Possibili obiettivi e conseguenze delle alterazioni volontarie della mente

Negli articoli precedenti ho evidenziato come i risultati pubblicati da scienziati appartenenti alla comunità scientifica ufficiale, dimostrino che, attraverso varie tecnologie che sfruttano le onde elettromagnetiche, è possibile influire sullo stato di coscienza ed incoscienza delle persone, incidere sull’attività neurale che genera i pensieri coscienti, indurre la fase Rem, implementare o inibire i meccanismi che gestiscono la memoria, creare, cancellare e richiamare i ricordi influendo così sull’attività neurale nello stato d’incoscienza che è, come la scienza stessa dichiara, la fase forse più importante dell’attività celebrale poiché determina la personalità di un individuo.

Ho anche evidenziato come tutto ciò non sia solo possibile dal punto di vista teorico, ma anche pratico, con tecnologie anche non invasive wireless, che combinano tra l’altro l’utilizzo delle onde elettromagnetiche con delle nano particelle di alcuni elementi particolari come il bario, ad esempio.

Sebbene quanto finora detto, evidenzi una possibile conferma riguardo le teorie che vogliono l’umanità oggetto di condizionamento mentale per mezzo proprio di onde elettromagnetiche e sostanze come il bario, diffuse nell’atmosfera (chemitrails), è necessario comprendere fino a che punto possa essere veritiero questo condizionamento.

Infatti, se finora è emersa la chiara possibilità con queste tecnologie, di condizionare e “modulare” il grado di coscienza e incoscienza alterando, generalmente e genericamente quindi, la consapevolezza sulla percezione della realtà, i risultati pubblicati dagli scienziati appartenenti alla comunità scientifica ufficiale, potrebbero addirittura fornirci elementi tali da farci comprendere nello specifico, quali potrebbero essere i segnali comportamentali nei quali riconoscere possibili alterazioni.

Per fare ciò pero, la scienza dovrebbe conoscere bene la rete neurale, il suo funzionamento, la dislocazione dei vari gruppi neurali oltre che le singole funzioni di tali gruppi. La scienza conosce davvero tutte queste informazioni?
Gli stuti sul cervello hanno fatto notevoli progressi negli ultimi due o tre anni.

 

Nel Marzo del 2016 sulla rivista Nature è apparso un articolo riguardante i risultati ottenuti da un gruppo internazionale di ricerca coordinato dall’Harvard Medical School di Boston, che è riuscita ad ottenere la prima e più grande mappa mai realizzata delle connessioni tra cellule nervose del cervello, così complessa da mettere in relazione la struttura di una regione cerebrale, con oltre 200 neuroni e 1.300 connessioni (sinapsi), con il suo funzionamento. Per ottenerla è stato necessario un lavoro certosino sul cervello di un topo, iniziato identificando gli specifici neuroni che si accendono nel cervello del topo in risposta ad un particolare stimolo visivo.  Il ricercatore R. Clay Reid, dell'Allen Institute for Brain Science di Seattle ha affermato “I circuiti del cervello sono troppo vasti e complessi per essere studiati a pezzi. Il cervello è' come un'orchestra sinfonica senza direttore e con i musicisti seduti a casaccio: se si ascoltano solo quelli vicini, non si capisce il senso. Ascoltandoli tutti insieme, invece, è possibile capire la musica. Se poi ci si chiede chi sta ascoltando ciascun musicista, è perfino possibile capire come fanno musica”.

Il mese successivo, nell’Aprile del 2016 la copertina (e un ampio articolo all’interno) della rivista Nature è stata dedicata alla pubblicazione della prima mappa celebrale delle parole e dei significati, realizzata da gruppo di ricerca guidato da Jack Gallant, dell'università della California a Berkeley. I ricercatori hanno ottenuto quest’atlante semantico, monitorando tramite Risonanza magnetica funzionale, l’attività celebrale di 7 volontari mentre ascoltavano una serie di racconti letti alla radio. La mappa realizzata ha mostrato per la prima volta, come il cervello sia organizzato in “isole” di parole raggruppate per significati. I 7 volontari condividevano tutti un'analoga formazione culturale. Per capire se le funzioni cerebrali possano essere distribuite in modo differente in base alla cultura o alla differente lingua, lo studio punterà in futuro ad analizzare persone di diversa estrazione sociale e di lingua.

Da quanto sembra, la scienza ha cominciato a comprendere il significato dell’attività delle varie aree del cervello e la funzione dei vari neuroni contenuti in quelle aree. Tuttavia questa conoscenza, sembrerebbe ancora troppo limitata per avvalorare le tesi riguardanti una presunta attività di controllo globale.

La ricerca pubblicata nel mese di Gennaio 2016 dalla rivista Scientific Reports effettuata da un gruppo di neuro scienziati della Johns Hopkins School of Medicine a Baltimora, sembrerebbe addirittura far apparire ancora molto lunga la strada per la comprensione delle varie aree del cervello. I ricercatori hanno osservato, infatti, la creatività all’opera nel cervello, determinando che l’attività neurale legata alla creatività è figlia delle emozioni. La creatività non è un semplice interruttore del cervello che può essere acceso o spento: "in realtà esiste tutta una serie di stati più o meno creativi e le emozioni giocano un ruolo cruciale nel determinarli''. Le immagini del cervello, ottenute con la risonanza magnetica funzionale, dimostrano che la creatività nasce da circuiti neuronali diversi a seconda delle emozioni veicolate. Se una persona vuole esprimere emozioni positive, allora nel cervello si osserva una specie di blackout nella corteccia prefrontale dorsolaterale, una regione coinvolta nel controllo del comportamento e nella pianificazione: spegnere quest’area equivale a togliere il "freno a mano" dell'immaginazione, liberando più facilmente gli impulsi creativi. Viceversa, se si vuole esprimere emozioni negative, nel cervello si ha una maggiore attivazione delle aree legate alla ricompensa, che risultano più connesse con la corteccia prefrontale dorsolaterale. Dunque qui si parla di diverse aree da stimolare o inibire contemporaneamente per ottenere il controllo mentale desiderato. La questione sembrerebbe molto più complessa del previsto.

Eppure nel mese di Ottobre 2015 sulla rivista Social Cognitive and Affective Neuroscience è stato pubblicato un articolo riguardo un singolare esperimento condotto dai ricercatori coordinati da Colin Holbrook, dell'università della California a Los Angeles. Gli studiosi hanno bersagliato con la stimolazione magnetica la corteccia cerebrale frontale di alcune persone volontarie, specializzata nel rilevare i problemi pratici e risolverli. Alla metà dei partecipanti è stata praticata realmente la stimolazione, mentre all’altra metà la stimolazione è stata soltanto simulata, all’insaputa della persona. Quindi a tutti i volontari sono state poste domande sul credo religioso e i sentimenti verso gli immigrati. Si è così visto che le persone a cui era stata temporaneamente “spenta” quella parte del cervello, hanno visto “affievolirsi” del 32,8% le loro credenze su Dio, angeli e paradiso, mentre c'era un 28.5% in più di sentimenti positivi verso gli immigrati.

Tutto ciò è particolarmente interessante alla luce sia dei risultati ottenuti, sia perché l’esperimento (svolto negli USA) ha trattato temi assolutamente attuali, almeno in Europa.

Dopo la possibilità di intercedere tecnologicamente sulla memoria, ora sappiamo che la scienza può farlo anche su temi più complessi come le ideologie e questo dovrebbe essere, a mio modesto parere, abbastanza sconcertante per chi parte da tesi scientifiche convenzionali.

Ma le possibilità d’ingerenza sulla mente non finiscono qui!

Nel marzo 2016, la rivista Nature ha pubblicato la scoperta effettuata dal gruppo di ricerca coordinato dal premio Nobel per la medicina Linda Buck, del Fred Hutchinson Cancer Research Center, a Seattle. Il gruppo ha individuato nel cervello il piccolo gruppo di cellule neurali facenti capo alla corteccia olfattiva, legato all’attivazione della paura. L’esperimento è stato condotto sui topi ma i ricercatori hanno affermato “Gli esseri umani non hanno paure legate ai predatori, tuttavia la risposta allo stress è molto simile a quella messa in atto dai topi quando avvertono la presenza di un predatore''. Inibendo l’attività di questo gruppo di cellule, i ricercatori hanno, di fatto, disattivato questo meccanismo automatico, inibendo il senso di paura nei roditori.

In modo analogo, solo un mese prima nel Febbraio 2016, la rivista Current Biology, ha pubblicato un articolo nel quale i ricercatori del Langone Medical Center dell'università di New York hanno annunciato di aver individuato la regione del cervello chiamata setto laterale, (già nota da tempo perché collegata al controllo di ansia e paura), l’area del cervello ed i neuroni responsabili dell’attività che genera la rabbia. Durante l’esperimento condotto sui topi, i ricercatori, andando a modificare l'attività dei neuroni di quest’area del cervello, sono riusciti a spegnere e riaccendere gli attacchi violenti. Andando poi ad agire sulla connessione tra setto laterale e ipotalamo, i neuroscienziati hanno scoperto che i comportamenti violenti sono controllati in maniera indipendente da quelli sessuali: dunque la modulazione dell'aggressività non dovrebbe comportare effetti collaterali sulla riproduzione. I ricercatori si sono detti certi che il risultato ottenuto possa aprire a nuovi studi sull’aggressività dell’uomo.

Sempre nel Febbraio del 2016, i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston, hanno pubblicato i risultati degli esperimenti sulla rivista in merito allo studio della parte posteriore del cervello. I ricercatori in questo caso sono riusciti ad identificare un gruppo di neuroni la cui attività e legata alla capacità di socializzazione. Anche questo esperimento è avvenuto sui topi. I ricercatori sono riusciti a dimostrare che in condizioni d’isolamento, questi neuroni si attivavano automaticamente, rendendo il soggetto più socievole nel momento del rientro in gruppo. Se le cellule nervose del nucleo dorsale del rafe (l’area posteriore del cervello vicino al midollo spinale) venivano spente ad arte dai ricercatori, i topi ritornati dall'isolamento si comportavano normalmente, come se non fossero mai stati allontanati dal gruppo.

Concludendo in questa serie di articoli nei quali abbiamo approfondito gli aspetti legati alla mente, al cervello, ai suoi meccanismi di funzionamento e alle varie funzioni delle aree neurali, è emerso che oggi la scienza possiede, in linea di principio, tutte le conoscenze e le tecnologie necessarie per interferire sulla mente umana.

Tutto ciò è possibile non solo influendo sul grado di coscienza ed incoscienza (e dunque sulla percezione della realtà) ma anche sulla formazione dei ricorsi, sull’attività preposta allo sviluppo e alla formazione del pensiero incosciente, sulla formazione o sulla stimolazione della creatività, sulla formazione o sulla cancellazione delle ideologie (sia razziali sia religiose), addirittura sugli stimoli emozionali quali la rabbia, l’ansia, la paura, aggressività, per arrivare alla gestione diretta di comportamenti a carattere sociale quali isolamento e socializzazione. La stessa scienza ufficiale per fare ciò ha fatto ricorso spesso a tecnologie wireless non invasive, con l’utilizzo di stimolazioni magnetiche o elettromagnetiche, combinate con “sostanze amplificanti” quali il bario ad esempio.

Alla luce di tutto quanto dunque, la prossima volta che sentirete parlare di condizionamento mentale attraverso queste tecnologie, saprete che non si tratta di fantascienza, ma di una concreta possibilità, che si tratta di conoscenze scientifiche applicate.

Certo questo non basta da solo per affermare con certezza che un simile condizionamento sia in atto.

Lascio quindi a ciascuno la possibilità farsi la propria idea in merito, non più su suggestioni o su prese di posizioni aprioristiche, ma su informazioni scientifiche concrete.

Se qualcuno però vi dirà che sono solo bizzarre teorie complottistiche di carattere fantascientifico, ora saprete forse cosa rispondere. Forse dovreste anche chiedervi se, colui che fa queste affermazioni, è soltanto un ignorante scientifico, perché non conosce queste ricerche ufficiali (in questo caso dovreste decidere di non prendere in considerazione le sue opinioni), o se invece ha interesse a tenervi nascoste tali conoscenze.

In quest’ultimo caso le domande seguenti che dovreste porvi è: perché vuole tenere nascoste tali realtà scientifiche? Se il complottista è colui che distorce la verità per i propri interessi, in questo caso chi è il vero complottista? Chi afferma che esiste la possibilità che sia in atto questo tipo d’ingerenza o chi nega che questa capacità e conoscenza tecnologica esista?

Stefano Nasetti

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