Riscaldamento globale e desertificazione: la soluzione è già nelle tecnologie oggi disponibili.
Negli ultimi 120 anni l’uomo ha impresso il suo marchio sul pianeta in modo molto più evidente di quanto non abbia fatto nei precedenti 250.000 anni, cioè dalla sua comparsa sulla Terra. Le conseguenze dell’applicazione dei concetti già illustrati nei precedenti post e più diffusamente nel mio libro, quali quello dell’obsolescenza programmata e della crescita economica illimitata sono oggi ben evidenti. Ma se dal punto di vista ambientale, anche se frammentariamente e saltuariamente, le conseguenze emergono di tanto in tanto, è dal punto di vista dell’impatto sociale che purtroppo tali conseguenze non sono chiaramente esposte ed affrontate, rimanendo incomprese per la maggior parte della popolazione. Eppure sono sotto gli occhi di tutti. Oggi nell’atmosfera terrestre è presente una quantità di CO2 il 40% superiore a quella presente prima della rivoluzione industriale. Ciò significa che il pianeta non è in grado di assorbire tutta questa Co2. L’uomo ne è il principale e diretto responsabile.
Le concentrazioni di gas serra hanno raggiunto i massimi livelli da 800.000 anni a questa parte e se non verranno drasticamente ridotte, i cambiamenti climatici impatteranno in maniera severa, globale e irreversibile sul nostro pianeta. L'ennesimo grido d'allarme è stato lanciato dal Gruppo di esperti sui cambiamenti climatici dell'Onu (Ipcc) che ha presentato a Copenaghen nel novembre del 2014, un documento che racchiude sette anni di lavoro di migliaia di scienziati di oltre 190 Paesi di tutto il mondo. Secondo quanto concluso dagli scienziati "Le emissioni mondiali di gas serra devono essere ridotte dal 40 al 70% tra il 2010 e il 2050 e sparire definitivamente dal 2100. La temperatura media della superficie della Terra e degli Oceani ha acquistato 0,85°C tra il 1880 e il 2012. Resta poco tempo per riuscire a mantenere l'aumento della temperatura entro i 2 gradi centigradi" rispetto al 1990 (il limite che si è dato la comunità internazionale per evitare conseguenze tragiche per l'uomo è la natura). Sembra un qualcosa di impossibile per la maggior parte dell’opinione pubblica, in quanto si continua a far passare sui mezzi di comunicazione, il concetto che non abbiamo tecnologie sufficienti per attuare un così drastico e repentino cambiamento.
Come tutti sanno, per gli scienziati la causa principale dell'aumento dei gas serra e del riscaldamento del pianeta, è dovuta principalmente alla combustione di carboni fossili e alla deforestazione. Nei precedenti post ho già evidenziato come esistano già oggi le tecnologie per interrompere nell’arco di pochi anni, la nostra dipendenza dalle fonti energetiche tradizionali. Tuttavia interessi economici dettati dalla volontà di mantenere gli attuali equilibri economici e politici mondiali, nonché gli interessi personali di poche persone, impediscono la realizzazione di questo epocale cambiamento.
Ma l’impronta dell’uomo non si limita all’immissione di elevati quantitativi di CO2 nel’atmosfera. Il suo marchio è ormai evidente sotto diversi aspetti. Quest’anno il 14 di agosto è ricorso l'Earth Overshoot Day, il giorno del sovrasfruttamento della Terra. Già in questa data la popolazione mondiale ha già consumato tutte le risorse - frutta e verdura, carne e pesce, acqua e legno - disponibili per il 2015. Dal 15 agosto dunque l’uomo sta depredando il pianeta. Ad effettuare tale calcolo è stato il Global Footprint Network, secondo cui per soddisfare l’attuale domanda umana servirebbero 1,6 Terre (nel 2030 servirebbero invece addirittura 2 Terre). Con il passare degli anni questo rapporto è sempre più sproporzionato, con il risultato che l'Overshoot Day ricorre sempre prima. Lo scorso anno ad esempio, nel 2014, si è celebrato il 19 agosto, mentre solo nel 2000, 15 anni fa, era agli inizi di ottobre. Il 1970 è stato di fatto l'ultimo anno in cui il consumo dell'uomo è stato pari alle risorse terrestri. I costi di questo sforamento ecologico, spiegano gli esperti, stanno diventando sempre più evidenti e si concretizzano nella deforestazione, nella siccità e nella scarsità di acqua dolce, nell'erosione del suolo, nella perdita di biodiversità ed infine nell'aumento dell'anidride carbonica nell'atmosfera.
Gli oceani assorbono circa il 30% della Co2 presente nell’atmosfera e ciò provoca una acidificazione delle acque che diventano sempre più inospitali e inadatte alla vita di molte specie di esseri viventi. La catena alimentare marina rischia dunque di essere minata alla base dalla progressiva acidificazione degli oceani. Entro il 2100, infatti, il pH delle acque potrebbe scendere a tal punto da mettere a rischio il delicato equilibrio del fitoplancton, la complessa comunità di microrganismi che vive sulla superficie degli oceani e che è alla base dell'ecosistema. Le ripercussioni si farebbero sentire anche sulla terraferma travolgendo animali come gli orsi polari, secondo quanto riportato su Nature Climate Change dai ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (Mit) e dell'Università dell'Alabama
Intanto, mentre la temperatura del pianeta sale, le calotte polari si sciolgono e il livello dei mari si innalza. Secondo uno studio condotto dal Climate Central (un’organizzazione di scienziati e giornalisti che si occupa di effettuare studi e rendere noti i risultati relativi ai cambiamenti climatici) e pubblicato nel settembre del 2014, se le emissioni di CO2 continueranno ai ritmi attuali, circa 177 milioni di persone nel mondo che vivono in zone costiere, saranno colpite da devastanti inondazioni provocate dall'innalzamento del livello dal mare. Sebbene alcuni possono pensare che si possa trattare della solita esagerazione o provocazione, proposta da una delle tante organizzazioni ambientaliste, a rimarcare la veridicità della previsione è stata nell’agosto del 2015 nientemeno che la Nasa.
Studiando i dati satellitari degli ultimi 23 anni, gli scienziati della Nasa hanno evidenziato come il riscaldamento degli oceani e lo scioglimento dei ghiacciai stia accelerando, e con loro l'innalzamento del livello del mare, che rappresenta sempre di più una minaccia per le città costiere. Dal 1992 ad oggi il mare è salito in media di 8 centimetri, ed entro la fine del secolo la crescita potrebbe sfiorare il metro, sommergendo le case di 150 milioni di persone.
Ma ci sono studi che evidenziano come il rischio sia ancora maggiore.
In uno studio pubblicato sulla rivista Science Andvanced nel mese di settembre 2015, un team di esperti del Potsdam Institute for Climate Impact Research e della Carnegie Institution for Science sottolinea la necessità di contenere l'aumento delle temperature globali entro i due gradi centigradi sui livelli preindustriali. Se finissimo di bruciare tutte le riserve di combustibili fossili del pianeta a cui possiamo attingere, immettendo in atmosfera 10mila miliardi di tonnellate di CO2, tutto ciò porterebbe allo scioglimento dell'intera calotta antartica, e di conseguenza il livello del mare salirebbe di 50-60 metri sommergendo le case di oltre un miliardo di persone. Sebbene lo scenario non e' di quelli a breve termine, si parla di un arco temporale alcuni secoli, l'avvertimento lanciato dagli scienziati è chiaro: è necessario scrivere la parola fine all’utilizzo del petrolio del carbone e del gas naturale e passare alle energie rinnovabili.
Gli effetti dell’innalzamento della temperatura globale dovuto all’elevata immissione di CO2 non si limitano soltanto a questo. Sempre in tema di ambiente è in aumento il fenomeno della desertificazione visibile in tutto il mondo. Mentre in alcune zone sono in aumento le precipitazioni, che sempre più frequentemente si manifestano in forme improvvise e violente, in altre zone diminuiscono in modo rilevante. Secondo uno studio effettuato dal World Resources Institute (un’organizzazione di scienziati e ricercatori che lavora a stretto contatto con i principali leader politici mondiali, con lo scopo di sostenere lo sfruttamento equo delle risorse naturali, la fondazione di opportunità economiche per il conseguimento del benessere umano), entro il 2044 ben 167 Paesi dovranno confrontarsi con uno stress idrico estremamente alto. L’Organizzazione è giunta a questa conclusione misurando il rapporto tra domanda e disponibilità di acqua. E questo è soltanto uno degli ultimi dati che evidenziano tale rischio. Già nel 2013, in quella che è stata chiamata “dichiarazione di Bonn” (dal luogo in cui si sono riuniti 500 ricercatori di tutto il mondo esperti in tema di utilizzo dell’acqua) si evidenziava come sia rimasta acqua potabile soltanto per altre 2 generazioni, sempre che non si cominci a farne un uso più razionale. Se ovviamente i primi a vivere tale critica situazione saranno gli abitanti delle zone equatoriali, il fenomeno toccherà tutto il pianeta.
Secondo una ricerca condotta del CNR (Centro Nazionale delle Ricerche) l’Italia è ad alto rischio desertificazione. Questi processi di degrado del suolo, che sono problemi tutt'altro che lontani hanno dei riflessi molto forti anche sulla sicurezza alimentare. L'aumento della popolazione soprattutto nei paesi in via di sviluppo, quelli più poveri, dove il ritmo di crescita della popolazione è superiore, hanno pressioni sull'ambiente molto forti perché devono produrre di più. L'aumento di pressione fa sì che i terreni progressivamente cessino la loro attività e quindi c'è la necessità di convertire foreste in campi coltivati e si entra così in un circolo vizioso che porta al degrado.
Anche negli Stati Uniti la situazione non sembra migliore. Nell’agosto del 2015 la California taglia consumi d'acqua per secondo mese di fila. La siccità che ha colpito molti stati del continente Nord Americano non ha precedenti, tanto che molti sostengono che non sia una qualsiasi siccità, ma la siccità del secolo. Le città sono isole di calore in cui si registrano temperature da 1 a 3 gradi più alte rispetto alle aree circostanti, a causa della presenza di asfalto, cemento, edifici e altre superfici impermeabilizzanti che frenano il raffreddamento naturale fornito dalla vegetazione. E se per alcuni la possibile soluzione può essere quella di aumentare la vegetazione urbana, questa non è senz’altro sufficiente ad arrestare il riscaldamento globale. Ma cosa fare allora?
Uno studio di Citibank, una delle maggiori banche Usa, ha valutato i costi/benefici nei prossimi 25 anni di due tipi di scenari, giungendo alla conclusione che continuare a non far nulla costerà di più, in termini economici, che tentare di cambiare verso un mix energetico con minori emissioni. I costi potenziali dello scenario con interventi per la riduzione di emissioni saranno pari a 190mila miliardi di dollari. Continuare invece sulla rotta del vecchio scenario avrà un prezzo di 192mila miliardi. Il rapporto si sofferma anche sui costi legati al clima più caldo: lo scenario che prevede un riscaldamento elevato (4,5 gradi) costerà 50mila miliardi in più dello scenario che si ferma a 1,5 gradi in più sulla colonnina di mercurio. Secondo un altro studio della Economics of Land Degradation Initiative, uno studio condotto da 30 istituti internazionali di ricerca e capitanato dall'Istituto canadese per l'acqua, l'ambiente e la salute, una delle università dell'Onu, il mondo perde ogni anno da 6.300 a 10.600 miliardi di dollari. Ciò significa che tra il 10 e il 17% del Pil globale va in fumo a causa della degradazione del suolo,che azzera di fatto i benefici forniti dalla terra in termini di cibo, acqua, riduzione della povertà, lotta al cambiamento climatico e alle malattie.
Per far fronte allo scioglimento delle calotte polari, per rispondere alle sfide dell'innalzamento del livello del mare, ma anche per affrontare crisi di cibo, energia, acqua, CO2 e risorse naturali alcuni architetti giapponesi hanno presentato un progetto che prevede la realizzazione della prima città costruita nelle profondità marine entro il 2035. Ocean Spiral, questo il nome del progetto, costerà 26 miliardi di dollari. La città si troverà a 200 metri sotto il livello del mare, e sarà in grado di ospitare abitazioni per circa 5.000 persone, uffici e alberghi, piazze, percorsi per passeggiate. Come spiegano i progettisti, la città sarà costruita all'interno di una grande sfera di 500 metri di diametro che galleggia nelle profondità del mare ricordando una nave spaziale. La struttura sarà ancorata al fondo marino, sino a 3.000-4.000 di profondità con speciali zavorre ed è inoltre munita di attrezzature antivibranti e di una diga galleggiante per tenere a freno il movimento delle onde. La città sottomarina sarà completamente sostenibile grazie ad un filtro di desalinizzazione dell'acqua e un'alimentazione energetica basata sia sulla conversione dell'energia termica sia sul riutilizzo delle emissioni di CO2 da parte dei microrganismi che vivono nelle profondità oceaniche. Nella spirale vengono integrate le funzioni richieste dalla profondità marina per generare elettricità, per l'acquacoltura, per la desalinizzazione, per il trasporto. Avrà un clima è mite, con 26-28 gradi tutto l'anno, e il rischio di tsunami è ridotto al minimo. IL progetto appare tutt’oggi francamente troppo ambizioso.
Fin qui il costo in termini ambientali. Ma le ripercussioni sociali sono già oggi evidenti e lo saranno ancor più in futuro. L’aumento della popolazione mondiale, spinto dall’applicazione dagli attuali modelli economici per i quali più persone vogliono dire un mercato più ampio a cui vendere i beni e i servizi prodotti, comporta un aumento della produzione di cibo ed energia, con conseguente deforestazione e aumento dell’inquinamento. Se a ciò aggiungiamo la minor disponibilità di territorio abitabile dovuto all’aumento della desertificazione, alla riduzione del territorio in generale dovuto all’innalzamento degli oceani, il quadro è presto fatto. Le condizioni di vita sempre più critiche spingeranno sempre più persone a migrare verso luoghi più ospitali. Si prevede che solo nel giro dei prossimi 10 anni, 50 milioni di persone potrebbero essere costrette a migrare a causa della desertificazione. In ad altre stime fatte, i rifugiati ambientali potrebbero essere 250 milioni nei prossimi 3 decenni. Questa situazione richiede da partedi tutti i Paesi più ricchi ed i loro abitanti un impegno morale ed etico. Non è infatti solo una questione economica o di soldi. Sempre secondo i ricercatori la scarsità di acqua ha probabilmente contribuito alle rivolte scoppiate in Siria e sfociate poi nella guerra civile. Il calo delle risorse idriche, spiegano gli autori del rapporto, è stato tra i fattori che hanno costretto 1,5 milioni di persone, in maggioranza agricoltori e pastori, a lasciare le loro terre per trasferirsi nelle aree urbane aumentando così la destabilizzazione generale del Paese. L'acqua, scrivono ancora i ricercatori, ha inoltre giocato un ruolo importante nel lungo conflitto tra Israele e i Territori palestinesi.
Secondo un nuovo studio capitanato dall'Istituto Max Planck per la chimica e pubblicato sulla rivista Nature, l'inquinamento atmosferico causa ogni anno la morte prematura di oltre 3 milioni di persone a livello mondiale, con una maggiore incidenza in Asia. Lo studio evidenzia come la mortalità da inquinamento dell'aria potrebbe raddoppiare entro il 2050 arrivando a interessare 6,6 milioni di persone all'anno.
Se nei precedenti post ho evidenziato come esistano già le tecnologie per abbandonare l’utilizzo dei combustibili fossili, questa volta evidenzierò come alcune recenti scoperte potrebbero se applicate, contribuire in modo significativo alla risoluzione di problemi quali la siccità e la diminuzione dei gas serra come la CO2, con le conseguenti ripercussioni positive anche dal punto di vista sociale, partendo proprio dal fenomeno della migrazione.
Dalla Svizzera arriva infatti una nuova tecnologia che si chiama Awa Modula (air to water to air). Il sistema creato dalla strat up Seas (Societè de l'eau aérienne Suisse) è stata presentata poche settimane fa all’Expo di Milano. La tecnologia è in grado di produrre acqua dall'aria ovunque, senza bisogno di avere fonti di acqua già esistenti da trattare (mare o fiumi, laghi e acque reflue) e permette di avere a disposizione una fonte praticamente inesauribile di acqua, esattamente dove necessita. Con Awa Modula si può ottenere acqua potabile arricchita di sali minerali ma anche acqua per uso agricolo, distillata per uso alimentare, farmaceutico, ospedaliero, industriale. I sistemi permettono di produrre acqua dall'aria con macchine da 2.500 a 10.000 litri al giorno, modulabili sino a centinaia di metri cubi. La società Seas, nata nel 2014, ha donato alcuni mesi fa alla onlus UnaKids, che lavora per garantire migliori condizioni di vita ai minori nelle regioni colpite dalla guerra, un sistema capace di produrre 2.500 litri di acqua potabile al giorno. Il nuovo sistema è stato introdotto per il momento in alcune zone di America Latina (Messico, Perù, Ecuador), Isole Caraibiche, Nord Africa, Sud Africa, Libano, Emirati Arabi. Producendo acqua in zone a rischio siccità o desertiche si potrebbe migliorare significativamente le condizioni di vita fondamentali per milioni di persone che vivono in quelle aree. Tali persone avrebbero dunque la possibilità di utilizzare l’acqua per produrre del cibo. Se a ciò si unisse la tecnologia citata nei post precedenti in grado di produrre energia elettrica in modo autonomo, pulito, inesauribile e soprattutto gratuito, queste persone avrebbero dunque tutte le possibilità di costruire il proprio futuro nel proprio paese di origine, senza dover pensare di intraprendere viaggi della speranza mettendo a rischio la propria vita.
L’altra tecnologia oggi disponibile è se possibile ancor più risolutiva e rivoluzionaria.
I ricercatori, guidati da Stuart Licht dell'Università George Washington, hanno sviluppato una formula e una tecnologia economica che consente di trasformare l'anidride carbonica (CO2), uno dei maggiori gas serra prodotti dall'uomo, in nanofibre di carbonio, la stessa combinazione di materiale che costituisce i diamanti. Queste nanofibre possono essere usate per produrre composti del carbonio, come quelli impiegati negli aerei, turbine eoliche o equipaggiamenti sportivi. Mentre si producono queste fibre il sistema pulisce l’atmosfera dalla CO2. Tutto ciò con un processo efficiente e a basso dispendio di energia, che necessita solo di pochi volt di elettricità, luce solare e molta anidride carbonica. In sostanza degli elettrodi di nickel e acciaio vengono immersi in una soluzione a base di carbonati disciolti. L'aria dell'atmosfera viene continuamente aggiunta, e in questo modo la CO2, una volta sottoposta a temperature altissime e corrente elettrica (prodotte con energia solare), si dissolve e sugli elettrodi di acciaio crescono gradualmente le nanofibre di carbonio, che poi possono essere rimosse. I ricercatori hanno calcolato che installando questa tecnologia su un'area inferiore al 10% del deserto del Sahara, il processo potrebbe rimuovere abbastanza CO2 da farne calare i livelli nell'atmosfera a quelli precedenti la rivoluzione industriale nel giro di 10 anni.
Le soluzioni ai problemi che per anni sono sembrati insormontabili e che ancora oggi molti pensano siano lontani ad essere risolti, invece oggi ci sono. Le nuove tecnologie nel campo dell’energia, dell’ambiente possono essere determinanti nel portare finalmente la nostra civiltà ad una svolta.
Ma la domanda è: saranno mai applicate? E se si tra quanto tempo? Ci sono grandi interessi affinché gli attuali equilibri mondiali rimangano invariati il più allungo possibile.
Einstein diceva che “Non possiamo pretendere di risolvere i problemi pensando allo stesso modo di quando li abbiamo creati”. Occorre dunque cominciare a pensare in modo diverso, a guardare il mondo da un’altra prospettiva, accettando anche la possibilità che inizialmente questi cambiamenti potrebbero far perdere a molte milioni di persone che abitano nei paesi occidentali, l’attuale livello di benessere per una più equa ridistribuzione della ricchezza economica e delle risorse. Un costo che però sarebbe bilanciato oltre che da una equità sociale maggiore dell’attuale a livello mondiale, anche dalla certezza di poter ancora vivere a lungo su questo pianeta. L’inizio di una nuova era può essere possibile soltanto diffondendo la conoscenza riguardo l’esistenza di queste nuove tecnologie, facendo vedere a tutti cosa c’è ne “Il lato oscuro della Luna”.
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