La prova definitiva: su Marte c’è acqua liquida!
(Polo sud di Marte - Foto sonda Mars Express)
Nel 2018 uno studio tutto italiano, basato sui dati raccolti dal radar Marsis della sonda europea Mars Express, aveva scoperto la presenza di un grande lago di acqua liquida e salata sotto il Polo Sud di Marte.
Alla ricerca, pubblicata poi anche sulla rivista Science, avevano fatto seguito innumerevoli altri studi basati sui dati di raccolti da altre sonde orbitali, che avevano confermato non solo la presenza di acqua liquida sotto il polo sud marziano, ma anche la presenza di una vasta rete di laghi sotterranei tra loro interconnessi, di acqua liquida sotto la superficie del pianeta rosso.
Nonostante le numerose conferme, l’annuncio del 2018 della presenza di acqua liquida su Marte aveva scardinanto definitivamente la pluridecennale idea di un Marte secco e arido, dove la vita non fosse ancora presente e forse, dove non lo era mai stata in passato. Come accade quando vengono fatte scoperte così importanti da cambiare, appunto, un paradigma così consolidato nella comunità scientifica, anche in questo caso non sono mancati i tentativi di screditare lo studio o smentire la scoperta.
Come ho avuto più volte modo di spiegare, anche la “scienza” o meglio chi la gestisce, non è immune a tutta la gamma di sentimenti umani che, specie in questi casi, vedono prevalere in particolar modo le loro componenti negative, a difesa dei propri interessi personali “minacciati” o “compromessi” dalla novità scientifica. Il riferimento è ovviamente, a tutti quegli “scienziati” o “superstar della scienza” che negli anni passati si erano esposti a favore dell’unicità della vita terrestre e/o nella negazione della possibilità di trovare “vicino a noi” ambienti favorevoli alla vita.
Così, nel luglio del 2021 una ricerca, coordinata dalla York University di Toronto, pubblicata su Geophysical Research Letters (articolo: “A Solid Interpretation of Bright Radar Reflectors Under the Mars South Polar Ice”), e realizzata da un gruppo di lavoro internazionale, di cui faceva parte anche il geologo italiano Stefano Nerozzi, ora in forze all’Università dell’Arizona, basandosi su esperimenti di laboratorio e modelli informatici, vollero verificare se gli echi radar osservati al polo sud di Marte dalla sonda Mars Express dell’Esa fossero effettivamente ascrivibili alla presenza di acqua.
Dalla lettura dello studio però, era evidente la voglia del team di ricerca di smentire l’evidenza dei dati raccolti dai ricercatori italiani nel 2018. Tant’è che gli studiosi statunitensi partivano dal presupposto, secondo cui per sciogliere il ghiaccio della calotta polare e far sì che si formi dell’acqua, sarebbero necessarie quantità di sale e di calore di gran lunga superiore a quelle presenti sul Pianeta Rosso (ipotesi assai discutibile non assolutamente oggettiva). Secondo i ricercatori dunque, il responsabile degli echi radar molto evidenti provenienti dalla sotto-superficie non era l’acqua ma avrebbe dovuto essere ricercato in un altro materiale, e il candidato più adeguato è stato trovato nella già citata smectite.
Iniziando da questo punto di partenza, il team della ricerca si era impegnato in una serie di attività sperimentali misurando le caratteristiche radar della smectite in diverse condizioni ambientali (fino a -43°C).
Al termine delle simulazioni, gli scienziati avevano ipotizzato che il fenomeno degli echi radar molto evidenti avrebbe potuto essere attribuito appunto alla smectite, minerale argilloso che si forma quando il basalto (la roccia vulcanica che costruisce la maggior parte della superficie di Marte) si frantuma chimicamente in presenza d’acqua.
Lo studio concludeva quindi, che non c’erano depositi di acqua liquida su Marte, basando le sue affermazioni non su dati oggettivi e dunque “scientifici” per definizione, ma su simulazioni fatte in laboratorio sulla base di condizioni ambientali presunte, oltre che sulla presunta presenza (nessuno ha mai scavato e raccolto campioni del sottosuolo marziano nella zona del polo sud) di alcuni tipi di rocce.
Insomma, la voglia di riportare, in un modo o nell’atro, tutto in un alveo delle “tradizionali conoscenze scientifiche” era molto chiaro.
Ne era nato un lungo dibattito che aveva dato origine anche ad altri studi, tutti basati su simulazioni in laboratorio e non su dati reali, che alla fine negavano l’esistenza di depositi di acqua liquida non solo al polo sud marziano, ma anche in altre aree del pianeta.
La comunità scientifica sembrava divisa tra chi sosteneva ancora l’idea di un Marte secco, arido, inadatto e inospitale alla vita passata e presente, e chi invece prendeva atto della nuova realtà emersa dai dati raccolti in loco. Eppure la scienza dovrebbe basarsi esclusivamente su aspetti oggettivi e non sulle opinioni. Come diceva Galileo Galilei “la scienza non è democratica. L’opinione di mille scienziati, non vale di più della realtà dei dati portata anche solo da un singolo individuo”. Oltre tutto la questione sembrava anche avere connotati di tipo “politico” e/o di puerili gelosie e competizioni tra equipe di scienziati afferenti a diversi contesti geografici e politici. Da un lato infatti, la comunità americana, che sembrava interessata a smentire la scoperta italiana e europea, quasi volessero avere un’esclusiva sugli annunci riguardanti la scoperta di acqua su Marte, dall’altro la comunità europea, interessata a sostenere a tutti i costi la scoperta, come fosse una sorta di “medaglia” da appuntarsi sulla giacca quale evidenza dell’ormai raggiunta capacità della comunità scientifica europea di eguagliare quella statunitense. Insomma, potremmo semplificare dicendo che sembrava un po’ una contesa tra la comunità sotto l’egemonia NASA, contro quella sotto l’egemonia ESA.
L’esistenza di questa puerile e insana “rivalità” è emersa ancora una volta oggi, quando uno studio pubblicata dalla rivista Nature Astronomy, da parte di un gruppo di ricerca guidato dall’Università di Cambrige e basato su un metodo completamente differente da quelli fino ad ora utilizzati, ha confermato l’esistenza di acqua liquida sotto il polo sud marziano.
Enrico Flamini, oggi all’Università di Chieti-Pescara e nel 2018 uno dei responsabili della storica scoperta di acqua liquida su Marte realizzata insieme a colleghi dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), università Roma Tre, Sapienza e Gabriele d'Annunzio (Pescara) e Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr). Quella scoperta si era basata sui dati del radar Marsis, a bordo del satellite Mars Express dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa)., ha commentato il nuovo studio con queste parole: “A nome di tutti i miei colleghi posso dire che siamo estremamente felici che un metodo indipendente confermi la plausibilità dell’esistenza di acqua liquida su Marte”. “Il nuovo studio, con un metodo completamente differente, arriva oggi alle stesse conclusioni – ha aggiunto Flamini – sconfessando così studi approssimativi fatti da altri, che contestavano il nostro lavoro”.
Lasciando stare i litigi da cortile de asilo infantile di questi “scienziati”, a cui continuamente il mainstream ci suggerisce di guardare con ammirazione e senza avanzare alcuna critica, quello che interessa a noi è che una conferma indipendente, oggettiva e definitiva dell’esistenza di acqua liquida sia arriva oggi, grazie alle rilevazioni di uno strumento, un altimetro laser istallato a bordo del satellite Mars Global Surveyor della Nasa, che è stato in grado di misurare le variazioni dell’altezza dei ghiacci che ricoprono il polo sud marziano. Queste variazioni, rilevano gli autori della ricerca, indicano l’esistenza di grandi sacche di acqua liquida al di sotto degli strati ghiacciati, così come indicava lo studio italiano del 2018.
Su Marte c’è acqua liquida e questo è un dato di fatto di cui tutti devono prendere ormai atto, così come del fatto che questo avvalora l’altrettanto ormai certa presenza di vita (passata e forse anche presente) extraterrestre!
Per saperne di più leggi “Il lato oscuro di Marte – dal mito alla colonizzazione”
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