Pronto Darwin?
Sono passati quasi 160 anni da quanto Darwin, nel 1859, pubblicò il suo saggio “L’origine delle specie” nella quale avanzava per la prima volta la celebre teoria dell'evoluzione. Inizialmente etichettata come blasfema, poiché contraddiceva la così detta teoria del “creazionismo” e quindi le interpretazioni letterali di vari testi religiosi (tutte le tre grandi religioni monoteiste, ebraismo, cristianesimo e islamismo hanno come base l’Antico Testamento della Bibbia e quindi il libro della Genesi), la teoria non ebbe inizialmente vita facile.
In tutto questo tempo, sono state fatte moltissime scoperte in campo paleontologico, antropologico, biologico e genetico. Molte di queste scoperte hanno certamente confermato l'ipotesi avanzata dal naturalista britannico. Sono stati scoperti i resti di numerose nuove specie animali di ogni tipo e dimensione, di piante, ma anche nuove specie di ominidi che hanno arricchito il presunto albero dell'evoluzione umana. Sì, presunto, perché ancora oggi, a distanza di oltre un secolo e mezzo, non è stata ancora trovata la conferma che la teoria dell'evoluzione avanzata da Darwin possa essere applicata all'uomo.
Gli antropologi sono ancora in cerca del cosiddetto "anello mancante", il resto di un nostro presunto antenato che possa fungere da congiunzione tra l'homo di Neanderthal e l'homo Sapiens. Tant'è che le riserve a riguardo non sono ancora state del tutto sciolte e l'ipotesi avanzata dal naturalista britannico è e rimane al momento ancora solo una teoria, così come ancora oggi viene chiamata.
Ciò nonostante, tale ipotesi è considerata uno dei capisaldi della scienza e il giusto dubbio che la scienza dovrebbe coltivare in assenza di prove certe, secondo l'applicazione del metodo scientifico, sembra invece essere stato dimenticato o forse volutamente accantonato.
Secondo la teoria darwiniana, "[...] gruppi di organismi di una stessa specie si sono evoluti gradualmente nel tempo attraverso un processo chiamato “selezione naturale”; grazie a questo processo, nel corso della storia sono sopravvissuti gli organismi che sono stati capaci ad adattarsi meglio alle mutevoli condizioni ambientali sviluppando, casualmente, capacità e caratteristiche differenti rispetto alla loro specie di origine. L’adattamento non ha riguardato soltanto lo stile di vita ma si parla addirittura di mutazione a livello genetico. Le specie che hanno evidenziato tali caratteristiche sono state, e sono ancora oggi, avvantaggiate nella corsa per la conservazione della propria specie; la mutazione ha quindi consentito all’individuo di sopravvivere al cambiamento dell’ambiente, riprodursi e passare quindi questo elemento distintivo e “vincente” alla generazione successiva. Secondo questa teoria il processo di selezione naturale ha riguardato tutti gli organismi viventi e quindi anche l’uomo che pertanto, nel corso di milioni di anni, si è evoluto passando dallo “stato” di scimmia o primate, a ominide e poi a quello che siamo oggi [...]" (brano tratto dal libro Il Lato Oscuro della Luna.)
A seguito della frustrante ricerca delle conferme della teoria dell'evoluzione (applicata all'uomo), nel corso dei decenni gli antropologi si sono spesso imbattuti in situazioni rivelatesi poi, a distanza di tempo, poco gratificanti per loro e poco edificanti per la scienza in generale.
Solo poche settimane or sono (nell'Aprile del 2017) la prestigiosa ed autorevole rivista Science ha pubblicato sul suo sito, i risultati di un nuovo studio su alcuni reperti rinvenuti nelle grotte di Malapa, in Sud Africa, nel 2008.
Qui, assieme a moltissimi altri resti di ominidi, erano stati scoperti anche i resti attribuiti ad nuova specie dell'Australopithecus sediba, resti che nel 2010, erano stati considerati gli unici in grado di completare il "vuoto" di reperti nel periodo compreso fra 2 e 3 milioni di anni fa, quando gli australopiteci hanno cominciato ad evolversi nel genere Homo. Se non proprio considerati finalmente l'anello mancante, potremmo certamente affermare che tali resti erano considerati un "mezzo anello". C'è da sottolineare che la ricostruzione e la valutazione di questa nuova specie di ominide era stata molto difficile perché i resti più antichi di questo esemplare di Homo ritrovati, risalgono a 2,9 milioni di anni fa ed erano (e sono) decisamente incompleti. Tale aspetto più che andare a giustificare l'errata valutazione dei reperti, dovrebbe essere considerata invece un'aggravante, data la scarsa cautela usata dai ricercatori nel formulare le loro affermazioni.
Soltanto nel 2013 infatti, ben sei articoli pubblicati sulla rivista Science indicavano questi resti di Australopithecus sediba, come il progenitore più vicino all'uomo lungo la scala evolutiva. Sull'interpretazione in tal senso dei reperti si erano pronunciati tra gli altri, un gruppo di ricerca coordinato dal britannico Joel Irish, della Liverpool John Moores University, il gruppo di antropologi coordinati da Jeremy DeSilva, dell'università di Boston, Darryl de Ruiter, dell'università del Texas, l'antropologa americana Debbie Guatelli-Steinberg della Ohio State University e il paleontologo Lorenzo Rook, dell'Università di Firenze.
Il nuovo studio pubblicato da Science condotto dal paleo antropologo Bill Kimbel, dell'università dell'Arizona a Tempe, ha dimostrato che i resti dell'Australopithecus sediba ritrovati nelle grotte in Sud Africa nel 2008, appartengono ad un ominide troppo giovane per essere considerato un progenitore dell'uomo. Il paleontologo americano ha dimostrato che lo scheletro era ancora in via di formazione e di conseguenza troppo indefinito per consentire qualsiasi tipo di conclusione. Dunque non esiste alcuna nuova specie di homo sapiens, l'Australopithecus sediba è un errore di interpretazione. E' dello stesso parere Yoel Rak, dell'università israeliana di Tel Aviv, secondo il quale non è improbabile che il giovane australopiteco potesse cambiare radicalmente i tratti facciali nell'età adulta, proprio come accadeva a un suo simile, l'Austrapithecus africanus. Non sono dello stesso avviso ovviamente, i ricercatori autori degli studi precedenti ma a questo punto, l'unico modo per risolvere la vicenda resta ormai la scoperta dei resti di un esemplare adulto di Australopithecus sediba, cosa non ancora avvenuta.
Lo studio pubblicato da Science nell'Aprile del 2017 ha portato a dover rivedere dunque, l'albero genealogico dell'Homo sapiens che perde così un ramo e, con esso, quello che finora era ritenuto essere il suo antenato più prossimo.
La vicenda sopra citata, è assai simile ad una accaduta nella prima metà del secolo scorso "[...] relativa all'uomo di Piltdown, i cui resti furono trovati in una cava di ghiaia all'inizio del XX secolo in Inghilterra. Il rinvenimento di frammenti di un cranio umano e di una mascella scimmiesca fu oggetto di aspre polemiche tra chi sosteneva essere un falso e quanti invece ne sostenevano l’autenticità, poiché confermava per la paleontologia ufficiale e ortodossa, l'esistenza del cosiddetto "anello mancante" tra scimmia e uomo.
Prevalse inizialmente, la fazione che ne sosteneva l’autenticità e fu decretata la scoperta della nuova specie umana. Ma la vicenda si protrasse fino agli anni cinquanta, quando la truffa fu scoperta e la falsità dei reperti dimostrata. Secondo i sostenitori dell'archeologia misteriosa, il falso ebbe la possibilità di resistere tanto a lungo grazie al fatto che confermava la teoria ufficiale sull'evoluzione di Darwin. [...]" (brano tratto dal libro Il Lato Oscuro della Luna.).
A conferma di cio, è possibile citare anche un altro esempio. Sempre nel 2008 e sempre nel medesimo sito, le grotte sudafricane di Malapa, in cui erano stati trovati i resti del presunto (ora lo possiamo dire senza sopra di dubbio) homo sapiens Austrolapihtecus sediba, "[...] il paleo antropologo Lee Rogers Berger ha rinvenuto molteplici resti di ossa umane risalenti a oltre 2 milioni di anni fa: grazie a questa scoperta oggi sappiamo che molteplici specie di ominidi hanno vissuto contemporaneamente negli stessi territori. In seguito altri scavi sono stati poi compiuti, portando alla luce oltre una dozzina di altre ossa di ominidi appartenenti a specie diverse.
Tutto questo dovrebbe apparirci come un assurdo, soprattutto se riteniamo plausibile la teoria darwiniana (che come detto concatena la scomparsa e la comparsa delle varie specie, l’una alle altre) poiché oggi sulla Terra, ci sono oltre sette miliardi d’individui di un'unica specie, la nostra. [...]" (brano tratto dal libro Il Lato Oscuro della Luna.).
Così come nel caso del l'homo di Piltdown, anche nel caso dell'Austrolapihtecus sediba gli antropologi hanno "selezionato" i ritrovamenti studiando e traendo conclusioni (che si sono sempre rivelate errate) solo sui reperti che in qualche modo potevano confermare la teoria tuttora dominante, quella Darwiniana, omettendo di prendere in considerazioni le evidenze sopra menzionate riguardanti la presenza contemporanea di più specie di ominidi, presenza in parte inconciliabile con la teoria evoluzionistica darwiniana.
Tale anomala presenza contemporanea di più specie di ominidi aveva trovato successiva conferma proprio nel 2013. Mentre i citati gruppi di antropologi conservatori, si affrettavano a confermare il ritrovamento dei resti del fantasioso Austrolapihtecus sediba quale possibile "anello mancante", "[...] Nell’ottobre del 2013 la rivista scientifica Science ha pubblicato i risultati di una ricerca fatta a seguito del ritrovamento di alcuni teschi di ominidi, ritrovati a Dmanisi in Georgia, risalenti a circa 1 milione e 800 mila anni fa. Da quanto emerge, in almeno uno di questi teschi, sono presenti caratteristiche di ominidi di specie diverse (cervello piccolo come quello dell’Homo Habilis, viso simile a quello del più moderno Homo Erectus e denti più simili a quello del più antico Homo Rudolfensis) il che potrebbe significare e confermare appunto, che più specie coesistevano e si accoppiavano, dando origine a loro volta a specie nuove. Purtroppo non lo si può affermare con certezza poiché si tratta d’ipotesi soltanto frutto dell’osservazione dei reperti ritrovati, perché le attuali tecnologie non consentono di estrarre il DNA su reperti così antichi. [...]" (brano tratto dal libro Il Lato Oscuro della Luna.).
Tuttavia, questi ultimi ritrovamenti non avevano avuto lo stesso eco e risalto, nell'ambito della valutazione della bontà della teoria di Darwin, rispetto a quelli riguardanti il presunto dell'Austrolapihtecus sediba, chissà perché!
Sono trascorsi oltre 150 anni dalla pubblicazione del libro "L'origine delle specie" di Darwin, molto abbiamo appreso riguardo lo sviluppo della vita in tutte le sue forme, trovando molti riscontri in merito (sempre supponendo che le interpretazioni dei reperti fin qui dati siano corrette). Ciò nonostante, paradossalmente non abbiamo ancora nessuna prova certa e definitiva che la teoria dell'evoluzione possa essere applicata all'uomo. Al contrario, sembra quasi di essere arrivati ad un punto di svolta ma in senso opposto. Se la teoria dell'evoluzione di Darwin può avere forse una sua attendibilità a livello generale dello sviluppo della vita, molti dei recenti ritrovamenti sembrano suggerire che l'uomo in tutto questo possa fare (almeno parzialmente) eccezione.
Mi chiedo: nonostante ci sia oggi addirittura una corrente di pensiero tra gli antropologi più conservatori, che affermi che non c'è alcun "anello mancante" nell'albero evolutivo umano (contraddicendo un secolo e mezzo di affermazioni in tal senso da parte della scienza), l'infruttuosa caccia all'anello mancante è stata così frustrante perché si cerca forse qualcosa che non c'è? Eppure essendo l'antenato più prossimo a noi, i resti dell'"anello mancante" dovrebbero essere più semplici da trovare rispetto a quelli dei suoi predecessori più antichi (anche se ciò potrebbe non essere necessariamente vero.)
Sarà forse giunto il momento di prendere in considerazione e senza pregiudizi, ipotesi differenti per spiegare la "particolare" evoluzione umana, anziché continuare a girare intorno in modo grottesco ad una teoria che sembra ormai inconcludente (ameno im parte)?
Alla luce di tutte queste informazioni, se fosse in qualche modo possibile (Darwin è morto nel 1882), verrebbe voglia di chiedere un parere proprio a colui che ha teorizzato tutto questo, ed esclamare ironicamente: Pronto Darwin?!?!
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