Proposta la mappatura del DNA dei Neonati

Potrebbe presto iniziare la schedatura sistematica del DNA di milioni di persone!

Sulla rivista Pedriatics, il consorzio Nsight finanziato dal National Institutes of Health (Nih), agenzia di primaria in portanza nel settore della salute facente capo al Governo degli Stati Uniti, ha aperto ufficialmente il dibattito su rischi e benefici di ottenere la mappa del DNA di tutti i neonati.

Al National Institutes of Health, fanno capo circa 27 istituti e centri specializzati che conducono ricerche in campo biomedico mentre al consorzio Nsight aderiscono genetisti di diverse università e ospedali pediatrici americani.

Il dibattito verte sull'opportunità di eseguire fin dalla nascita, oltre al consueto screening neonatale per malattie come la fibrosi cistica o l'anemia falciforme, anche la mappatura del DNA di ciascun neonato. Per questo intendono affrontare la questione insieme ai genitori, per stilare insieme un documento che diventi la base per definire eventuali linee guida sull'utilizzo dei dati genetici dei neonati.

Tale documento potrebbe poi diventare eventualmente la base per l'emanazione di opportune norme di regolamentazione a livello nazionale.

Il dibattito verte principalmente sull'evidenziazione dei vantaggi che tale procedura può portare in termini di diagnosi e prevenzione delle malattie. Difatti secondo gli esperti, la mappa del DNA dei neonati dovrebbe avere tre obiettivi principali: aiutare nelle diagnosi delle malattie, nella prevenzione ed essere una risorsa per l'assistenza sanitaria.

La questione non appare, almeno al momento, affrontata con il dovuto equilibrio, mettendo cioè sul piatto della bilancia, non solo gli aspetti positivi, ma anche quelli negativi in termini di privacy.

L'immagazzinamento del genoma di milioni di persone andrà a implementare, insieme ai dati di vario genere e di varia origine (sui quali rimando agli articoli già pubblicati in precedenza), il famoso big data, quell'insieme di dati digitali disseminati da vari su vari server sparsi per il mondo, apparentemente caotici e dunque inutilizzabili. Tuttavia l'ormai prossima entrata in uso dei super computer e dell'AI (Intelligenza Artificiale) costituirà una vera e propria minaccia alla privacy e ancor peggio alla libertà individuale di ciascuna persone. Il DNA alla pari dei dati biometrici, il cui uso è oggi e continuamente promosso attraverso la commercializzazione e l'invito a utilizzare password di tipo biometrico (scansione della retina, del volto, delle impronte digitali, riconoscimento vocale) è un dato troppo sensibile perché sia raccolto e archiviato in modo massivo.

Quando un criminale viene arrestato, oltre alle generalità, le forze dell'ordine provvedono a prendere impronte digitali, scattare fotografie e acquisire altri dati della persona in questione. In gergo si dice che la persona è schedata. Se la persona è indagata per un reato grave, i tribunali autorizzano anche il prelievo del DNA della persona sospettata. Recentemente in Italia è nata la Banca dati del DNA che era stata istituita con una legge nell’ormai lontano 30 giugno del 2009 dopo che l’Italia aveva aderito al Trattato di Prum del 2005 sulla cooperazione transfrontaliera per contrastare terrorismo, criminalità transfrontaliera e migrazione illegale. Con l'entrata in vigore di tale provvedimento (aprile 2016), per implementare la banca dati, potrà essere prelevato il DNA di chi viene arrestato in flagranza o sottoposto a fermo, di chi si trova in custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari, dei detenuti condannati in via definitiva per delitti non colposi, di chi ha avuto una misura alternativa al carcere sempre per un delitto non colposo e di chi sconta una misura di sicurezza detentiva in via provvisoria o definitiva (quindi di fatto anche di chi non è stato ancora processato ma soltanto "fermato"). La legge ha disposto che il prelievo si applica sia ai maggiorenni che ai minorenni. Sono esclusi dal prelievo le persone condannate per tutti i reati non violenti, come quelli fallimentari, societari o tributari. 40 anni è il termine massimo per cancellare il profilo del DNA e 20 quello per distruggere il relativo campione biologico.

 Se qualcuno vi proponesse di farvi schedare, senza alcun tipo di ragione o motivo, voi accettereste?
Sono certo che la maggioranza delle persone risponderebbe di NO!

Eppure, senza che la maggioranza delle persone ne sia pienamente consapevole, ciò ormai avviene in modo silente e sistematico attraverso la promozione,secondo tecniche comunicative ben conosciute come quello della finestra di Overton, all'utilizzo delle tecnologie a cui ho fatto accenno precedentemente, che raccolgono tutti i dati presenti anche nelle procedure di schedatura dei detenuti ad eccezione del DNA.

Ovviamente per scopi pratici non è facile raccogliere e archiviare anche l'unico dato mancante (e forse il più importante) come il DNA di milioni di persone attraverso l'uso di queste tecnologie, dunque ecco che come funghi spuntano in continuazione decine di proposte o progetti che mirano a eseguire raccolte massive di DNA.

Nello scorso mese di aprile (2016) la rivista Nature nel suo sito, ha diffuso l'annuncio di uno dei maggiori gruppi farmaceutici del mondo, l'AstraZeneca, di ottenere la mappa del DNA di 2 milioni di persone entro i prossimi dieci anni. L'obiettivo dichiarato è quello di scoprire le sequenze d’informazione genetica legate a malattie e mettere a punto terapie su misura.

Tuttavia tale ricerca appare alquanto "particolare" per tutta una serie di motivi. Innanzitutto per la volontà dichiarata di raccogliere un numero d’informazioni così elevate per compiere degli studi. Solitamente infatti, nella ricerca anche medica, non viene mai raccolta una mole così elevata d’informazioni. Solitamente sono rarissimi gli studi medici condotti su decine di migliaia di persone, solo pochissimi studi medici poi, sono svolti su qualche migliaio di persone, la maggior parte su meno di mille persone, se non addirittura solo su qualche centinaio.

Ad esempio, nel marzo del 2015 la rivista Nature Genetics ha annunciato la conclusione del progetto durato oltre 15 anni, che ha portato alla creazione della più grande banca dati genetica di tutti i tempi. Il progetto realizzato dall'azienda DeCode Genetics, ha raccolto la mappa del DNA di appena 2.636 Islandesi. Nulla rispetto al progetto annunciato da AstraZeneca.

Nel dicembre del 2016 la rivista Nature ha pubblicato i dati genetici riguardanti 50.000 persone che avevano volontariamente aderito al progetto DiscovEHR dell'università di Stanford, e da Noura Abul-Husn, del centro genetico Regeneron. Sebbene notevolmente superiori a quelli del progetto della DeCode Genetics, 50.000 persone appaiono ancora poche rispetto all'ambizioso progetto dell'AstraZeneca.

La cosa appare ulteriormente anomala se si va ad analizzare il profilo di questa particolare azienda farmaceutica. L'AstraZeneca ha un passato non troppo limpido. È stata più volte condannata a pagare multe in USA per avere commercializzato illegalmente degli psicofarmaci, in Europa per  aver utilizzato il sistema dei brevetti e le procedure di commercializzazione per bloccare l'ingresso nel mercato di altre case farmaceutiche, è finita sotto inchiesta in Cina per un giro di tangenti, in Svezia per un conflitto di interessi tra i giurati e i vertici dell'azienda per l'attribuzione di un premio Nobel assegnato a Harald Zuer Huser per il suo lavoro sul papilloma virus, perché l'AstraZeneca è proprio l'azienda che produce i due lucrosi vaccini contro il virus, vaccini che molti medici raccomandano alle adolescenti che si affacciano alla vita sessuale. Un affare lucrosissimo. Infatti, era emerso che proprio due figure autorevoli nel processo di selezione di zur Hauser avessero legami strettissimi con la multinazionale farmaceutica. Infine nuovamente in Usa per la commercializzazione dell'iressa, un costoso farmaco rivelatosi poi inefficace, somministrato ai pazienti con cancro ai polmoni al fine di prolungare la loro sopravvivenza (l'elenco del resto degli scandali di varia entità e natura in cui è stata coinvolta questa azienda, lo trovate anche su Wikipedia).

Più volte in procinto di essere acquisita dal noto colosso farmaceutico Pfizer, la società britannica risulta una delle maggiori aziende titolari di brevetti sulle sementi OGM, dopo la famigerata Monsanto. Direi che pur volendo mettere da parte preconcetti di ogni sorta, ce n'è abbastanza da ritenere almeno "anomalo" questo progetto di sequenziamento massivo di DNA e domandarsi cosa veramente vuole farci l'AstraZeneca del DNA di 2 milioni di persone.

Tutti questi progetti di sequenziamento sono avvenuti, avvengono o avverranno al momento, necessariamente con il consenso delle persone ma ciò non è sufficiente per affermare, a parer mio, che questa pratica sia del tutto corretta in linea di principio. Questo perché il cosiddetto "consenso informato" non è proprio tale. Infatti, ci si limita a informare le persone circa la conservazione dei dati, "spingendo" molto al contempo sulla questione etica riguardante i vantaggi che l'utilizzo di questi dati potrà portare in termini di progresso scientifico e di possibilità di cura, non solo per la persona, ma per l'intero genere umano. Si fa principalmente leva quindi, sulla solidarietà e sulla possibilità di ciascuno di contribuire al benessere di tutti (un po' come avviene con le raccolte fondi per le ricerche o per fornire aiuti, che spesso mai arrivano, in casi di catastrofi naturali), omettendo i rischi connessi a possibili utilizzi fraudolenti di tali e preziose informazioni personali archiviate inevitabilmente su server connessi alla rete. D’altro canto, già nel 2013 a seguito dell'accordo tra il Centro per la sequenza del genoma umano del Bcm di Houston e le aziende DNAnexus, fornitrice di piattaforme di servizio, e Amazon Web Services, provider di nuvole informatiche, i dati riguardanti i DNA di oltre 14.000 individui sono stati messi on line a disposizione dei ricercatori. Per quanto si possa dire, nessun sistema informatico dall'invenzione del computer a oggi, si è mai rivelato inviolabile, e il prossimo avvento dei super computer certamente amplificherà questo rischio.

La raccolta dei dati provenienti dal sequenziamento del DNA di questi progetti di ricerca svolta da enti scientifici privati, viene integrata da quella effettuata e promossa dai vari Governi nazionali, in cui l'Italia non fa certamente eccezione.

La Legge di stabilità del 2016 (approvata dal Governo Renzi nel 2015) ha disposto l'istituzione di una banca pubblica per la mappatura del DNA con lo scopo di creare cure su misura, e per cercare di combattere e prevenire i tumori, le malattie cardiovascolari, e le patologie neurodegenerative. Il progetto prevede in 5 anni, con indagini genomiche a costi popolari, di ottenere il sequenziamento del DNA e di inserirlo nella cartella clinica di ciascun paziente.

Sebbene possa sembrare una cosa positiva, la questione presenta certamente delle controindicazioni, poiché i dati finirebbero prima o poi, inevitabilmente sul web dal momento che siamo nell'era della digitalizzazione, in cui anche l'Italia, sebbene con l'ormai proverbiale lentezza, sta informatizzando la gestione di qualunque dato riguardante i propri cittadini. Ma i cittadini sono stati correttamente informati anche sui potenziali rischi?

L'incrocio dei dati generici con quelli delle abitudini personali, possono essere utilizzati per modulare aspetti che possono incidere fortemente nella quotidianità. Ad esempio è possibile utilizzare tale complesso di dati per calcolare, ovviamente con un certo grado di approssimazione, le probabilità di ammalarsi o di contrarre una determinata malattia, in futuro. Se i dati finissero in mano a broker assicurativi, potrebbero essere utilizzati per stipulare polizze sulla salute o sulla vita a prezzi maggiorati o potrebbero indurre le compagnie assicurative a rifiutarsi di stipulare polizze o fornire determinati servizi. Sembra un'ipotesi assurda, ma è già accaduto!

Nel Regno Unito una società assicurativa filtrava i dati dei propri clienti presenti su Facebook. L'algoritmo che la compagnia di assicurazioni aveva messo a punto (secondo il Guardian) aveva lo scopo di analizzare i messaggi e le interazioni degli utenti per capire o meno la loro attitudine e tradurla in affidabilità o meno alla guida dell'auto. Ad esempio, un uso eccessivo di punti esclamativi sarebbe stato valutato negativamente, mentre messaggi brevi e con dettagli specifici sarebbero stati considerati un "plus". Tale pratica commerciale, che configurava una violazione della privacy, ha portato l’Open Rights Group, un'associazione anglosassone che si batte per i diritti digitali ,a richiedere la cancellazione (poi avvenuta) del profilo Facebook della compagnia assicurativa. Secondo l’Open Right Group "Pratiche così intrusive potrebbero portare a scelte contro alcuni gruppi sulla base di pregiudizi legati a razza, genere, religione o sessualità o perché i loro post in qualche modo li contraddistinguono come non convenzionali".

Anche i colossi dell'informatica si sono gettati nel business del sequenziamento genetico, tant'è che nel 2015 l’Apple ha annunciato che presto sarà disponibile un Kit per la raccolta volontaria in forma anonima del DNA dei propri clienti (oltre 750 milioni). L'obiettivo dell'Apple è sempre il solito, quello nobile di contribuire alla ricerca. Appare superfluo rimarcare che, avvenendo il tutto attraverso uno smartphone, appare alquanto complicato poter assicurare l'anonimato.

Affidare il DNA a un sistema che, pur con tutte le garanzie del caso, andrebbe a gestire i dati di milioni di persone, è qualcosa che solleva problematiche etiche fondamentali. Sebbene il profilo del concetto di privacy vada ormai sbiadendo, è pur vero che un qualche limite tutto ciò deve, presto o tardi, essere trovato.

La differenza è forse da individuarsi nella sensibilità dei dati raccolti, attinenti alla sfera più intima di ognuno di noi, dati che come dimostrano le applicazioni e strumenti tecnologici a cui sopra ho fatto accenno in riferimento ai precedenti articoli, vengono sovente e volentieri condivisi, sebbene in modo spesso molto superficiale e inconsapevole. La condivisione però avviene quando questa comporta un beneficio o una gratificazione, sebbene assai effimera, a chi li condivide. La domanda è: chi condividerebbe uno stato depressivo sfociato in un’obesità, chi andrebbe ad aggiungere un malus assicurativo a una non buona condizione di salute? Chi condividerebbe i dati riguardanti la sua probabilità di contrarre una malattia? Forse bisognerebbe ragionare anche su quest’aspetto. Limitare la ricerca nel nome della privacy è però il contrappeso giusto?

La risposta va cercata nella priorità e l'importanza che si da a taluni valori fondamentali. Il progresso e la ricerca scientifica sono più importanti della tutala della libertà individuale?

Mentre ciascuno di noi trova la propria risposta alla domanda, Jonathan Berg, della University of North Carolina, uno dei ricercatori aderenti al progetto di mappatura del DNA di tutti i neonati USA del consorzio Nsight finanziato dal National Institutes of Health, ha affrontato la questione affermando: "Una delle principali questioni di bioetica del nostro tempo è dove sia il confine tra la responsabilità di un genitore e il diritto di un bambino nel poter prendere decisioni su se stesso quando diventerà adulto. Pensano che si potrebbe violare l'autonomia del bambino o potenzialmente anche danneggiarlo se i genitori vengono a sapere troppe informazioni o intervengono troppo. Un esempio - ha rilevato Berg -, sono le malattie genetiche che si manifestano solo da adulti: il genitore ha egualmente il diritto di sapere che il suo bambino ospita il difetto genetico, anche se la malattia si sviluppa solo da adulti? Tuttavia -  ha aggiunto Berg - la tecnologia ci sta costringendo a prendere delle decisioni. Il costo economico del sequenziamento del genoma è precipitato negli ultimi anni e questo significa che il sistema sanitario e la comunità medica devono cominciare a capire fin da adesso come affrontare questo nuovo scenario". Se i ricercatori si pongono la questione già soltanto riguardo l'opportunità di far conoscere i dati genetici dei neonati ai dei genitori, figuriamoci se non sia legittimo porsi le domande di cui sopra in merito ai rischi che questi dati finiscano in rete e possano essere utilizzati nel modo sbagliato o per secondi fini.

La schedatura o meglio, la profilazione (per usare un termine politically correct) di massa è SEMPRE un qualcosa a cui guardare con molta diffidenza, perché chi possiede queste informazioni, controlla di fatto la tua vita.

Stefano Nasetti

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