Cosa significa iscriversi ad un social network?

Il 2 aprile scorso (2019) Google ha chiuso la versione consumer del suo social G+. Lanciato nel 2011, il social della società di Mountain View non era mai decollato veramente, sebbene avesse raggiunto un numero d’iscritti superiore al miliardo, soprattutto grazie al fatto che Google possiede Android, il sistema operativo presente su oltre l’80% dei device (smartphone, tablet, ecc) venduti al mondo. Su tali device, G+ era preinstallato e l’iscrizione era pressoché quasi automatica (bisognava soltanto dare esplicita conferma) poiché le credenziali di accesso erano le medesime usate per gli altri servizi di Google. Con la creazione di un account Google (necessario per il completo funzionamento di uno smartphone), erano sufficienti pochi click per perfezionare l’iscrizione a G+, senza bisogno di ulteriori registrazioni, così come avviene anche, ad esempio, per tutte le funzionalità dei sistemi operativi Android, per Gmail, Youtube, Hangout, ecc.

Gli utenti attivi di G+ però (utenti con almeno un’azione digitale al mese, login, like, share, view), negli ultimi 5 anni erano calati drasticamente. Alla fine del 2018 erano appena 300 milioni contro gli oltre 2 miliardi e duecento milioni di utenti attivi di Facebook e 1 miliardo e novecentomilioni di utenti attivi di Youtube (anch’esso di proprietà di Google).

Di seguito alcuni numeri utili in termini di utenti attivi al mese nel Mondo (dati dicembre 2018)

FACEBOOK

2.2 Miliardi Utenti Attivi

YOUTUBE

+1.9 Milardi Utenti Attivi

TWITTER

330 Milioni Utenti Attivi

INSTAGRAM

1 Miliardo Utenti Attivi

WEIBO

+376 Milioni Utenti Attivi

RENREN

+194 Milioni Utenti Registrati

VKontakte

+97 Milioni Utenti Attivi

LINKEDIN

200 Milioni Utenti Attivi

GOOGLE PLUS

300 Milioni Utenti Attivi

TUMBLR

420 Milioni Utenti Attivi

QZONE

570 Milioni Utenti Attivi 

FOURSQUARE

50 Milioni Utenti Attivi

PINTEREST

250 Milioni Utenti Attivi

REDDIT

114 Milioni Utenti Attivi

SNAPCHAT

301 Milioni Utenti Attivi

Anche a causa dell’adeguamento alle norme di sicurezza relative alla protezione dei dati personali, nonché ai recenti furti di dati che hanno coinvolto anche Google e, il suo social G+ in particolare, la società statunitense, aveva ritenuto poco proficuo investire per adeguare il sistema di sicurezza di G+.

A settembre 2018 aveva quindi avvisato tutti gli utenti che il social avrebbe chiuso i battenti i primi mesi del nuovo anno. In Italia, alla fine del 2018, gli utenti attivi su G+ erano appena 5,7 milioni sui 34 milioni di utenti attivi tra tutti i social.

Di seguito alcuni numeri utili in termini di utenti attivi al mese in Italia (dati dicembre 2018)

FACEBOOK

35.7 Milioni Utenti Attivi

YOUTUBE

24 Milioni Utenti Attivi

TWITTER

8 Milioni Utenti Attivi

TUMBLR

2.5 Milioni Utenti Attivi

SNAPCHAT

2.5 Milioni Utenti Attivi

LINKEDIN

15.3 Milioni Utenti Attivi

INSTAGRAM

22.3 Milioni Utenti Attivi

GOOGLE PLUS

5.7 Milioni Utenti Attivi

PINTEREST

8 Milioni Utenti Attivi

Molti di questi hanno dovuto quindi scegliere se terminare la loro esperienza social, oppure rivolgersi ad altre piattaforme (secondo Wikipedia esistono oltre 200 social in tutto il mondo). Le scelte sono state le più disparate. C’è chi ha preferito andare su social più popolari come Facebook, Istagram o Twitter, e chi invece ha fatto scelte più di nicchia o esotiche, iscrivendosi a social più piccoli, meno noti come MeWe (che ha approfittato della chiusura di G+ per rimpinguare i suoi iscritti, grazie ad un tam tam operato ad arte proprio sulla piattaforma di Google in chiusura) o a social che in Italia hanno poche migliaia di utenti iscritti, poiché fanno capo a società di paesi non occidentali.

Quale sia stata la scelta operata dai “profughi” di G+, la vicenda ha posto in evidenza, qualora ce ne fosse stato bisogno, di quanta poca consapevolezza ci sia, riguardo ciò che significa iscriversi a un social network, tra gli utenti medi che li utilizzano.

In molti, prima della dipartita di G+, hanno condiviso dei post (che in realtà giravano sul social già da diversi mesi) in cui diffidavano Google dall’utilizzare i dati raccolti dalla società e desumibili dall’attività social dell’utente, durante il periodo di permanenza dello stesso. Così facendo hanno ritenuto di riuscire a tutelare se stessi dall’utilizzo dei propri dati personali, o hanno pensato di “vendicarsi” con Google impedendo alla società di Mountain View, di trarre profitto dalla vendita o dall’utilizzo dei propri dati.

Questo maldestro tentativo di proteggere la propria privacy, oltre a non avere alcuna possibilità di sortire alcun effetto (per i motivi che spiegherò tra poco) ha reso evidente, come dicevo, il fatto che le persone non hanno la benché minima idea di cosa abbiano accettato quando si sono iscritti al (o ad un) social network.

È bene sottolineare alcuni concetti fondamentali che sebbene possano sembrare banali, non sono tenuti evidentemente in considerazione dalle persone, se non addirittura sconosciuti ad esse, quando utilizzano la tecnologia, in particolar modo quella “smart” cioè connessa alla rete.

  1. L’utilizzo o il possesso di tecnologia non è obbligatorio (almeno al momento).
  2. L’iscrizione a un social network non è obbligatoria ed è rappresenta un atto esplicitamente volontario.
  3. Le società che possiedono i social network sono società private a scopo di lucro. I social media dunque, non sono realmente gratuiti.
  4. Quando ci s’iscrive a un social network (ma anche quando si scarica un App su uno smartphone, o s’installa un programma sul computer), dal punto di vista legale si sta sottoscrivendo un contratto.
  5. Per sottoscrivere un contratto è necessario essere in possesso (e quindi dichiarare di possedere) personalità giuridica, quindi avere capacità giuridica (che è semplicemente la titolarità in astratto di diritti e doveri), ed essere nel pieno esercizio della propria capacità di agire (intesa dal punto di vista legale).
  6. Secondo le norme italiane, la personalità giuridica è riconosciuta alle aziende di capitale, agli enti pubblici. Anche le persone fisiche alla nascita sono persone giuridiche, ma acquisiscono la capacità di agire (dal punto di vista legale) al compimento del 18° anno di età. Soltanto a partire da questa età, le persone fisiche possono sottoscrivere contratti giuridicamente validi.
  7. Sebbene l’iscrizione ad un social si concretizzi con la sottoscrizione vera e propria di un contratto legale, considerata l’utilità sociale di questi nuovi strumenti tecnologici, in deroga a tale norma, con l’entrata i in vigore il Decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101  che adegua il Codice in materia di protezione dei dati personali (Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196) alle disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679, avvenuto nel settembre del 2018, è stata abbassata l’età minima per l’iscrizione ad un social a 14 anni. Tra i 13 e i 14 anni l’iscrizione è possibile solo con il consenso esplicito dei genitori, mentre è sempre vietata l’iscrizione ai minori di 13 anni. (Questo fatto imporrebbe necessariamente talune valutazioni riguardo l’applicazione della norma rispetto alla realtà dei fatti, ma non è questa la sede e rimando il tutto a un futuro lavoro editoriale o post).
  8. I termini che stabiliscono da un lato il comportamento e le regole che devono essere seguite dagli utenti, dall’altro le modalità di erogazione del servizio da parte del fornitore, sono contenuti e indicati esplicitamente nel contratto. Di fronte alla mancata accettazione di tali norme, essendo l’iscrizione e l’utilizzo del servizio un atto volontario e non obbligatorio, il fornitore si può rifiutare di fornire il servizio e mettere a disposizione dell’utente il social.
  9. Nei termini obbligatoriamente da sottoscrivere sono espressamente elencate le modalità di raccolta e trattamento dei dati personali, oltre che le regole di variazione di alcune clausole contrattuali.
  10. Tali norme riservano sovente, la possibilità di applicare modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali a esclusivo appannaggio del fornitore del servizio (cioè la società proprietaria del social network).  Ciò significa che Google ad esempio, può modificare (inviando una semplice email all’indirizzo indicato dall’utente in fase d’iscrizione, come suo “domicilio legale”) le modalità di raccolta e trattamento dei dati personali. La modifica sarà considerata, dal punto di vista legale, esplicitamente accettata dall’utente, qualora questo, decorsi i termini indicati nella comunicazione stessa, continui a utilizzare il servizio.

Questi concetti fondamentali, dovrebbero essere ben presenti nella mente di tutti, ancor prima di iscriversi a un social o creare un qualunque altro account (come quelli per l’utilizzo di programmi informatici e/o altro).

Se in fase d’iscrizione, o in seguito alle eventuali variazioni unilaterali di contratto, non si legge cosa si accetta e si continua a utilizzare il servizio, dal punto di vista legale è come se si fossero comunque accettate le condizioni. Serve a poco poi, tentare di porre rimedio in modo pittoresco.

Come detto, le condizioni non prevedono la facoltà dell’utente di variare unilateralmente le condizioni contrattuali, anche quelle che si riferiscono al trattamento dei dati personali, inviando una semplice email o pubblicando un post sul proprio profilo (come molti utenti hanno fatto prima della chiusura di G+). Le norme stesse contrattuali dispongono e circoscrivono alcune delle facoltà relative alla gestione dei dati personali, solo ed esclusivamente mediante l’accesso alle impostazioni del profilo.

Tra l’altro Google ha soltanto smesso di erogare uno solo dei suoi servizi a cui l’utente, che ha creato l’account Google, ha avuto la possibilità di accedere. Dunque, poiché l’account Google rimane attivo per l’erogazione di altri servizi (Youtube, Hangout, Gmail, siti .blogspot.it, ecc) la comunicazione inviata non ha, e non può avere (oltre a tutto quanto già detto finora), alcun effetto sulla gestione dei dati da parte di Google. Se la si vuole cambiare (nei limiti del consentito) è necessario accedere all’impostazione del profilo Google. Se non si vuole accettare tali condizioni, l’unica strada è la cancellazione dell’intero account Google, con tutto ciò che esso comporta in termini d’impossibilità di utilizzo a pieno di alcune funzioni degli smartphone o di altri device con sistema operativo Android, e di altri servizi, in primis Gmail, o di accesso ad altri portali ai quali ci si è iscritti mediante Google.

Un ultimo appunto che è necessario fare in questa sede, riguarda l’aspetto economico. La gratuità dei social è solo una mera illusione. Pensare che i social network siano realmente utilizzabili gratuitamente è una evidente ingenuità, per quanto molto diffusa.

Le società che sono proprietarie dei social, per svilupparli, implementarli, farli correttamente funzionare, manutenerli, aggiornali, proteggerli dagli attacchi hacker ancor prima di acquistare spazi dove stipare enormi e costosi server per archiviare la mole di dati prodotta dagli utenti, sostengono spese milionarie. Come si fa a pensare che facciano tutto questo in modo gratuito? Mark Zuckenberg & C. sono filantropi votati a facilitare le comunicazioni globali? I novelli e benemeriti benefattori dell’umanità, come si sono arricchiti? Come si fa a pensare al giorno d’oggi, di poter utilizzare un qualcosa di così costoso in modo veramente gratuito? Come si fa a pensare di poter utilizzare un qualcosa, cambiando unilateralmente un contratto per giunta, prendendo solo ciò che ci piace e rifiutando tutto il resto?

Dovrebbe ormai essere abbastanza chiaro che gli utenti (tutti) dei social (e non solo) pagano l’utilizzo di questa tecnologia, non con il proprio denaro ma con i propri e sempre più preziosi dati personali.

Non sto parlando di account e password di conti bancari, ma di tutto quanto riguarda le proprie vite e che è desumibile, attraverso specifici algoritmi, dalla loro attività internet e soprattutto social.

La profilazione non avviene soltanto in base a ciò che postiamo o scriviamo, ma anche a ciò che semplicemente guardiamo e leggiamo o cerchiamo, ai nostri “mi piace”, alle ricondivisioni, alle persone che sono nelle nostre cerchie, a quelle che sono nelle cerchie dei nostri amici, ecc. Molti non si rendono conto che anche solo visualizzare una foto può essere considerata evidenza o espressione di un’attitudine o di un gusto. Ci sono social che fanno statistiche e profilazione anche tenendo conto delle emoticon (o emoji) che più frequentemente si utilizzano.

Tutto questo origina una mole di dati che consente poi ai vari social, come Facebook ad esempio, di raccogliere i frutti della vendita dei propri spazi pubblicitari, sempre più specifici e mirati all’utente giusto, al potenziale acquirente, per la felicità dell’azienda che ha comprato quello spazio. Ciò fa preferire alle aziende di scegliere di destinare il proprio budget per la campagna pubblicitaria, a una campagna social piuttosto che a una fatta in modo tradizionale con manifesti o spot televisivi, che potrebbero forse arrivare a un numero di persone maggiori, ma certamente a un pubblico più eterogeneo e dunque potenzialmente meno interessato a quel prodotto. Le campagne social sono quindi quelle che sono potenzialmente più efficaci. Ciò vale ovviamente sia per campagne pubblicitarie di prodotti commerciali sia per campagne di tipo politico. (anche qui si dovrebbe aprire un altro approfondimento, che anch’esso rimando in altri contesti e momenti).

Molti si sono chiesti il perché, se i dati raccolti attraverso i social sono così preziosi, Google ha chiuso G+? La risposta è abbastanza semplice. Google è il maggior raccoglitore e detentore di dati personali al mondo. Raccoglie già dati attraverso il suo motore di ricerca, i suoi altri social (come Youtube ad esempio) e altri servizi (Gmail, spazi web con estensione blogspot.it, i servizi cloud, ecc), tutti quelli raccolti tramite il sistema operativo Android o quelli raccolti da altri giganti del web (come Apple ad esempio), che utilizzano in parte dei server di Google per archiviare i propri dati (Apple ha dichiarato che Google non ha accesso ai dati, però …). Considerato lo scarso utilizzo di G+, Google ha probabilmente valutato come antieconomico investire ancora su G+. Spendere denaro per adeguare gli standard di sicurezza senza avere poi una mole di dati personali congrua da poter utilizzare, dati comunque già presenti in abbondanza e comunque ricavabili in altri modi, è apparso alla società di Mountain View del tutto inutile. Non vi preoccupate, Google non ha rinunciato pressoché a nulla, perché Google sa tutto di voi. Questi dunque, sono i probabili e reali motivi della scelta di chiudere G+.

Concludendo, la chiusura di G+ ha dato modo di mettere in evidenza quanti milioni di persone utilizzino la tecnologia senza avere la piena consapevolezza di ciò che questo comporta. Gli aspetti trattati in quest’articolo rappresentano soltanto una piccolissima parte della consapevolezza che ciascuno dovrebbe avere prima di approcciare a uno strumento tecnologico, in special modo se connesso alla rete.

Quasi nulla sul web è rimasto veramente gratuito. I social forse non lo sono mai stati. Ragionare soltanto in termini di denaro è un qualcosa di fuorviante, poiché in ballo c’è qualcosa di molto più importante e di valore: la nostra privacy e la nostra futura libertà. Utilizzare la tecnologia connessa alla rete senza avere piena consapevolezza di ciò, significa colpevolmente esporsi a rischi molto più grandi rispetto alla perdita di denaro, beni materiali o lavoro.

Stefano Nasetti

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