Alterazione della mente: possibilità tecnologiche attuali

Negli articoli precedenti, abbiamo visto come gli studi sul funzionamento del cervello siano oggi già molto avanzati. Già nell’elencare i vari studi condotti in merito, è emersa una capacità tecnologica molto avanzata, in grado di interferire direttamente ed in modo silente, sull’attività neurale.

In quest’articolo evidenzierà come, coniugando queste tecnologie con le conoscenze già acquisite sul funzionamento delle varie aree del cervello, l’attività d’ingerenza nella formazione del pensiero, cosciente ed incosciente, sia un qualcosa di possibile e reale già ora.

La maggior parte degli studi citati qui di seguito, hanno riguardato i topi ma, del resto, studi così dettagliati sul cervello, non possono che passare da una preventiva sperimentazione animale.

Ad ogni modo, tutti i ricercatori coinvolti nelle varie ricerche hanno affermato che si attendono i medesimi i risultati ottenuti sui topi, anche quando applicheranno in futuro (come tra l’altro è stato già fatto in alcuni casi), le stesse tecnologie sul cervello umano, del resto tutti questi studi sono fatti per cercare rimedi a malattie neuro degenerative che colpiscono l’uomo, come l’Alzheimer, ad esempio.

Iniziamo dagli studi che hanno riguardato i pensieri ed i meccanismi che si formano o consolidano, per quanto detto negli articoli precedenti, durante la fase d’incoscienza. Iniziamo dalla memoria e dai ricordi.

 

Ho già ricordato nel mio libro e nel post coscienza e scienza, come alcuni studi avevano già dimostrato negli anni precedenti, la possibilità di stimolare o produrre “artificiosamente” un ricordo, applicando in specifiche aree del cervello delle piccole stimolazioni elettriche (parliamo di scariche elettriche con una potenza davvero minima compresa tra i 3,2 e gli 1,5 Volt, poco più di quella prodotta da 2 comunissime pile AA). Ricordo che esistono già piccolissimi dispositivi medici in grado di funzionare senza alcuna batteria, attingendo l’energia necessaria dall’energia elettromagnetica presente nell’ambiente, poiché siamo ormai perennemente immersi in diversi campi magnetici generati dalle onde radio, quelle delle frequenze Tv, quelle dei telefoni cellulari, delle reti Wi-Fi, ecc.

Già solo a questo punto sarebbe da chiedersi: è possibile che le onde elettromagnetiche in cui siamo immersi svolgano un’azione “attiva” sui neuroni e sulle attività della nostra mente?

La risposta che la scienza (intendendo non la comunità scientifica ma i dati oggettivi provenienti da queste ricerche ufficiali, fatte dalla comunità scientifica ortodossa) ci fornisce, sembra non lasciare molti dubbi, tuttavia vale la pena continuare ad approfondire per comprendere la portata di questo che voglio continuare ancora a definire, “solo un potenziale e teorico rischio”.

Nel mese di Giugno 2015 sulla rivista Science, è stato pubblicato lo studio condotto dall’dell'Istituto di Tecnologia del Massachusetts (Mit) e coordinato da Tomas Ryan. Lo studio ha dimostrato che la luce aiuta a far emergere ricordi che sembravano sepolti per sempre. L’esperimento è stato condotto su topi nei quali erano stati prima cancellati e poi ripescati alcuni ricordi, dimostrando per la prima volta che la memoria potrebbe essere ripristinata anche nei casi in cui, finora, si credeva perduta per sempre, ad esempio dopo traumi da incidenti o stress, o in malattie neuro-degenerative come l'Alzheimer.
La maggioranza dei neurologi aveva fino allora ritenuto che la causa della cosiddetta amnesia retrograda (la perdita di ricordi causata da traumi, stress o malattie) fosse dovuta a danni alle cellule che custodiscono i ricordi. Lo studio in questione invece ha dimostrato che il problema sarebbe invece dovuto a problemi di “accesso” al ricordo, ossia un danno al percorso neurale che porta ad esso e non alle cellule che lo custodiscono.

Solo pochi mesi più tardi, sulla rivista Nature Communications, un altro studio analogo condotto sempre sui topi ma questa volta per merito di un gruppo di ricerca dell'università britannica di Cardiff coordinato da Kerrie Thomas, ha dimostrato che i ricordi possono essere cancellati o riportati alla luce “a comando”. Anche se la tecnica è stata sperimentata sui topi, i ricercatori sperano di poterla provare sugli uomini e portare allo sviluppo di terapie per chi soffre di problemi di memoria.

Infatti, ancora solo pochi mesi dopo, nel Marzo del 2016, sulla rivista Nature, i ricercatori del Riken-Mit Center for Neural Circuit Genetics di Cambridge, negli Stati uniti, hanno descritto i risultati della propria ricerca. Hanno dimostrato che nelle fasi iniziali dell'Alzheimer è ancora possibile recuperare i ricordi, che sono solo apparentemente perduti: immagazzinati nel cervello, possono essere 'ripescati' stimolando specifici neuroni nella regione dell'ippocampo.

I ricercatori l’hanno fatto sui topi grazie all'optogenetica, una rivoluzionaria tecnica di controllo dell'attività cerebrale che consente di usare un fascio di luce per accendere e spegnere a comando specifici neuroni manipolati geneticamente per essere sensibili alla luce (ancora una volta la luce come mezzo di controllo). La stessa tecnica non può ancora essere applicata sull'uomo, perché troppo invasiva, ma in futuro potranno essere sviluppate nuove strategie di stimolazione ultra-precisa per ottenere risultati simili a quelli visti nei topi.

Dunque, quanto fin ad ora emerso, sembrerebbe poter non essere fattibile forse solo per un limite di tipo tecnologico, non in senso assoluto, ma solo per l’assenza in merito, di tecnologie non invasive.

Approfondendo in merito l’argomento si scopre che in realtà non è così.

Già nel Luglio del 2015, sulla rivista ACS Nano, è apparso il risultato di uno studio condotto da un gruppo internazionale di ricerca guidato dal Centro di Micro-BioRobotica dell'Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) a Pontedera e dall'Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa. Il gruppo di ricercatori italiani è riuscito ha mettere appunto una tecnologia in grado di “accendere” a distanza con un telecomando, dei neuroni!!

(nanoparticella di titannato di bario che si aggancia al neurone)

Il tutto è stato possibile grazie ad una nuova tecnica di stimolazione wireless non invasiva (senza elettrodi collegati al paziente) basata sull'uso di nanoparticelle e ultrasuoni.  Attilio Marino, dottorando in BioRobotica del Sant'Anna presso l'Iit, ha spiegato: “Nei nostri esperimenti abbiamo coltivato i neuroni in presenza di nanoparticelle piezoelettriche, capaci cioè di convertire energia meccanica in energia elettrica. Per produrle abbiamo usato il titanato di bario, un materiale biocompatibile e sicuro anche ad alte concentrazioni. Una volta a contatto con i neuroni, le nanoparticelle si sono andate a incastonare sulla loro membrana esterna, pronte ad entrare in azione: quando sono stimolate a distanza con gli ultrasuoni, le nanoparticelle si deformano e convertono questa energia meccanica in un potenziale elettrico in grado di eccitare le cellule nervose'‘.

Vorrei porre l’accento sul fatto che in questa tecnica di stimolazione wireless utilizzata dalla scienza ufficiale e dunque riconosciuta dalla comunità scientifica dominante, sono presenti contemporaneamente due elementi che ritroviamo in quelle che molti considerano semplicemente delle teorie del complotto. Infatti, sebbene nella sua forma cristallina di titanato, è presente il bario che viene combinato e sfruttato attivandone a distanza le capacità piezoelettriche, con delle onde elettromagnetica, nel qual caso ultrasuoni.

Sappiamo che, da quanto è dalle analisi di campioni di terreno e acqua piovana raccolti ed analizzati nei giorni seguenti il passaggio di aerei accusati di rilasciare nell’atmosfera le cosiddette scie chimiche (o chemitrails), sono stati riscontrati elevati valori di alluminio e proprio di bario.

Secondo quello che per alcuni sono soltanto teorie fantasiose, queste due sostanze sono appositamente irrorate nell’atmosfera, non solo per controllare il clima ma anche per interferire nella mente umana grazie ad onde elettromagnetiche generate da specifiche installazioni distribuite in vari punti del pianeta, nell’ambito del progetto noto come HAARP (ho già diffusamente parlato di questo progetto nel mio libro a proposito del controllo climatico).

Alla luce di tutto ciò dunque, continuare a sostenere che tale teoria sia soltanto una fantasia, appare superficiale, almeno dal punto strettamente scientifico. La stessa scienza ufficiale utilizza tecniche analoghe nello studio del condizionamento dell’attività celebrale. Può essere solo una coincidenza o una casualità? Ricordando che, come diffusamente trattato sempre nel libro, quando la scienza per spiegare alcune situazioni, ricorre al concetto della casualità e della coincidenza, utilizza un concetto antiscientifico (la casualità in scienza non dovrebbe esistere), lascio ad ognuno, giungere autonomamente alle conclusioni riguardo questo punto.

Nel frattempo un altro approfondimento diventa necessario. Supponendo che qualcuno sia in grado e voglia “condizionare” il pensiero delle persone, per poterlo fare in modo efficace dovrebbe sapere bene quali aree del cervello, quali neuroni dovrebbe andare a stimolare o inibire per ottenere il risultato voluto. La scienza oggi, oltre a quanto già detto in questo e negli articoli precedenti, quanto sa in merito alla locazione e alla funzione dei singoli gruppi di neuroni?

Questo sarà il tema del prossimo articolo.

Stefano Nasetti

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