni per tutta la vita - (come tutte le malattie infettive NDR) – e poi ci sono altre malattie per le quali, non solo non si è immuni per tutta la vita, vedi l’influenza che ogni anno bisogna aggiornare il vaccino, e il coronavirus potrebbe essere una di queste, in cui le ricadute o le reinfezioni in caso di condizioni particolari, altra concentrazione virale, piuttosto che altri fattori di rischio, è possibile che le persone si riammalino. Io però credo che la stragrande maggioranza delle persone che a oggi ha contratto il coronavirus, l’ha contratto in maniera asintomatica o con sintomi non degni di essere oggetto di attenzione medica, ed è quindi possibile che in Italia ci siano molti più guariti di quanto non si creda …”
Giornalista Radio Rai: “Si sta lavorando negli USA alla creazione di un vaccino.”
Ilaria Capua: “Sì ho letto anch’io la notizia ma questo non significa che avremo un vaccino prima di un anno. I vaccini devono superare i Trial clinici per testare che siano effettivamente innocui per l’organismo e, al contempo, efficaci contro la malattia, cioè che siano in grado di far sviluppare anticorpi. Per i dati che abbiamo oggi, credo che questa emergenza sanitaria, perché è indubbiamente un’emergenza sanitaria, non abbia assolutamente i tratti di situazione apocalittica a cui ci si riferisce nel nostro immaginario quando si parla di pandemia. Perché si pensa alla pandemia del 1918, siamo nel 2020.”
A due mesi e mezzo dal rilevamento dei primi casi in Cina e dopo un mese dai primi casi in Italia, due importanti virologi, intervistati dall’emittente di Stato nei suoi canali radiofonici, hanno affermato a chiare lettere e senza mezzi termini che il virus SARS CoV-19 e la malattia che causa, la Covid-19, NON sono letali, contrarre il virus non significa mettere a rischio la propria vita, guarire è la norma e che i numeri non descrivono assolutamente una situazione apocalittica o pandemica, smentendo di fatto ogni allarmismo provocato dai mass media.
Questo è ciò che si era detto circa 15 giorni fa, e qualcuno potrà ora dire che la situazione è notevolmente peggiorata, sia in Italia sia nel resto del mondo. Così almeno è ciò che si evince dal bollettino quotidiano diramato dalle autorità attraverso tutti i mass media mainstream. Ma è davvero così?
Che cosa dicono i numeri ufficiali fino a oggi (16 marzo 2020) registrati?
Il bollettino diramato oggi dal Governo Italiano, dalla Protezione Civile e dall’ISS riferisce di un numero di contagiati, dall’inizio dell’epidemia a fine gennaio, di 31.506 di cui già guariti 2.941 e deceduti 2.503. Analizzati così però, i numeri sono fuorvianti, perché incompleti, perché il numero complessivo dei contagiati è senza dubbio maggiore di quello indicato, così come quello dei guariti.
Ciò è dovuto a un cambio di strategia nel modo di rilevare i contagi e nel conteggiare i guariti.
All’inizio dell’epidemia infatti, e quasi per tutto il mese di febbraio (2020) il Governo italiano aveva dato istruzioni di eseguire i tamponi “a tappeto”, in modo sistematico a chiunque mettesse piede in Italia e a chiunque abitasse, o avesse frequentato, le prime “zone rosse” in Lombardia, dove si erano registrati i primi focolai. Questa strategia ha portato a rilevare un numero casi positivi molto elevato e, verosimilmente, molto vicino a quello reale. Tuttavia, man mano che il numero di casi positivi riscontrati si faceva più grande, l’eco di quella che fino alla prima settimana di Marzo 2020 (circa 35-40 giorni dopo i primi casi in Italia) era stata definita dalle autorità italiane (Governo, Protezione civile e ISS) una “emergenza sanitaria”, ha cominciato a portare un ritorno d’immagine negativa per il nostro Paese, con notevoli danni economici. Molti paesi europei hanno cominciato a chiudere le frontiere con l’Italia, hanno sospeso voli da e per il nostro Paese e hanno perfino iniziato a bloccare il traffico delle merci per i prodotti italiani o hanno bloccato l’esportazione in Italia di prodotti necessari all’emergenza sanitaria (mascherine, prodotti disinfettanti, respiratori, ecc.).
L’effetto del ”racconto distorto” dei media che avevano calcato la mano sulla reale pericolosità del virus, inizialmente circoscritto, con tutte le conseguenze economiche del caso, alla sola Cina si è improvvisamente ritorto sul nostro Paese.
Non è soltanto una mia opinione ma un’evidenza oggettiva. Molti esperti di comunicazione hanno espresso il medesimo parere.
In un articolo apparso sull’agenzia di stampa Agi in data 27 febbraio 2020, sono stati interpellati alcuni addetti ai lavori, come l’esperto di comunicazione di crisi e docente di Strategie di Comunicazione e tecniche pubblicitarie alla Luiss e fondatore della società di consulenza Comin&Partners, Gianluca Comin che ha detto senza dubbi: “L’emergenza è stata sovraccaricata con una comunicazione eccessiva, ripetitiva e con toni preoccupanti; anche il solo fatto di rappresentare la crisi dalla Protezione Civile fa passare il messaggio di una calamità nazionale e tutto questo ha creato ansia e timore nella gente”.
Un punto su cui concorda Federico Unnia, anch’esso consulente in comunicazione di crisi. “Nel momento in cui si è correttamente centralizzata la regia sulla Protezione civile, sarebbe stato più utile far comunicare prevalentemente loro. Credo poi che nell'immaginario collettivo abbia spaventato di più il blocco di 11 paesi di quanto il pericolo reale del coronavirus. Non sono state considerate abbastanza le ripercussioni all’estero di una comunicazione così emergenziale, soprattutto l’impatto che avrebbe avuto sul turismo, sulle imprese e sul commercio. Gestire un evento di questa portata ha delle complessità uniche. Le informazioni sono frammentarie, in veloce e inaspettata evoluzione, condizionate da fattori spesso non controllabili come l’informazione dall’estero”. “Se ci si pensa” ha aggiunto Unnia, “18 pagine di un quotidiano su questo evento, indipendentemente dalla sua gravità, trasferiscono ansia e preoccupazione. L'informazione, stampa, tv, social si è inseguita e ha finito per alimentare un flusso continuo. Il commento ha superato spesso i fatti reali. E questo, pensando al rigore scientifico, non è positivo”.
Nonostante alcuni pallidi tentativi di riportare alla realtà dei fatti la popolazione italiana, facendo intervenire, come abbiamo visto, virologi indipendenti e più obiettivi di quelli di mainstream e politicizzati che abbiamo, nostro malgrado, dovuto ascoltare negli scorsi anni, è stato pressoché impossibile per i mass media, rimangiarsi quanto di allarmistico detto in precedenza. Il danno ormai era fatto.
Sulla stregua di quanto fatto dagli altri Paesi europei e per alleggerire il carico di lavoro di screening del sistema sanitario nazionale, anche il Governo italiano ha deciso di cambiare strategia. Dal 26 febbraio scorso – in linea con una circolare del Ministero della Salute del giorno prima – si è stabilito che i test andassero fatti solo ai soggetti sintomatici (per esempio con febbre e problemi respiratori), mentre prima erano testati anche gli asintomatici. Era infatti impossibile, in un’ottica di allargamento dei contagi, pensare di sottoporre l’intera popolazione italiana (circo 60 milioni di persone) al tampone per il rilevamento del virus.
La conseguenza è che se prima le persone positive ma asintomatiche, erano comunque rilevate e conteggiate, poiché comunque gli era stato fatto il tampone, dall’inizio di marzo in avanti, questa tipologia di persone non hanno fatto più parte dello screening. Non rientrando più tra le persone controllate, è quindi probabile che ci siano molte persone positive asintomatiche. È dunque molto probabile che i positivi siano oggi molto più di quelle ufficialmente indicate dalle autorità.
Inoltre, tra i “guariti” non sono conteggiate le persone asintomatiche rilevate in precedenza e/o quelle che, non manifestando sintomi degni di particolare attenzione sanitaria, hanno fatto il loro decorso semplicemente nelle mura domestiche. Insomma, i guariti di cui si ha quotidiana notizia, sono quasi esclusivamente quelli in precedenza ricoverati negli ospedali e poi guariti. Ciò significa che i guariti sono molti di più di quelli comunicati dalle autorità.
Tutto questo ha un impatto notevole sulla percezione reale della situazione, sulle considerazioni e sulle percentuali di guarigione e mortalità.
Tutto ciò è confermato anche da quanto a ha chiarito il 5 marzo a Il Messaggero l’epidemiologo dell’Università di Pisa, Pier Luigi Lopalco, “Il rapporto tra contagiati e morti cambia in base a quante persone vengono sottoposte al tampone e se sono sintomatiche o senza sintomi”.
In parole semplici, se si sottopongono ai test sia i soggetti sintomatici sia quelli asintomatici, è più probabile che il tasso di letalità risulti più basso rispetto a uno scenario in cui sono testate solo le persone con sintomi. Questo avviene perché nel calcolo si contano anche persone, gli asintomatici, che magari non svilupperanno mai sintomi e quindi non subiranno gravi conseguenze, come la morte. Se infatti, il numero dei positivi è sottostimato per i motivi sopra detti, si determina apparentemente un aumento del tasso di mortalità. Per chiarire, faccio un esempio.
Se ho riscontrato 3 decessi su 100 persone risultate positive, il tasso di mortalità sarà pari al 3%. Se però controllo solo chi manifesta sintomi di una certa entità, certamente avrò un numero di positivi inferiore, poniamo (solo per esempio) pari a 50, poiché non ho riconosciuto come positivi, perché non li ho testati, gli asintomatici e coloro che hanno manifestato sintomi lievi. Rapportando il nuovo dato dei positivi e fermo restando quello dei deceduti, il mio tasso di mortalità risulterà così raddoppiato, passando dal 3% al 6%. Questo è ciò che è avvenuto in Italia, dove nel primo mese il tasso di mortalità riscontrato si attestava attorno allo 0,5% contro il 2,5% della Cina. Oggi il tasso di mortalità in Italia, considerato il cambio metodologia di screening appena spiegato, è addirittura schizzato al 7,9%. È verosimile che il tasso di mortalità sia effettivamente aumentato, ma solo in ragione del diffondersi della malattia e in rapporto all’età della popolazione, ma certamente non nei termini che appaiono dai dati ufficiali. Quello ad oggi (18/3/2020) accertato su base mondiale è pari a 3,99%, ma sul calcolo incide pesantemente il dato Italiano (secondo paese al mondo per numero di positivi) poiché, come detto, il dato dato dei positivi è ampiamente sottostimato.
C’è infatti, un altro dato da tenere in considerazione nell’analisi dei numeri quotidianamente distribuiti dalle Autorità, il fattore demografico, quello cioè che riguarda le fasce di età e le condizioni di salute pregressa dei deceduti. È vero che il tasso di letalità è al momento più basso in Cina rispetto all’Italia, ma una delle possibili spiegazioni è il “peso” del numero nel nostro Paese dei pazienti più anziani.
Secondo i dati Istat e dell’OMS, l’Italia ha un’età media molto più alta rispetto ad esempio alla Cina (44,3 anni contro 37,4) e questo mette ancora più pressione sulle strutture e gli operatori nelle zone colpite dall’epidemia.
In tal senso ci aiuta uno studio pubblicato sul sito dell’ISS, lo scorso 5 marzo (2020), in cui è presente un report dettagliato sui casi positivi italiani riscontrati fino al 4 marzo. Dallo studio emerge che l’età media dei pazienti deceduti e positivi a COVID-2019 è 81 anni, sono in maggioranza uomini e in più di due terzi dei casi hanno tre o più patologie preesistenti. Nello studio si sottolinea come ci siano 20 anni di differenza tra l’età media dei deceduti e quella dei pazienti positivi al virus. La maggioranza sono uomini (73.3%) mentre le donne sole 26,7%.
La maggior parte dei decessi 42.2% si è avuta nella fascia di età tra 80 e 89 anni, mentre 32.4% erano tra 70 e 79, 8.4% tra 60 e 69, 2.8% tra 50 e 59 e 14.1% sopra i 90 anni. Le donne decedute dopo aver contratto infezione da COVID-2019 hanno un’età più alta rispetto agli uomini (età mediana donne 83.4 – età mediana uomini 79.9). Il numero medio di patologie pregresse (cioè le malattie presenti e preesistenti al contagio di coronavirus) osservate tra questi primi 105 deceduti è di 3.4. Complessivamente, il 15.5% dei morti aveva tra 0 o 1 patologie, il 18.3% presentavano 2 patologie e 67.2% presentavano 3 o più patologie. Quindi il 100% dei deceduti fino al 5 marzo scorso aveva condizioni di salute precedentemente compromesse.
Da questo primo studio quindi, sebbene sia chiaro che il virus infetta indistintamente ogni fascia di età, dai neonati agli anziani, è altresì chiaro e inconfutabile che, salvo rarissime eccezioni tutte ancora da studiare, il CoVid-19 fa vittime quasi esclusivamente tra gli anziani ultrasettantacinquenni con patologie pregresse o con codizioni di salute precedentemente compromesse.
Nonostante l’apparente aumento del tasso di mortalità registrato nei dati ufficiali (e per i motivi sopra spiegati) i risultati del primo studio che indica l’incidenza della mortalità nel 99% dei casi, soltanto nella fascia di età over 75 e/o (in casi di decessi nella fascia minore di questa) in pazienti con presenza di patologie pregresse, è stata sempre confermata!
I mass media hanno continuato a sostenere che il virus fosse pericoloso e che dalla Cina non fossero arrivati dati specifici sull’epidemia, sul numero reale di contagiati, di guariti e morti, oltre che delle fasce di età più vulnerabili. Anche in questo caso si tratta di un’informazione approssimativa se non addirittura del tutto infondata!
La Cina ha fornito, a partire dal 31 dicembre 2019, all’OMS i dati dettagliati dell’epidemia.
Paradossalmente, nonostante ci troviamo in un’epoca in cui continuamente Governi, big dell’informatica e molti altri soggetti violano la nostra privacy, raccolgono, rubano e vendono qualunque dato che ci riguardi, dai più elementari a quelli più personali, per ragioni di tutela della privacy, l’Oms e l’Iss (e le altre istituzioni sanitarie internazionali) hanno deciso di non riportare i dati relativi a età, sesso e condizioni patologiche preesistenti dei contagiati dal coronavirus che poi sono morti (non è sempre chiaro con che rapporto di causa/effetto) comunicati dalla Cina.
La giustificazione dei media di fronte all’accusa di aver diffuso per mesi dei dati incompleti dell’epidemia in Cina, dicendo che i dati non erano stati forniti da Pechino è errata.
Tuttavia esistono due autorevoli studi, entrambi del mese di febbraio 2020, uno della missione dell’Oms in Cina e l’altro del Centro cinese di controllo e prevenzione delle malattie (Ccdc), che hanno analizzato decine di migliaia di casi verificatisi in Cina e ne hanno estrapolato alcune rilevanti informazioni. Solo l’agenzia AGI (ma in data 5 marzo) ha tirato fuori questi studi.
Al netto delle discrepanze tra i due report, quello che emerge è che il tasso di letalità è superiore tra gli uomini rispetto alle donne, che il rischio aumenta – e di molto – con l’aumentare dell’età della persona contagiata e che i pazienti che non hanno altre malattie, a parte il coronavirus, hanno tassi di letalità più bassi della media. Tra chi ha altre malattie, oltre al coronavirus, i tassi di letalità sono sempre più alti della media e in particolare risultano più esposti di tutti i soggetti che soffrono di malattie cardiovascolari. Sostanzialmente gli studi sui casi cinesi confermano i dati rilevati dall’ISS nel nostro Paese.
Per quanto riguarda le morti, i dati comunicati finora dalle autorità, non ci dicono se sono decessi di persone morte “per” il virus o “con” il virus. Secondo alcuni virologi, questa sarebbe una differenza di poco conto (e da non risaltare sul piano comunicativo), ma sulla questione si registrano opinioni contrastanti anche tra gli esperti.
Secondo Walter Ricciardi, membro del comitato esecutivo dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e consigliere del ministro della Salute per il coordinamento con le istituzioni sanitarie internazionali, l’Italia sta registrando i morti con coronavirus “senza quella maniacale attenzione alla definizione dei casi di morte che hanno per esempio i francesi e i tedeschi, i quali prima di attribuire una morte al coronavirus eseguono una serie di accertamenti e di valutazioni che addirittura in certi casi ha portato a depennare dei morti dall’elenco. Di fatto capita che accertino che alcune persone siano morte per altre cause pur essendo infette da coronavirus”.
Questa pratica, sempre secondo l’ex presidente dell’Iss, spiegherebbe un’altra questione: il fatto che, a oggi, il tasso di letalità del Sars-CoV-2 in Italia sembra essere più elevato che altrove.
In data 1 marzo 2020, la virologa affermato Maria Rita Gismondo, direttrice del laboratorio dell'ospedale Sacco di Milano, ospite di 'SkyTg24' ha affermato: "A livello mondiale conosciamo i casi della Cina che ci hanno molto spaventato. A oggi in Italia abbiamo 1049 casi, in Lombardia sono 615 i positivi, 256 ricoverati e 80 in terapia intensiva. Ma se facciamo un paragone con l'influenza vediamo che ci sono già stati 5 milioni di casi, il 9% popolazione, con 300 decessi collegati all'influenza. Non voglio sminuire il coronavirus ma la sua problematica rimane appena superiore all'influenza stagionale. È l'organizzazione sanitaria, ovvero in poco tempo tanti casi, a preoccupare. Non è una pandemia ma occorre rispondere in un periodo molto breve a tanti ricoveri in terapia intensiva”.
Secondo anche questo virologo quindi, il nuovo coronavirus non è particolarmente pericoloso se non in misura appena superiore all’influenza stagionale. Tuttavia le opinioni vanno prese come tali e, anche in questo caso, facciamo parlare i dati ufficiali sull’influenza stagionale per poi poter fare un paragone con quelli del coronavirus.
Iniziamo con i dati riguardanti gli infettati.
Ogni anno si ammalano d’influenza diversi milioni d’italiani, e per alcune centinaia la malattia si rivela letale. Ogni stagione invernale, InfluNet (il sistema nazionale di sorveglianza epidemiologica e virologica dell’influenza, coordinato dal Ministero della Salute con la collaborazione dell’Iss) pubblica settimanalmente sul suo sito i risultati del monitoraggio a partire dalla settimana n. 42 di un anno (metà ottobre) alla settimana n. 17 dell’anno seguente (fine aprile). Questo periodo di cinque mesi è l’unico considerato nella rilevazione statistica dei casi d’influenza stagionale. È chiaro dunque, che i numeri seguenti, benché considerati come “annuali” in realtà sono concentrati in soli 5 mesi.
In base ai dati più aggiornati, dal 14 ottobre 2019 al 9 febbraio 2020 – dunque a quasi i due terzi del periodo monitorato – il numero di casi simil-influenzali è stato di 5.018.000. Al termine della precedente stagione influenzale (2018-2019), i casi erano stati 8.104.000, tra il 2017 e il 2018 erano 8.677.000 e tra il 2016 e il 2017 sono stati 5.441.000.
Questi numeri ci danno un’idea della portata del fenomeno, ma non riguardano tutti i reali casi di contagio. Il Ministero della Salute nelle sue raccomandazioni. Scrive sul portale: "Si sottolinea che l’incidenza dell'influenza è spesso sottostimata poiché la malattia può essere confusa con altre malattie virali e molte persone con sindrome simil-influenzale non cercano assistenza medica".
Secondo i dati dell’Iss, è possibile affermare senza timore di smentite, che ogni anno le sindromi simil-influenzali coinvolgono circa il 9% dell’intera popolazione italiana, "con un minimo del 4 per cento (ossia circa 2,4 milioni di persone l’anno), osservato nella stagione 2005-06, e un massimo del 15% (ossia quasi 9 milioni di persone) registrato nella stagione 2017-18". Le fasce più colpite della popolazione sono quelle in età pediatrica (0-4 anni e 5-14 anni) e con 65 anni e oltre. Secondo il Ministero della Salute, che riporta i dati del Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc), ogni anno in Europa si stimano circa 50 milioni di casi sintomatici d’influenza, e fino a un miliardo nel mondo, secondo dati dell’Oms.
Quanti sono i morti d’influenza stagionale negli ultimi 11 anni in Italia?
Secondo il database di Istat sulle cause iniziali di morte (ossia su quelle malattie che hanno condotto al decesso), nel 2017 i morti diretti per influenza sono stati 663, il doppio dei 316 registrati nell’anno precedente. Nel 2015 i decessi sono stati 675 e 272 nel 2014. Tra il 2007 e il 2013 i morti per influenza sono stati rispettivamente: 411, 456, 615, 267, 510, 458 e 417. Tra il 2007 e il 2017 l’influenza è stata la causa iniziale di morte per un totale di 5.060 decessi, una media di 460 l’anno. È utile ribadire che si tratta quindi di morti dirette.
“A seconda delle stime dei diversi studi, vanno poi aggiunti tra le 4 mila e le 10 mila morti indirette (cioè come tutte quelle a oggi attribuite al coronavirus, o meglio i “decessi con coronavirus” – NDR), dovute a complicanze polmonari o cardiovascolari, legate all’influenza”, ha spiegato a Pagella Politica Fabrizio Pregliasco, virologo e ricercatore all’Università degli Studi di Milano.
Come sottolinea anche l’Iss, qui però stiamo parlando di stime su più anni, a differenza dei dati Istat sulle cause di morte. L’ISS in merito spiega che “Diversi studi pubblicati utilizzano differenti metodi statistici per la stima della mortalità per influenza e per le sue complicanze. È grazie a queste metodologie che si arriva ad attribuire mediamente 8 mila decessi per influenza e le sue complicanze ogni anno in Italia”.
Ricapitolando: per quanto riguarda la comune influenza stagionale, e facendo riferimento esclusivamente ai soli dati ufficiali, se contiamo i morti “diretti” per influenza, tra il 2007 e il 2017 sono stati in totale poco più di 5.000; se si consideriamo però anche i decessi “indiretti” il numero sale di molto e potrebbe potenzialmente a superare le 100.000.000 morti in totale, con una media di quasi 10.000 morti l’anno (o per meglio dire nei 5 mesi dell’influenza, con una media di 2.000 morti al mese), solo in Italia!
In generale, afferma l’Iss, si stima che il tasso di letalità dell’influenza stagionale (ossia il rapporto tra morti totali e contagiati) sia inferiore all’uno per mille (0,1 per cento).
Questi numeri, già ampiamente disponibili a fine febbraio 2020, ottenuti solo ed esclusivamente, è bene ricordarlo, dai dati ufficiali ci dicono che la contagiosità del Covid-19 è di gran lunga inferiore a quella dell’influenza stagionale. A oggi (18/3/2020) il totale dei casi in tutto il mondo sono “appena” 201.634 e circa 8.007 decessi. Se consideriamo il tempo trascorso dal primo caso (metà dicembre 2019) sono passati 3 mesi. Se i morti sono stati in tutto il mondo 8.007, sono morte 2.669 persone, una mortalità di poco superiore a quella che l’influenza stagionale fa ogni anno solo in Italia!
In sintesi, stando ai numeri ufficiali, la diffusione del coronavirus nel mondo, è di gran lunga inferiore alla diffusione dell’influenza stagionale che si registra annualmente solo in Italia. Il tasso di mortalità del coronavirus SARS Cov2 (e della malattia conseguente Covid-19) è appena superiore a quello dell’influenza stagionale!!!! Non stiamo certamente parlando di un’epidemia di Ebola, Malaria o Dengue.
È solo ora, una volta che abbiamo esposto tutti i dati ufficiali e valutato realmente e oggettivamente la situazione, che possiamo effettuare alcune considerazioni.
Perché è in questo contesto e con questi dati disponibili (che erano addirittura migliori 2 settimane fa) che il Governo italiano (in data 5 marzo) ha preso le prime decisioni valide su tutto il territorio nazionale, disponendo la chiusura delle scuole e delle università, il divieto di assemblea e manifestazione, il rinvio del referendum del taglio dei parlamentari.
A questo punto, una qualunque persona di buon senso dovrebbe porsi delle legittime domande:
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Stando ai dati sopra esposti (tutti presi da fonti ufficiali), perché tutto quest’allarmismo?
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I provvedimenti liberticidi adottati dal Governo italiano e che stanno lentamente prendendo piede anche tutti gli altri Paesi del mondo, sono legittimati da cosa?
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Come e perché siamo arrivati a questo punto?
Comincio con il proporre una riflessione che riguarda l’operato dei mass media, in particolar modo quelli mainstream.
Ho già fatto presente quanto l’informazione sul nuovo coronavirus sia stata superficiale e deficitaria oltre che enfatizzata, ma perché? La motivazione è presto spiegata e non è necessario pensare a fantasiose teorie del complotto, poiché la stessa scadente qualità d’informazione, o per meglio dire di disinformazione, è riscontrabile continuamente quasi in ogni notizia appare nelle testate giornalistiche tradizionali. L’opinione pubblica sovrastima le reali capacità e la reale attendibilità dei mass media.
Nel mondo di oggi ogni persona, e i giornalisti non fanno certo eccezione, antepone i propri interessi personali a qualunque altro aspetto. Inoltre oggi, nella società dell’immagine, i risultati del lavoro di ogni persona sono spesso valutati più per l’aspetto quantitativo che qualitativo, questo è un dato di fatto.
I giornalisti dunque, cercano di eseguire il loro mandato innanzitutto rispettando i vincoli a loro assegnati, come ad esempio redigere un articolo di un certo numero di battute o un servizio televisivo di un certo numero di minuti. Ciò va fatto quotidianamente, spesso di fretta e trattando argomenti su cui non si hanno adeguate competenze.
Va da sé che come viene riempito lo spazio assegnato dell’articolo e del servizio, passa in secondo piano. Sovente possiamo leggere e ascoltare servizi con pochissime informazioni o assolutamente privi delle stesse, ma pieni zeppi d’ipotesi, commenti, interpretazioni, illazioni e previsioni del tutto opinabili.
L’obiettivo principale, oltre che riempire lo spazio assegnato, è quello di fare audience, ascolti, vendere copie, avere il numero massimo di visualizzazioni, click, like e cose del genere. Questo perché dalle copie vendute e dagli ascolti dipende la raccolta pubblicitaria di cui gli editori di tutte le testate vivono.
Se gli ascolti o non sono adeguati, chiunque dal direttore al semplice giornalista, rischia il posto. È dunque necessario massimizzare l’attenzione del pubblico. Per fare questo diventa inevitabile e quasi naturale enfatizzare o spettacolarizzare le notizie, spesso a discapito della corretta informazione. C’è poi da aggiungere infine, il fattore ideologico e politico proprio del giornalista o, più in generale, della testata per cui lavora. Non possiamo far finta ipocritamente, che ci siano categorie esenti da queste logiche.
C’è poi un altro aspetto su cui vale la pena riflettere. Dobbiamo smettere di pensare che i giornalisti abbiano una cultura superiore alla media. Nella maggioranza dei casi non è così.
La maggior parte dei giornalisti poi, ha compiuto studi di carattere umanistico e viene inoltre continuamente spostata di competenza. Una volta confezionano servizi e articoli di cronaca, poi di scienza, poi di finanza, poi di politica, poi di sport. Sono pochi i giornalisti veramente specializzati in una specifica materia e incaricati poi si raccontare ciò che accade in quell’ambito.
Dobbiamo riflettere sul fatto che, come diceva il compianto astronomo Carl Segan, ” abbiamo costruito un mondo basato su scienza e tecnologia, in cui nessuno capisce niente di scienza e tecnologia”. È grottesco e paradossale pensare che incarichiamo persone che hanno fatto studi prevalentemente umanistici, di raccontarci la realtà di un mondo prevalentemente scientifico. Come possiamo pensare che possano riuscire a raccontarci tutto correttamente, seppure volessero e facessero prevalere le loro coscienze a discapito degli altri interessi sopra citati, e fossero pienamente consapevoli e responsabili del ruolo sociale e delle conseguenze di una pessima informazione?
Anche la comunicazione fatta sul coronavirus ha risentito, come ho già accennato in precedenza, di questi fattori, portando, forse involontariamente o inconsapevolmente, a un’isteria e psicosi di massa presso l’opinione pubblica, sull’onda emotiva della quale la politica, sempre in cerca di consenso, si è mossa con provvedimenti che, dati ufficiali alla mano riguardo diffusione e letalità, appaiono a oggi, ancor più di quindici giorni fa (5 marzo 2020) quando sono stati adottati, alquanto fuori luogo.
È a causa della disinformazione dei mass media mainstream (che ovviamente rifuggono da ogni responsabilità a riguardo) che il Governo ha preso provvedimenti che hanno causato danni incalcolabili all’economia di un intero Paese. La principale responsabilità del crollo dell’economia va ascritta senza dubbio a chi ha fatto cattiva informazione, ancor prima che alla politica!
Veniamo dunque ad analizzare i provvedimenti del Governo adottati in questi giorni, con particolari riferimento a quelli che hanno di fatto sospeso molti diritti costituzionali. Con il decreto del 5 marzo infatti, il Governo ha in un sol colpo, in modo pretestuoso poiché oggettivamente senza motivi reali giacché i numeri ufficiali (emanati dalle stesse autorità) sul coronavirus sono decisamente decine, se non centinaia di volte, inferiori a quelli dell’influenza stagionale e dunque non sussistono reali pericoli diretti per la salute pubblica:
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Sospeso la liberta di spostamento sul territorio e più in generale il diritto di libertà personale (art. 12 e 16 della Costituzione Italiana.)
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Sospeso il diritto di pubblica assemblea e manifestazione e sciopero (art. 17 e 40).
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Sospeso il diritto al lavoro impedendo alcune attività commerciali (art. 4 della Costituzione Italiana).
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Sospeso o ostacolato il diritto di accesso all’istruzione chiudendo scuole e università (art.34 della costituzione italiana).
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Sospeso il diritto di difendersi in giudizio (art.24 della costituzione) con la sospensione di tutti i processi.
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Sospeso il diritto di voto con il rinvio del referendum e delle elezioni amministrative (art. 48 e 75 della Costituzione italiana).
È bene ricordare che nel momento in cui il Governo ha adottato questi provvedimenti che hanno di fatto sospeso la democrazia e la Costituzione italiana, per la prima dalla costituzione della Repubblica nel 1946, tutte le autorità politiche e sanitarie consideravano il nuovo coronavirus (e cito testualmente) una “emergenza sanitaria”, dunque una minaccia assai meno pericolosa di un’epidemia o (come poi annunciato dall’OMS solo una settimana più tardi, l’11 marzo 2020) di una pandemia!
A tal proposito, e prima di tornare al coronavirus, vorrei porre l’attenzione su un aspetto che coinvolge sia la politica sia la comunicazione, soprattutto per un fatto di coerenza e logicità tra ciò che si dice e ciò che si fa.
Nel 2017, l’allora Governo Gentiloni, per mezzo del suo Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, emanava il famigerato decreto, poi convertito in legge, sull’obbligo vaccinale, introducendo l’obbligatorietà per ben 11 vaccinazioni.
La motivazione per la quale veniva introdotto quest’obbligo, palesemente incostituzionale e lesivo dei diritti d’inviolabilità del corpo previsti non solo dai diritti fondamentali dell’uomo a cui tutti i Paesi democratici dicono di ispirarsi, ma anche dell’art. 32 della costituzione che prevede una deroga soltanto per un tempo limitato e per reali minacce alla salute pubblica.
L’allora Ministro della Salute con l’appoggio non disinteressato di alcuni virologi, fino ad allora sconosciuti, e di tutti i mass media mainstream, aveva adottato una campagna di comunicazione con metodologie molto affini a quelle di una vera e propria propaganda.
Le sue interviste e dichiarazioni venivano continuamente e giornalmente riportate dai mass media compiacenti (per i motivi già esposti), mentre raccontava di fantomatiche epidemie di morbillo e di altre numerose malattie, in corso in Italia e in Europa.
L’intento era chiaramente quello di spaventare la popolazione e far accettare il provvedimento. Come ormai tutti sapranno, il ministro è stato già ampiamente “sbugiardato” su queste presunte epidemie, che non solo non erano in atto all’epoca, ma non si sono avute neanche nei mesi successivi, così come non se ne ricordano almeno negli ultimi cinquant'anni.
Ad ogni modo, ciò che mi preme sottolineare, è che nonostante autorità politiche, sanitarie e tutti i mass media mainstram parlassero senza mezzi termini di “epidemia” (quindi una situazione sanitaria in teoria di gran lunga più preoccupante di “un’emergenza sanitaria”, com’era stata definita quella relativa al coronavirus al momento dell’emanazione dei decreti del 5 marzo 2020 e seguenti) nessun provvedimento di portata simile a quelli a cui stiamo assistendo questi giorni era stato preso.
Qualunque persona ancora in grado di formulare un proprio libero pensiero, dovrebbe chiedersi perché. Erano inventate le epidemie denunciate dall’allora Ministro della Salute Beatrice Lorenzin? Il governo di allora ha messo a repentaglio la salute pubblica non prendendo provvedimenti adeguati? Oppure le epidemie erano uno stratagemma mediatico per seminare il terrore e far accettare un provvedimento coercitivo e palesemente incostituzionale, che a tutto mirava tranne che tutelare la salute pubblica? Se come accertato già all’epoca, non esisteva alcuna epidemia, perché la magistratura non ha provveduto ad aprire un fascicolo a carico dell’allora Ministro della Salute e di tutti i mezzi d’informazione per il reato di procurato allarme? L’attuale Governo ha esagerato con questi provvedimenti poiché la situazione di “emergenza sanitaria” è inferiore a quella di una “epidemia” o pandemia?
È chiaro che l’intento principale della legge Lorenzin non era, a mio modesto parere, quello di perorare la causa delle lobby farmaceutiche, né tantomeno quello di tutelare la salute pubblica, ma quello di andare a costituire un pericolosissimo precedente, in deroga al principio dell’inviolabilità del corpo, introducendo la possibilità che uno stato possa stabilire, senza una reale motivazione, cosa fare del corpo dei cittadini!
Un altro aspetto su cui vorrei porre l’attenzione, riguarda alcune affermazioni fatte oggi dai virologi in merito alle malattie infettive e alle risposte immunitarie, rapportandole alle affermazioni fatte all’epoca della Legge Lorenzin dalle autorità scientifiche e appoggiate da tutti i mass media.
All’epoca è stata fatta una vera e propria campagna di terrore sui rischi per i bambini di contrarre il morbillo (ad esempio). Si rimarcavano continuamente i rischi di mortalità attribuendo, così come oggi è stato fatto anche per i morti con risultati positivi al Covid-19, al morbillo decessi di cui il morbillo era solo concausa e non causa principale. Si sosteneva dunque la necessità di vaccinare i bimbi per evitare che contraessero il virus in età pediatrica.
Nell’esporre i rischi del nuovo coronavirus, abbiamo visto che virologi indipendenti (che all’epoca non erano stati mai interpellati in merito al dibattito vaccini sì, vaccini no) ci hanno chiaramente detto che contrarre un virus da bambini è meglio, poiché statisticamente comporta meno rischi, che farlo da adulti.
Questo sia perché la risposta infiammatoria in età pediatrica è solitamente inferiore a quella del sistema immunitario di un adulto (sono meno probabili complicazioni e decessi diretti), sia perché con l’avanzare dell’età è più probabile contrarre problematiche di altro tipo o vedere il proprio sistema immunitario più deficitario o addirittura compromesso, sul quale il virus del morbillo (ad esempio) potrebbe avrebbe vita più facile, rendendosi più pericoloso.
Ricordiamo che il vaccino dl morbillo (sempre per proseguire l’esempio) ha un’efficacia solo al 97% e non del 100%, ed ha una copertura stimata di circa 5 anni (in cui spesso i primi mesi, così come gli ultimi, non risultano totalmente efficace). Non contrarre il virus da piccoli significa esporsi a un rischio maggiore da adulti a meno di non ricorrere periodicamente e per il resto della vita al vaccino, nella speranza che sia efficace.
Senza entrare nel merito dell’utilità o meno di fare un vaccino o della “pulizia” o della dannosità degli stessi (ritengo che essendo un farmaco, ognuno debba poter liberamente decidere della propria salute, senza coercizione alcuna), le persone dovrebbero oggi chiedersi: perché autorità politiche, virologi compiacenti e mass media, affermavano il contrario di ciò che oggi ci dicono i virologi parlando del coronavirus? Appare abbastanza evidente che, anche in questo caso, non c’è coerenza ma c’è certamente del dolo nella comunicazione di autorità e mass media.
Torniamo ora ai provvedimenti presi in questi giorni dal Governo.
Abbiamo appurato che i dati ufficiali non giustificano in alcun modo la portata di questi provvedimenti; provvedimenti liberticidi che si aggiungono tra l’altro, a quelli presi negli anni precedenti da Governi appoggiati da partiti che sostengono anche questo governo. Il riferimento è alle leggi che hanno, di fatto, introdotto (in violazione degli articoli costituzionali 21, e 15 oltre agli altri già citati) il reato di opinione (legge sul negazionismo), abolito la segretezza della corrispondenza (legge sui Trojan di Stato e accesso ai conti correnti da parte della guardia di Finanza) e come detto l’inviolabilità del corpo (legge Lorenzin). Tutti hanno un filo rosso (è proprio il caso di dirlo) che li unisce, sono stati varati da Governi appoggiati dalla stessa parte politica (progressista ed europeista) che oggi appoggia il Governo che ha de facto sospeso la Costituzione Italiana.
Se, com’è chiaro, non ci sono reali motivi in tema di salute pubblica per adottare provvedimenti così totalitaristi, perché il Governo li ha adottati?
È stato lo stesso Governo Italiano, per mezzo del suo Presidente del Consiglio, a comunicarlo in sede di presentazione de decreto legge del 5 marzo 2020. Conte ha correttamente sottolineato come la maggior parte dei contagiati riporti sintomi lievi o guarisca, ma ha anche spiegato che i motivi di preoccupazione sono dettati dal fatto che “una certa percentuale di persone contagiate necessita di un’assistenza continuata in terapia intensiva”. Il Governo ha annunciato di voler potenziare il numero di posti letto in terapia intensiva in tutta Italia. C’è il rischio concreto e reale (questo sì) che a uccidere le persone non sia il Covid-19, ma la mancanza di cure adeguate.
La motivazione reale quindi, non riguarda la pericolosità del virus in sé, ma è quella di evitare che il sistema sanitario giunga al collasso, e quindi nell’incapacità di prestare cure adeguate (come da obblighi costituzionali) ai cittadini. Ma com’è possibile che il sistema sanitario nazionale sia in tale grave situazione?
Quanti sono i posti letto negli ospedali italiani, in particolare per chi necessita di cure urgenti ed è in gravi condizioni di salute? Come siamo messi rispetto al resto d’Europa? Prima di vedere che cosa dicono i numeri, analizziamo brevemente una questione collegata, di cui si è molto parlato negli ultimi giorni: i tagli alla sanità.
Nel 2018 l’Italia ha destinato risorse pubbliche alla sanità per un valore pari al 6,5 per cento del Pil, una percentuale vicina alla media Ocse (6,6 per cento) ma più bassa di quella di altri grandi Paesi europei come Germania (9,5 per cento), Francia (9,3 per cento) e Regno Unito (7,5 per cento). Questo dato oltretutto è in calo rispetto al 2010, quando si era attestato intorno al 7 per cento.
Questo significa che sono state tagliate risorse al servizio sanitario nazionale (Ssn), oppure no?
Se si guarda alle cifre in valore assoluto, si vede che tra il 2001 e il 2019 (fatta eccezione per il 2012 e il 2015) il finanziamento del Ssn a carico dello Stato è sempre cresciuto, passando da 71,3 miliardi di euro a 114,5 miliardi di euro (con una crescita media inferiore a quella dell’inflazione). Da questo punto di vista quindi non si può parlare di tagli. Tuttavia è vero però che negli ultimi 10 anni gli aumenti alla sanità pubblica sono stati ogni anno minori rispetto a quelli programmati negli anni precedenti dalle manovre dei vari governi.
A settembre 2019 il Ministero della Salute ha pubblicato l’“Annuario statistico del servizio sanitario nazionale”, che contiene i dati più aggiornati sull’assetto organizzativo e sulle attività della sanità in Italia. Nel 2017 – quando le strutture di ricovero pubbliche erano 518 e quelle private accreditate 482 – in Italia c’erano 151.646 posti letto per degenza ordinaria in ospedali pubblici (2,5 ogni 1.000 abitanti) e 40.458 in quelli privati (0,7 ogni 1.000 abitanti), per un totale di oltre 192 mila posti letto (3,2 ogni 1.000 abitanti).
In base ai dati Eurostat e Ocse, tra il 2000 e il 2017 (ultimo anno disponibile) nel nostro Paese il numero dei posti letto pro capite negli ospedali è calato di circa il 30 per cento, arrivando appunto a 3,2 ogni 1.000 abitanti, mentre la media dell’Unione europea è vicina a 5 ogni 1.000 abitanti. L’Italia quindi è al sest’ultimo posto nell’Ue. Al primo posto c’erano Germania (8/1.000), Bulgaria (7,5/1.000) e Austria (7,4/1.000). Agli ultimi Svezia (2,2/1.000), Regno Unito (2,5/1.000) e Danimarca (2,6/1.000).
Come ormai è ampiamente dimostrato sono proprio ventilatori, macchine per la respirazione artificiale e sistemi di isolamento biologico la linea di difesa più efficace contro il virus. In media, stando ai dati della Protezione civile, un italiano ogni dieci italiani infettati dal virus SARS CoV-19, finisce poi con lo sviluppare infezioni gravi dell'apparato respiratorio tale da metterne a rischio la sopravvivenza. Per questo è necessario ricorrere a questo particolare tipo di terapia, a cui, occorre sottoporsi per periodi anche molto lunghi di tempo. I tempi di ricovero dei pazienti con coronavirus nei reparti di terapia intensiva sono molto più lunghi della media: 30 giorni circa (ma è un dato parziale), contro 14 per altre patologie.
Per quanto riguarda i numeri relativi ai posti in terapia intensiva, in valori assoluti, oggi ci sono in tutta Italia, secondo il Prontuario statistico Nazionale, 5.090 posti tra strutture pubbliche e private, con un rapporto di 12 a 1 a favore del Servizio pubblico. Ogni anno i 5.090 posti letto di rianimazione sono occupati con un tasso del 48,4 per cento. Questo significa che, sperando che tutti i posti siano sempre in perfetta efficienza e immediatamente utilizzabili, oltre al fabbisogno ordinario si possono avere circa 2.500 posti letto per la terapia dei pazienti affetti da coronavirus, ai quali si aggiungerebbero i nuovi posti che sono in via di realizzazione in questi giorni ad opera di Governo e Regioni, che si stanno impegnando per aumentarli del 50%. Quindi l’obiettivo dichiarato è arrivare a circa 4.000 posti complessivi in tutti Italia, dedicati ai malati di Covid 19.
Se oggi quindi i posti in terapia intensiva sono 5.090 e sappiamo che dal 2000 ne sono stati persi circa il 30%, facendo un rapido calcolo significa che vent’anni fa avevamo complessivamente 7.270 posti in rianimazione. Se anche fossero stati occupati per un numero complessivo di 2.463 unità (pari a 48,4% dei 5.090 posti presenti oggi), se non ci fossero stati tagli alla sanità, oggi avremmo disponibili per la rianimazione dei malati di Covid-19, complessivamente 4.806 posti letto, circa 800 in più di quelli che il Governo ha ad oggi stimato possano essere sufficienti per far fronte all’emergenza.
Negli ultimi 20 anni, a causa dei vincoli di bilancio imposti dall’Unione Europea e sotto il Governo sostenuto sempre da maggioranze filo europeiste, le stesse che hanno varato tutti i provvedimenti antidemocratici finora descritti, l’Italia è stata costretta a contenere le spese, anche in ambito sanitario, non riuscendo neanche a mantenere i livelli presenti al momento dell’ingresso nell’Unione a fronte, tra l’altro, anche di una crescita demografica di circa 1 milione e mezzo di unità. È questo il reale motivo che ha spinto il governo a varare queste misure, ma ammetterlo palesemente significherebbe rinnegare vent’anni di politica filo europeista.
Come ne uscirebbero, agli occhi dell’opinione pubblica, i partiti di maggioranza?
È chiaro che il Governo qualcosa doveva fare poiché la tutela della salute pubblica, anche se circoscritta da una specifica fascia della popolazione (gli anziani e i malati), è uno dei suoi doveri, così come quello di avere cure adeguate è un diritto del cittadino, sancito anche dalla costituzione all’art.32.
Le disposizioni coercitive e totalitariste adottate però, sarebbero dovute essere evitate, limitandosi a fare delle raccomandazioni alla popolazione e facendo appello al senso civico, attenzione al sociale e rispetto per i più deboli. Ma nel mondo e nella società che è stato costruito negli ultimi 25-30 anni, non esiste più nulla di tutto ciò. La società moderna è imperniata sull’individualismo e sull’egocentrismo (basta vedere i programmi TV o osservare che uso è fatto solitamente dei social network), tutto frutto di quel relativismo proprio dell’ideologia progressista che l’ha generata.
Questa ideologia ha formato una società d’individui apparentemente tutti uguali, sovente incapaci di formulare propri autonomi pensieri, che hanno continua necessità di sentirsi parte di un gruppo ma che, al contempo, in quel gruppo vuole distinguersi e farsi ammirare per ciò che fa o che ha. Una società d’individui in cui il pensiero unico è la regola, l’ipocrisia, l’incoerenza e il qualunquismo sono il loro quotidiano.
Persone che fanno finta di avere uno spirito sociale solo quando fa comodo, quando lo fanno tutti. Si affacciano ai balconi sventolando bandiere e facendo rumore non per solidarietà sociale, ma perché è stato scritto sui social e sentono il bisogno di rimanere omologati.
La solidarietà e la coscienza sociale si dimostrano nella normalità e nella quotidianità e non nell’eccezionalità. Sono come quelle persone che non amano il calcio, salvo poi ritrovarsi in strada se la nazionale di calcio arriva in finale ai Mondiali. Non possiamo dire certo che sono appassionati di calcio. L’ideologia che ha creato questa società è la stessa ideologia che poi, per porre rimedio a situazioni di emergenza, prende la facile strada della privazione delle libertà.
La popolazione dal canto suo, priva di qualunque valore sociale, comprende solo la strada dell’imposizione
Personalmente rimango a casa solo per rispetto di chi potrebbe avere necessità di cure ospedaliere e potrebbe non vedersele erogate dallo Stato, e non per un’ingiusta imposizione normativa.
Oggi paghiamo un prezzo altissimo in termini di libertà e democrazia non a causa di un’emergenza sanitaria dettata dalla pericolosità di un virus, ma paghiamo questo tributo all’Europa, la stessa che ci ha voltato per l’ennesima volta le spalle quando ne avevamo bisogno, negandoci aiuti sanitari quando li abbiamo richiesti (ormai oltre 3 settimane fa), chiudendo confini e boicottando il nostro export.
L’Europa che non c’è. La dis-Unione Europea in cui, anche nel caso del coronavirus, si è dimostrata inesistente. L’Europa in cui ogni Paese pensa soltanto ai propri interessi nazionali, in cui ogni paese prende i propri specifici provvedimenti anche in tema di tutela della salute pubblica. Quella dis-Unione Europea che non ha alcun piano di coordinamento o contenimento per fronteggiare emergenze di questo tipo. L’Europa che è da sempre sostanzialmente divisa, in cui i cittadini degli stati membri non si sentono cittadini di un unico stato europeo, ma al contrario rivendicano la propria identità nazionale (tranne in Italia poiché se si parla di certi temi, ci si sente immediatamente dare del fascista) e pensano solamente al proprio tornaconto. L’Europa culturalmente colonizzata e di fatto militarmente “occupata” dagli Stati Uniti, l’unico stato sovrano (di quelli sedicenti democratici) di cui alla popolazione è consentito parlare ed esaltare la propria identità nazionale.
Dopo vent’anni sarebbe opportuno, alla luce di tutto questo, e anche per gli europeisti più convinti, fare un serio bilancio, scevro da condizionamenti preconcetti intrisi di europeismo, per capire che, come ho avuto modo di scrivere più volte anche nei miei libri, l’unione di un popolo (il concetto vale anche quando si parla impropriamente di globalizzazione) non si fa sulla carta, sottoscrivendo patti e accordi politici. Non si fa con il commercio, né con un sistema di comunicazione globale. Non si fa imponendo una moneta comune, togliendo autonomia monetaria ai singoli stati. L’unione di nazioni si può fare esclusivamente con un palese e consapevole atto di volontà dei popoli che di quelle nazioni fanno parte e, nel caso dell’Unione Europea non è stato così. Si è trattato di un’unione imposta ai popoli, e oggi, a distanza di vent’anni, ne prendiamo definitivamente coscienza nel modo più doloroso, perdendo la democrazia, perdendo la libertà.
Per concludere propongo un’ultima riflessione, un’ultima e amara costatazione, che questa volta riguarda la popolazione. È per me triste ma non sorprendente purtroppo, costatare quanto la popolazione sia facilmente e in continuazione manipolata dalle fake news dei mass media e delle autorità. Quasi nessuno si pone più domande, quasi nessuno pretende comportamenti coerenti e trasparenti nel tempo da questi due interlocutori. Si fanno convincere a rinunciare alla propria libertà senza reali motivazioni, spaventati da pericoli circoscritti o totalmente inventati. È sempre con la tecnica della paura che in questi ultimi venti anni hanno accettato limitazioni a quei diritti fondamentali e democratici, che una volta ci insegnavano a chiamare inviolabili e inderogabili. Prima il terrorismo, poi il ritorno del fascismo, poi la lotta alla criminalità, poi contro il morbillo e le malattie infettive comuni, oggi con questa nuova fantomatica minaccia chiamata Covid-19.
Ci sono concrete possibilità che, anche in questo caso, il Covid-19 sia stato soltanto un pretesto per introdurre un pericoloso precedente. Una sorta di test generale in vista di uno stato totalitario. Oggi chi comanda sa definitivamente che, inventando fantomatiche epidemie può far accettare alla popolazione restrizioni inimmaginabili. Mi chiedo cosa succederà con l’arrivo della prossima influenza stagionale che, come abbiamo visto dai dati ufficiali, ogni anno miete più vittime in Italia che il coronavirus in tutto il mondo? Saranno ripresentate le medesime restrizioni? Con l’arrivo dell’estate e la comparsa delle zanzare, ci diranno che il virus può essere trasmesso anche da questi insetti?
A chi si illude che il prossimo 5 aprile tutto ritornerà come prima, ricordo che molti scienziati e molti politici hanno già cominciato a sostenere che il picco di contagi non si avrà prima della metà di aprile 2020. Altri sostengono che la situazione di emergenza arriverà fino a estate inoltrata. Altri ancora che l’emergenza globale durerà addirittura due anni, per poi riproporsi ciclicamente. Siete pronti ad abbandonare definitivamente le vostre libertà?
Speriamo ovviamente che non sia così!
Finisco dicendo a tutte le persone che accettano tutto questo senza batter ciglio, che possono stare tranquille o, come amano dire oggi, #andratuttobene, il Covid-19 non li ucciderà. Non si può uccidere chi è già morto, non fisicamente ma intellettualmente, nello spirito, nella coscienza, nei valori!
Stefano Nasetti
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